IA: non Intelligenza “Artificiale” ma Intelligenza “Aumentata”

cloud ibrido

Entro la fine del 2020 gli investimenti pubblici e privati totali in ambito Intelligenza Artificiale dovrebbero raggiungere i 20 miliardi di euro. Lo scorso dicembre la Commissione Europea ha presentato un piano coordinato per promuovere la cooperazione in quattro ambiti chiave: aumento degli investimenti, accessibilità a un maggior numero di dati, promozione del talento e salvaguardia della fiducia.

A cura di Francesca Puggioni, Managing Director Southern Europe di Orange Business Services

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In Italia, il Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca Bussetti ha dichiarato in una recente intervista al Corriere della Sera di puntare a un progetto coordinato per tutto il Paese: «L’intelligenza artificiale è il pilastro della nuova rivoluzione industriale, che cambierà in profondità la nostra società e la nostra economia. Perché consentirà di migliorare la qualità della vita per esempio sulle grandi sfide che riguardano la salute, l’ambiente e il cibo».

Per realizzare questo progetto è necessario creare una rete in cui sono inserite realtà diverse: «Si dovrà sviluppare una strategia italiana sull’intelligenza artificiale, coordinando il meglio della ricerca italiana».

Allo stesso tempo, molte aziende hanno avviato progetti pilota in ambito IA per sondare le opportunità offerte da diversi programmi e strumenti di intelligenza artificiale; ed è probabile che vedremo ancora più applicazioni pratiche nel prossimo anno. Anche Orange fa lo stesso, e stiamo investendo massicciamente in un maggiore uso dell’IA in aree come la manutenzione predittiva delle nostre reti e servizi.

La prospettiva dell’automatizzazione e di una maggiore implementazione dell’IA in genere fa nascere una discussione sulle conseguenze per il mercato del lavoro. Che cosa accadrà quando le attività tradizionalmente svolte dagli esseri umani verranno svolte da algoritmi e robot? Questo non è però un problema nuovo: da sempre nella storia la tecnologia trasforma l’ambiente di lavoro con nuove invenzioni che sostituiscono i lavoratori umani, e una certa preoccupazione è inevitabile: tuttavia, secondo una ricerca dell’Osservatorio Artificial Intelligence della School of Management del Politecnico di Milano, l’IA andrebbe considerata più come un’opportunità che una minaccia: se è vero che nei prossimi 15 anni 3,6 milioni di posti di lavoro potranno essere sostituiti dalle macchine, nello stesso periodo si stima un deficit di circa 4,7 milioni di posti di lavoro nel nostro Paese, da cui emerge un disavanzo positivo di circa 1,1 milioni di posti. In questo scenario (peraltro globalmente diffuso) di progressiva riduzione della forza lavoro, l’AI appare non solo come una opportunità, ma come una necessità per mantenere gli attuali livelli di benessere economico e sociale.

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Mettere in competizione uomini e macchine, presentandoli come avversari, significa ignorare i vantaggi dell’automatizzazione e dell’implementazione di IA. Un esempio interessante è la storia, uscita di recente sui giornali, di un hotel in Giappone che ha dovuto “licenziare” metà dei suoi 243 robot e sostituirli di nuovo con personale umano, perché i robot non riuscivano a svolgere i compiti assegnati. L’intelligenza artificiale non dovrebbe avere lo scopo di sostituire alla natura un’alternativa artificiale per ottenere più efficacia e precisione, ma dovrebbe invece puntare a combinare l’intelligenza di uomini e macchine per ottenere prestazioni ancora migliori. È per questa ragione che preferisco parlare di intelligenza aumentata invece che di intelligenza artificiale.

Tecnicamente, non c’è differenza tra le due cose. Ma questi termini rappresentano due prospettive diverse sul progresso tecnologico, e io credo in un’intelligenza umana che può essere amplificata o aumentata, consentendoci di utilizzare tutti i dati che stiamo generando. Quindi, nel caso giapponese, non bisognava “licenziare” i robot, ma piuttosto utilizzarli per aiutare gli operatori umani a concentrarsi su compiti più importanti.

Le vere sfide da affrontare non sono la diminuzione delle opportunità di lavoro o la disoccupazione di massa, ma piuttosto cambiare il nostro modo di lavorare e combinare l’intelligenza umana con le tecnologie intelligenti. In altre parole, si tratta di una trasformazione strutturale, in cui occorre concentrarsi sulla riqualificazione della forza lavoro e allo stesso tempo sviluppare e perfezionare i processi di lavoro. In questo modo, i robot potranno supportarci occupandosi di tutte le cose noiose, come le attività amministrative, permettendoci di focalizzare la nostra energia sulle parti che ci rendono più umani.