Le imprese italiane scoprono il vero impatto dell’intelligenza artificiale. Ma l’adozione resta lenta, disomogenea e frammentata, mettendo a rischio l’effettiva ricaduta economica. Servono leadership, visione e nuove competenze
Il 63% delle imprese italiane di grande dimensione ha già avviato progetti di intelligenza artificiale o prevede di farlo a breve. È quanto emerge dal report “Lo stato dell’arte dell’Intelligenza Artificiale nelle aziende italiane – Adozione, impatti e prospettive”, realizzato da Minsait, società del gruppo Indra, in collaborazione con The European House – Ambrosetti. L’adozione dell’intelligenza artificiale sta accelerando, anche se in modo non omogeneo tra i settori. Se il potenziale stimato di aumento della produttività venisse pienamente realizzato, l’impatto sull’economia nazionale sarebbe pari a 115 miliardi di euro. L’indagine ha coinvolto circa 280 aziende italiane di grandi dimensioni (più di 250 addetti) e appartenenti a più di 15 settori produttivi, con l’obiettivo di capire come le imprese italiane si posizionino nelle cinque aree di interesse: adozione, readiness, effetti su organizzazione e lavoro, opportunità e impatti, adeguamento normativo. Già oggi i benefici dell’integrazione dell’AI sono tangibili: un terzo delle imprese intervistate dichiara di aver registrato un aumento di produttività compreso tra l’1% e il 5%, a fronte di una crescita media nazionale ferma intorno all’1% negli ultimi vent’anni. Ma non mancano le barriere.
Le principali riguardano difficoltà organizzative (23,9%), il livello ancora sperimentale delle tecnologie (21,9%) e la mancanza di competenze interne (20%). Tuttavia, il dato incoraggiante riguarda l’accessibilità alle fonti: quasi la metà delle aziende afferma di disporre già oggi di dati in quantità e qualità sufficienti per attivare progetti efficaci. «La trasformazione digitale in atto si trova in una fase di curiosa sperimentazione» – dichiara Erminio Polito, CEO di Minsait in Italia. «Le aziende lavorano su innovazioni incrementali e piccoli miglioramenti, ma la trasformazione radicale di modelli di business, prodotti e processi core resta ancora rara. Questo approccio per piccoli passi è comprensibile, ma non può essere la norma se vogliamo che le aziende italiane abbiano un ruolo da protagoniste nell’economia dell’intelligenza artificiale. Serve leadership, visione, investimenti sui dati, sulle competenze e sui modelli organizzativi».
L’innovazione di rottura
«Dobbiamo passare dal fare le cose più velocemente al farle in modo radicalmente nuovo». Questa è, secondo Erminio Polito, la vera sfida che attende le aziende italiane nell’implementazione dell’intelligenza artificiale. «Riscontriamo molto interesse intorno all’AI, ma pochi casi di implementazione su larga scala. Quello che vediamo è un uso ancora frammentato. Si lavora sulla bottom line, partendo dai costi, non dalla trasformazione dei modelli di business».
Secondo Polito, il punto di partenza deve essere la strategia: «Le imprese devono interrogarsi su come una tecnologia così dirompente possa ridefinire il modo stesso di fare impresa, creare valore e sviluppare nuovi servizi». Solo così sarà possibile cogliere appieno il potenziale trasformativo dell’intelligenza artificiale. L’intelligenza artificiale non è una semplice tecnologia da implementare, ma un nuovo paradigma per comprendere i problemi, prendere decisioni e generare valore. «L’intelligenza artificiale sta rivoluzionando l’erogazione dei servizi e la relazione con i clienti» – spiega Polito. Proprio per questo, non può che partire dai vertici aziendali: è una questione di leadership, non una decisione tecnica. «Bisogna partire dal business, non dall’architettura tecnologica. E concentrarsi sui veri nodi strategici ancora aperti».
Polito individua quattro direttrici su cui focalizzare il cambiamento: l’efficienza operativa, spesso, compromessa da processi complessi e stratificati; la lentezza decisionale; l’enorme patrimonio di dati, talvolta, non utilizzato in maniera corretta; e, infine, le opportunità di mercato ancora inesplorate. Se l’intelligenza artificiale può aprire la strada a nuove fonti di ricavo, allora la domanda da porsi è una sola: se potessimo ripartire da zero, come progetteremmo il nostro lavoro alla luce dell’AI? Per rispondere a questa domanda, Minsait affianca le imprese, lavorando su sperimentazioni concrete che si trasformano in cultura, metodo e valore. «L’intelligenza artificiale non sostituisce le persone – afferma Polito – ma le aiuta a prendere decisioni migliori, più consapevoli, più rapide». La vera trasformazione inizia da qui.
Proprio come avvenne l’elettricità o, più recentemente, con Internet, anche l’intelligenza artificiale è destinata a diventare una piattaforma abilitante, capace di trasformare profondamente i modelli operativi e di business. «All’inizio degli anni Duemila – ricorda Polito – sembrava che bastasse avere un sito Internet per essere pronti alla rivoluzione digitale. Era l’epoca della new economy, e tutti volevano esserci. Poi sono arrivati i grandi fallimenti, perché non bastava la presenza online: serviva innovare realmente».
Le aziende che hanno saputo andare oltre, ripensando radicalmente la propria offerta e il proprio modo di operare, sono quelle che oggi guidano i mercati. Lo stesso vale per l’AI che si traduce nella potenza di una piattaforma, capace di abilitare trasformazioni profonde. «L’intelligenza artificiale non è solo uno strumento ma un cambio di paradigma. L’AI diventerà così pervasiva nei processi aziendali che, guardandoci indietro, ci chiederemo come fosse possibile lavorare senza».
Come affrontare l’impatto
Quando si parla di intelligenza artificiale e lavoro, spesso ci si concentra solo sull’intelligenza artificiale generativa e sui suoi effetti occupazionali. L’automazione libera risorse umane da attività ripetitive, migliorando l’efficienza. «Ma è nella creazione di nuovi servizi e nella capacità di aprire mercati inesplorati che l’intelligenza artificiale può davvero fare la differenza» – afferma Polito. «E questi nuovi mercati richiederanno nuove competenze, nuove figure professionali. Per questo è fondamentale un approccio che punti alla valorizzazione del capitale umano: formazione, attrazione di talenti e un cambio culturale che coinvolga l’intera organizzazione. «L’intelligenza artificiale non va solo implementata ma compresa, adottata, condivisa. È necessario lavorare sulla consapevolezza, sulla responsabilità e sulla trasparenza dei processi decisionali che questa tecnologia abilita» – sostiene Polito.
Minsait, azienda di consulenza tecnologica, non si limita a promuovere l’adozione dell’AI: ha deciso di dimostrarne il valore, adottandola al suo interno. «Stiamo lavorando per integrare l’intelligenza artificiale nei nostri processi» – spiega il CEO di Minsait Italia. «Abbiamo attivato task force agili, con obiettivi chiari e misurabili, per testare use case concreti e valutarne l’impatto sul nostro modello di business. Investiamo su formazione e strumenti: oggi tutti i nostri sviluppatori lavorano con tool AI avanzati. Affianchiamo anche i clienti, soprattutto sull’intelligenza artificiale generativa, che abilita nuove modalità di interazione e trova applicazione nel customer care. Ma lavoriamo anche con tecnologie più mature come machine learning e deep learning, fondamentali in ambiti strategici come le smart grid per le comunità energetiche. In questi scenari, l’AI è un catalizzatore: bilancia domanda e offerta, gestisce l’energia in eccesso e ne ottimizza la distribuzione in chiave sostenibile». L’altro ambito in cui Minsait è molto attiva è la computer vision, con applicazioni che spaziano dalla sicurezza sul lavoro alla tutela dell’ambiente. «Oggi algoritmi intelligenti sono in grado di analizzare immagini e video per rilevare comportamenti pericolosi, erosioni del territorio o sversamenti in mare da raffinerie, offrendo un contributo concreto alla sostenibilità».
Tutte queste soluzioni non eliminano posti di lavoro: ne creano di nuovi. E qui entra in gioco il change management non solo per gestire la transizione, ma per stimolare la creazione di valore, far emergere nuove idee, nuovi servizi, nuove professionalità. Un cambiamento – conclude Polito – che va affrontato con decisione: «Oggi il vero rischio è non rischiare».