Fu vera rivoluzione? Ai posteri l’ardua sentenza

la quarta rivoluzione industrale e la digital transformation
la quarta rivoluzione sarebbe caratterizzata dalle tecnologie della digital transformation

Uno spettro si aggira per l’Europa: lo spettro della “quarta rivoluzione industriale”. Ormai quasi tutti i visionari (in senso anglosassone) parlano e scrivono di rivoluzione 4.0. Si sa, la prima fu quella del “vapore” a fine Settecento, la seconda quella dell’elettricità a fine Ottocento, la terza, quella dell’IT, è iniziata nel secondo dopoguerra e, secondo alcuni, non ha ancora esaurito tutti i suoi effetti.

La quarta, in corso, sarebbe caratterizzata dalle tecnologie della digital transformation che il Massachusetts Institute of Technology (MIT) ha definito SMACI (Social, Mobile, Analytics con artificial intelligence e big data annessi, Cloud e IoT). Ogni rivoluzione, per essere tale, deve però essere valutata – ex post – come dirompente in termini di: 1) comparsa di un elemento nuovo che determina un vertiginoso aumento della produttività, in termini di rapporto tra fatturato o margine operativo lordo e numero di occupati; 2) trasformazione radicale e massiva del mondo del lavoro, con la scomparsa di talune professioni e la comparsa di nuove, con evidenti impatti economici e sociali.

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Invece, sulla quarta rivoluzione, che spesso prende i nomi di Impresa 4.0, Industria 4.0, Banca 4.0, Sanità 4.0 e così via, c’è un coro di analisi – ex ante – molto autorevoli, sulla sua magnificenza e sulle sue implicazioni. Talvolta queste sono enfatiche, altre catastrofiche, a seconda del contesto. Pe esempio, si evoca spesso la drastica perdita di posti di lavoro e la sostituzione parziale o totale delle professionalità a basso contenuto di conoscenza da parte di sistemi AI. Oppure l’enorme aumento dell’efficienza e dell’efficacia con parallela riduzione dei costi e degli investimenti. Bertrand Russell invitava però a non smettere mai di dissentire, di porre domande, di mettere in discussione l’autorità, i luoghi comuni e i dogmi. Non esiste, infatti, la verità assoluta. «Siate voci fuori dal coro» – esortava il grande matematico e filosofo. «Siate il peso che inclina il piano. Siate sempre in disaccordo perché il dissenso è un’arma. Forse non cambierete il mondo, ma avrete contribuito a inclinare il piano nella vostra direzione e avrete reso la vostra vita degna di essere raccontata. Un uomo che non dissente è un seme che non crescerà mai».

E sul tema c’è una voce molto autorevole fuori dal coro! È quella del professor Robert J. Gordon, docente di economia alla Northwestern University che ho avuto l’opportunità di incontrare in un recente workshop alla LUISS, nell’ambito del ciclo dei seminari “Le sfide per l’Europa”. L’economista ed esperto di Scienze sociali ha presentato i risultati della sua ricerca macroeconomica, sintetizzati nel libro “Rise and Fall of American Growth” (Princeton University Press, 2016), in cui osserva che l’energia motrice della quarta rivoluzione è la stessa della terza: cioè la tecnologia IT. Certo, organizzata e impiegata con metodi molto più sofisticati ed evoluti, ma in fondo, si tratta sempre di hardware e software per elaborare, memorizzare e trasmettere l’informazione, nelle sue accezioni più ampie – come la “conoscenza” – e multimediali.

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Ma il maggiore indicatore da considerare, secondo Gordon, è che, dal punto di vista macroeconomico, l’aumento della produttività, come definita dagli economisti, non è ancora così elevato da giustificare l’uso del termine “rivoluzione” in confronto alle precedenti. La sua tesi, completamente fuori dal coro, è che non c’è al momento nessuna rivoluzione 4.0. ma siamo nella “evoluzione” della precedente 3.0. Ai posteri l’ardua sentenza!