Cloudera, il successo è data driven

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Prosegue la spinta innovativa della società californiana nelle piattaforme open source per l’analisi dei dati, anche con l’aiuto del machine learning e dell’intelligenza artificiale

Forte degli ottimi riscontri registrati con la quotazione presso la Borsa di New York, Cloudera prosegue speditamente la sua marcia nel settore dell’analisi dei big data. Con risultati di tutto rilievo: se la ex-startup era diventata un unicorno già tre anni fa, nel 2014, oggi ha un valore nell’ordine dei 4 miliardi di dollari, e se sempre tre anni fa Cloudera aveva 400 dipendenti a livello mondiale, oggi questi sono 1600, mentre il fatturato cresce anno su anno a doppia cifra, grazie anche a un parco clienti formato per l’80 per cento da aziende che fatturano più di un miliardo di dollari all’anno.

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Nuove applicazioni

Incontrando Data Manager a metà giugno a Milano, sia Romain Picard, regional vice president, sia Michele Guglielmo, regional sales director per l’area mediterranea, cioè la sotto-regione dell’area Sud Europa che va dal Portogallo alla Turchia, hanno tenuto a sottolineare che la quotazione al NYSE non cambia il focus dell’azienda, che rimane quello di proporre una piattaforma open source basata su Apache Hadoop, di livello enterprise e fruibile sia on premise sia in cloud, nella quale si combinano big data analytics, anche di tipo predittivo, sicurezza e affidabilità. La proposta della società, denominata Cloudera Enterprise, permette di analizzare tutti i tipi di dati, anche quelli non strutturati, e sta evolvendo verso le nuove applicazioni del machine learning e dell’intelligenza artificiale, con lo scopo di rendere le aziende sempre più “data-driven”, cioè in grado di trarre il massimo valore dal proprio capitale di dati: non solo per ottimizzare i costi, ma soprattutto per esplorare nuove opportunità di business.

Essere “data driven”

Anche perché il settore di elezione di Cloudera, quello dell’analisi dei big data, è in netto sviluppo: come sottolineato da Romain Picard, nel 2020, cioè nell’arco di tre anni da oggi, «si avranno 30 miliardi di dispositivi interconnessi, che determineranno una quantità di dati superiore di 440 volte a quella attuale, e un’azienda in grado di capitalizzare appieno sul valore di questi dati potrebbe arrivare a fatturare anche il 40 per cento in più». La chiave è trasformare il proprio business prestando ancora maggiore attenzione ai dati con analisi non solo sul passato o sul presente, ma anche in ottica predittiva, per essere sempre più “data driven”. In questo quadro, «per le aziende diventa sempre più importante ripensare il modo in cui viene concepito il rapporto con i clienti, per comprendere meglio come si comportano e agiscono, oltre a quali sono i loro desideri e cosa vogliono in concreto» – prosegue Picard, spiegando che Cloudera sta operando a fianco di numerose società, per esempio nell’ambito manufacturing, a riesaminare le modalità con cui realizzano i propri prodotti, modificandole in base alle aspettative dei clienti, ricostruite grazie ai dati di utilizzo raccolti direttamente dai dispositivi stessi, costantemente connessi al cloud.

Settore pubblico in primo piano

Queste nuove modalità di relazione possono riguardare gli oggetti come automobili o frigoriferi, ma possono anche entrare nel quadro più ampio delle smart city, dato che «da tempo si nota una spinta molto forte verso i big data anche nell’ambito della pubblica amministrazione, con istanze che investono anche le strutture dell’intelligence e della sicurezza, che sono temi molto sentiti attualmente» – fa notare Picard. Come è dimostrato dalla gara per il Sistema pubblico di connettività, il famoso SPC, il cui lotto 3 per la gestione degli open data, aggiudicato al raggruppamento temporaneo di imprese formato da Almaviva, Almawave, Indra e PricewaterhouseCoopers, prevede proprio l’utilizzo della piattaforma per i big data di Cloudera.

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Investimenti in Italia

Sul business in Italia dettaglia invece Michele Guglielmo, che è in Cloudera dall’inizio del 2016: «In poco più di un anno, siamo passati da essere tre persone, me compreso, a 12, con un investimento impegnativo in tutti i sensi perché non è proprio scontato trovare i profili adeguati, soprattutto per un’azienda demanding come Cloudera». L’investimento ha riguardato anche il canale, che vede al momento la presenza in Italia di una decina di partner selezionati, senza contare le alleanze internazionali con i grandi system integrator, attraverso la designazione di due figure apposite, con un channel manager che si occuperà in prima persona della declinazione del nuovo Partner Program lanciato lo scorso 22 maggio a Londra. «L’idea è quella di riconcentrarci sui grandi clienti: come a livello corporate Cloudera va sulle prime ottomila aziende a livello mondiale, così in Italia ne abbiamo selezionate 40 in totale, assegnandole a due account manager, sulle quali intendiamo generare interesse e rapporti di partnership, e avere una leadership “from the front” con i partner che si uniscono a noi nei progetti che riusciamo a generare» – prosegue Guglielmo.

L’ecosistema dei partner

I partner svolgono un ruolo cruciale nella strategia di go-to-market, in quanto Cloudera non si occupa direttamente dello sviluppo delle applicazioni sulla sua piattaforma, riservando questo compito all’ecosistema dei partner, di cui fanno parte i grandi system integrator come Accenture, Capgemini e Data Reply, solo per citarne alcuni, e che oggi conta più di 2.600 membri ed è in costante crescita. Un’espansione dovuta anche al fatto che l’ecosistema si sta allargando sempre più anche ai cloud provider e ai managed service provider, in quanto la piattaforma opera indifferentemente on premise e nel cloud. E proprio per favorire lo sviluppo nel cloud, la società ha lanciato a fine maggio Cloudera Altus, un’offerta PaaS realizzata per semplificare l’esecuzione di applicazioni di elaborazione dati su larga scala nel cloud pubblico, in quanto permette di gestire cluster e carichi di lavoro ampi. «Non si tratta di un semplice IT management, ma di uno strumento pensato anche per coordinare e orchestrare il lavoro dei data scientist» – sottolinea Guglielmo, rivelando che Altus ha già «riscosso un notevole interesse sul mercato, anche in virtù del fatto che non è rivolta solo all’IT aziendale e soprattutto perché previene il vendor lock-in, dato che permette di lavorare sia nel cloud sia on premise».

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Ottime performance

Per quanto infine riguarda l’andamento sul mercato, Guglielmo ha sottolineato che «a livello europeo siamo una delle “region” che performa meglio, con Italia e Spagna in primo piano: abbiamo appena concluso un ottimo primo trimestre dell’anno fiscale, che per noi va da febbraio a gennaio, e ci aspettiamo di crescere ulteriormente». Anche perché «siamo stati abbastanza fortunati nel cogliere tutte le opportunità del mercato: per esempio, tutte le prime tre telco italiane sono nostre clienti, e lo sono anche quattro delle prime cinque banche italiane. Inoltre, possiamo citare clienti di rilievo come Octo Telematics, UniCredit, Buongiorno e Jobrapido, mentre a livello di assicurazioni e di industria in generale, molti di quelli che stanno valutando le nuove applicazioni basate sull’Internet of Things stanno dialogando con noi» – prosegue Guglielmo. Le potenzialità sono davvero promettenti: «Se pensiamo all’ottimizzazione nell’uso di energia, l’analisi dei big data può essere fondamentale sia per risparmiare, utilizzando meglio l’energia, sia per operare in ottica di manutenzione predittiva, analizzando i dati dei terminali unici gas, elettricità e acqua: per esempio, se si verificasse un consumo anomalo, potrebbe trattarsi di una perdita da segnalare in maniera proattiva del tutto automaticamente» – conclude Michele Guglielmo.