La città sotto attacco

Cattoni Giulia_Urbano Creativo

Diritto alla privacy e diritto alla sicurezza. La smart city con la sua rete di dispositivi connessi può essere una minaccia per la libertà dei cittadini?

Negli ultimi trent’anni, l’intera società occidentale ha assistito a un progresso tecnologico di una rapidità senza precedenti. Gran parte della nostra quotidianità si svolge online, è costantemente connessa, dipendente da una infrastruttura di rete sovrasatura di dati sensibili che ognuno di noi, più o meno consapevolmente, immette al suo interno. Ampliando il punto di vista dal singolo alla collettività, vediamo che i dati non provengono solo da device personali: contatori di energia intelligenti, dispositivi di sicurezza, elettrodomestici e automobili smart, sistemi di video sorveglianza. Questi dispositivi sono solo alcuni dei sistemi che generano continuamente dati e informazioni che vengono raccolti ed elaborati per gestire gli ambienti in cui viviamo tutti i giorni.

TI PIACE QUESTO ARTICOLO?

Iscriviti alla nostra newsletter per essere sempre aggiornato.

L’aumento della dipendenza dal cyberspace da un lato offre nuove opportunità ma dall’altro introduce nuove pericolose minacce: il crearsi di mercati nazionali e transnazionali più aperti rende i sistemi informatici su cui essi si basano più vulnerabili agli attacchi di criminali, hacker, terroristi. I cyber-attacchi ormai fanno parte della nostra quotidianità: Twitter, Financial Times, Spotify, Reddit, eBay e New York Times sono stati vittima lo scorso ottobre di un cyber-attacco di cui si addita la Russia come responsabile. In risposta, un hacker americano ha dichiarato di aver violato per vendetta il sito Internet del ministero degli Esteri sovietico. A settembre, è stato violato il database dell’Agenzia Mondiale Antidoping, Michelle Obama ha visto il suo passaporto pubblicato su DC Leaks (www.soros.dcleaks.com, il sito web che viene gestito da hacktivisti americani), mentre Wikileaks ha preso di mira Hillary Clinton e il server del Partito Democratico americano.

PricewaterhouseCoopers calcola che gli incidenti informatici abbiano ormai un tasso di incremento annuo del 66%: dai 3,4 milioni di casi del 2009, nel 2014 il numero è salito a 42,8 milioni. Un fenomeno di difficile percezione, ma soprattutto un tipo di criminalità difficile da contrastare. Oltre la privacy personale, come si traduce la parola “sicurezza” per la collettività? L’informatica, la tecnologia e la gestione dei dati sono il cervello elaboratore della smart city in ottica IoT. Garantire la sicurezza informatica significa sviluppare un processo che sia resiliente ai cyber-attacchi e quindi garantire un elevato livello di sicurezza per lo “Urban Cyber Space” inteso come spazio virtuale di raccolta, elaborazione e scambio delle informazioni, e nucleo indispensabile per la gestione, il comando e il controllo di una città intelligente, dei servizi fruibili, dello scambio di informazioni.

Leggi anche:  Check Point rivela che l'esperienza dell'utente finale è fondamentale per l'implementazione di soluzioni SASE

Anche la UE sta investendo nell’ottica di sviluppare programmi volti a migliorare la qualità della vita e la sicurezza dei cittadini. Nello specifico, lo strumento Horizon 2020 The EU Framework Programme for Research and Innovation, che ha un budget complessivo di circa 78.6 miliardi di euro, prevede di corrisponderne poco meno della metà (31.748 milioni di euro) per rispondere alle minacce più sentite oggi: cambiamento climatico, trasporti e mobilità, energie rinnovabili, invecchiamento della popolazione. E infine, per garantire la sicurezza alimentare e la sicurezza in generale. Alla protezione delle infrastrutture critiche sia dal punto di vista fisico sia della cyber-security, e alla sicurezza digitale, per esempio per quanto riguarda la protezione di dati, sistemi e servizi ICT, si risponde con lo strumento finanziario SC7 – Secure societies – Protecting freedom and security of Europe and its citizens.

Dovremo perciò sempre più affidarci a controllori, guardiani in grado di proteggere l’enorme flusso di dati di una società che, secondo le stime, nel 2050 raggiungerà i nove miliardi di persone. Ma saranno in grado di difenderci dal grande spauracchio del ventunesimo secolo ossia la versione 3.0 del Grande Fratello di orwelliana memoria? Oppure, la vessata questione di “chi sorveglierà i sorveglianti” non sarà più un tema da film di fantascienza?

Giulia Cattoni @urbanocreativo