Spendere bene


Le cronache narrano che quando Massimo Sarmi, la sera del 9 ottobre saliva le scale di Palazzo Chigi, nemmeno sospettava che gli sarebbe stato comunicato che l’azienda da lui diretta, Poste Italiane, avrebbe concesso un prestito-ponte con la previsione di entrare con 75 milioni nel capitale di Alitalia. Poche ore sono bastate per la decisione di mettere i soldi in un’azienda di cui pochi – a parte chi prende stipendi e commesse – sente il bisogno (gli svizzeri sono sopravvissuti anche senza Swissair). Le Poste alimentano la Cassa Depositi e Prestiti, che da un anno nicchia – non senza motivi – a mettere i soldi nella futuribile società delle reti, che potrebbe fare soldi o meno secondo le tariffe che l’Agcom (in contrapposizione con Bruxelles) le permetterebbe di praticare. Governo a due velocità?  È passato un anno da quando in una paludata nota, che sembrava scritta da un avvocato, il Consiglio dei Ministri (Monti)  affermava di aver “preso atto della nomina di Agostino Ragosa a direttore dell’Agenzia per l’Italia Digitale”; una nomina – si spiegava nella stessa nota – “frutto di una valutazione collegiale”, con una valutazione aperta, con un bando di 200 candidati e concordata tra i ministri dello Sviluppo Economico, della Pubblica Amministrazione, dell’Istruzione, per “condividere l’esito di tale istruttoria con il presidente del Consiglio Mario Monti e con il ministro dell’Economia e delle Finanze Vittorio Grilli”. Risultato: ancora – oggi – l’Agenzia, creata con l’incarico di realizzare “un unico e snello centro di coordinamento” nelle politiche di innovazione non ha ratificato lo statuto. In compenso, è nata la figura del “coordinatore dell’Agenda Digitale”, identificato in Francesco Caio. L’AD di Avio GE si è presentato a fine settembre a un’affollatissima riunione al Politecnico di Milano spiegando come il suo ufficio fosse una stretta emanazione della Presidenza del Consiglio. Con l’aria di instabilità che tira, non si sa se è una buona o una cattiva notizia. Che fare allora per sostenere l’innovazione? Alla fine, tra “coordinatore” e Agenzia, nascono tre priorità: identità digitale, anagrafe dei residenti e fatturazione elettronica. Cose utili, per carità, ma ne sentivamo davvero l’esigenza? Saggia idea quella di avere un archivio anagrafico centralizzato (almeno se perdi la carta d’identità in vacanza si spera che la puoi chiedere ovunque) così come quella di unificarla alla tessera sanitaria. Ma è così rivoluzionaria? Ha ragione chi sostiene la necessità di una identità digitale europea. Anche per evitare che, passato il confine, i nostri futuri identificatori elettronici diventino dei pezzi di plastica. Fatturazione elettronica? Buona idea, soprattutto verso la PA, se questo servisse almeno a tenere un quadro aggiornato dei debiti verso i fornitori, ma ricordiamoci che siamo anche l’Italia dei cinque milioni di partite Iva e ditte individuali. Evitiamo di essere l’ufficio complicazione cose semplici. Ottima idea la PEC, ma come mai siamo gli unici in Europa, così come lo scontrino fiscale, ad averla? Recentemente, in un incontro organizzato a Bolzano da un operatore di servizi Ict, un’imprenditrice diceva sconsolata: «Metà della mia corrispondenza è con l’estero e oltre confine non sanno nemmeno che cosa sia la PEC». Se l’Agenzia delle Entrate vi chiede dei documenti, provate a inviarglieli con la Pec e vedete che cosa vi rispondono. Altri strumenti sarebbero stati più incisivi, a partire dal Fascicolo Sanitario Elettronico, se si considera che nemmeno all’interno dello stesso ospedale si riesce a condividere una radiografia tra reparti diversi. Il guaio è che questi sono progetti che costano. C’è alternativa all’utilizzo degli agognati Fondi Europei per finanziare l’innovazione digitale da parte della PA? La risposta è sì e servirebbe a ridurre la spesa pubblica: si tratterebbe di fare come nelle aziende, più efficienza, sostituendo personale con tecnologie. Ma chi ha il coraggio se non di farlo, almeno di dirlo?

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