I CIO guardiani del lavoro 4.0

Il termine trasformazione è molto di moda. Chi ha un po’ di familiarità con la fisica, sa bene che invece il concetto di trasformazione è legato a doppio filo con quello di entropia e ha più di un secolo e mezzo. Anche quando applichiamo lo stesso concetto alla sociologia, possiamo dire che ogni volta che trasformiamo il lavoro grazie all’introduzione dell’energia dell’innovazione, il grado di disordine del sistema aumenta.

All’inizio possiamo fare finta di niente, perché l’entropia è un po’ come la polvere che spostiamo sotto il tappeto. Ma prima o poi, quel mucchietto di polvere diventa una montagna. Anche nelle imprese, nelle fabbriche, nelle organizzazioni, dalle più piccole alle più grandi, accade la stessa cosa. Ogni volta che introduciamo energia nuova per passare a un livello più avanzato di gestione aumentiamo la complessità.

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Lo sviluppo dell’intelligenza artificiale e della robotica, insieme alle potenzialità delle reti, a una comunicazione digitale globalizzata, ci pongono, con eccezionale rapidità, di fronte a questioni di straordinaria ampiezza che interrogano il mondo della formazione universitaria, della produzione, dell’impresa e della politica. Lo ha detto in modo mai così chiaro il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella a Lisbona.

Anche noi CIO, CTO, manager dei sistemi informativi e responsabili della sicurezza abbiamo il dovere di essere all’altezza di queste sfida, non solo partecipando al dibattito, ma stimolandolo e svolgendo un ruolo attivo di indirizzo in questa fase di transizione, perché la trasformazione digitale, l’automazione dei processi, l’introduzione di applicazioni di intelligenza artificiale stanno cambiando profondamente non soltanto i modi e tempi del lavoro, ma anche, per qualche aspetto, la sua stessa etica.

In ogni fase di passaggio epocale, qualcosa si perde e qualcosa si conquista. È successo sempre nella storia umana. Dalla rivoluzione agricola a quella industriale, fino ad arrivare alla società della conoscenza dal secondo dopo guerra a oggi. Ogni innovazione comporta dei rischi. E l’assunzione di responsabilità è fondamentale. L’intelligenza artificiale, nella sua interpretazione più autentica, è una grande opportunità per il business, per la ricerca scientifica, per la salute con nuove forme di terapia, diagnosi e farmaci. In campo sanitario, permette non solo di ridurre i costi, ma anche di sviluppare metodi innovativi di diagnosi, portando la diagnostica avanzata dove non ci sono gli ospedali, nei paesi poveri. Per questo non bisogna arroccarsi in posizioni rigide o ideologiche. Il bilancio finale però deve essere positivo e rispondere all’interesse generale di tutti i portatori di interesse e non deve essere sbilanciato a favore di pochi.

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Come professionisti dell’innovazione dobbiamo evitare di alimentare le polarizzazioni tra vecchio e nuovo, naturale e artificiale, i buoni da una parte e i cattivi dall’altra. Ma abbiamo anche il dovere di mettere in guardia dal rischio di mettere tutte le mele in uno stesso cestino e dalle distorsioni che possano scaturire dalla concentrazione del potere della conoscenza nelle mani di pochi.

Nel passaggio da un framework analogico a uno digitale, occorre inquadrare bene le questioni e creare un framework comune di riflessione a livello di governance tra paesi, società civile, politica, sindacati, imprese utenti e vendor. Bisogna creare una cornice nuova di regole e di valori condivisi non negoziabili, perché il vero rischio insito nell’innovazione non è tanto la forza deflagrante dell’innovazione stessa, ma le conseguenze di lungo periodo sul piano sociale ed economico.

L’innovazione deve essere una priorità per i governi delle nazioni, non uno slogan. La paura legata alla perdita di controllo è una preoccupazione reale fuori e dentro le imprese, di cui dobbiamo farci carico. La gestione della conoscenza e delle sue applicazioni richiede sempre saggezza e responsabilità. Quando c’è un problema non possiamo dare la colpa all’algoritmo o al computer di bordo. Il nuovo spaventa sempre. Nasciamo irrazionali, la risposta emotiva è immediata. Il processo logico è lento e spesso controintuitivo. Quello che possiamo fare è abbracciare l’innovazione come un oceano. Per tracciare la rotta, dobbiamo fissare dei punti di riferimento sull’orizzonte, scrutando la vasta immensità e tenendo sempre gli occhi aperti.

Giuseppe Faraci, CIO Affidea Italia