Facebook e Google vogliono far parlare le AI

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I ricercatori di Facebook, Google e dell’Università di New York studiano come le Intelligenze Artificiali possono comunicare e imparare l’una dall’altra

Un recente articolo pubblicato su arxiv.org, chiamato “Emergent Linguistic Phenomena in Multi-Agent Communication Games” descrive in che modo le AI possono comunicare tra di loro e, all’occorrenza, imparare dai comportamenti dei software simili vicini per crescere e migliorarsi. Lo studio, condotto dai ricercatori di Facebook, Google e dell’Università di New York descrive un quadro in cui gli algoritmi addestrati mettono in pratica un apprendimento profondo, usando un sistema di premi che li guida verso determinati obiettivi.

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L’inferenza più interessante? In tali processi informatici si possono riscontrare flussi molto simili alla comunicazione linguistica tra gli esseri umani. Il lavoro non è il primo a indagare la fenomenologia ma prima nessuno aveva mai utilizzato agenti neurali profondi di ultima generazione in grado di gestire ingenti input percettivi, dimostrando che il linguaggio può evolversi a partire da semplici scambi.

Come funziona

Il filo rosso che ha legato gli esperimenti è stato quello del “gioco”. In molti, le capacità iniziali degli agenti erano ben limitate rispetto a quanto accaduto di seguito, ovvero nella presa di coscienza e integrazione delle mosse svolte da altri software aperti al dialogo. I ricercatori affermano che questo implica un linguaggio comune e condiviso, all’interno di un contesto linguistico comune.

In un test successivo, due diverse comunità di agenti linguistici, con strumenti di comunicazione separati, esposte l’una all’altra hanno imparato a “parlare”, sfruttando alcuni agenti  come “ponte”, col fine di gestire un nuovo protocollo condiviso. “Tutto ciò che è necessario per far emergere un linguaggio comune è un numero minimo di agenti – scrivono gli autori nel loro lavoro – questa scoperta dimostra il rapido passaggio verso un protocollo in cui entrambi i gruppi imparano a parlare un linguaggio condiviso, indipendentemente dal fatto che interagiscano effettivamente con il gruppo che detiene informazioni differenti”. L’indicazione migliore di un simile approccio? La spiegano i ricercatori stessi: “I risultati suggeriscono che il linguaggio non dipende da capacità linguistiche evolute e complesse ma può nascere da semplici scambi sociali tra gli agenti percettivamente abilitati, inseriti in contesti di comunicazione”.

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