Intelligenza artificiale, alla ricerca di best practice

Come coinvolgere i dipendenti in un ambiente di lavoro ibrido

Per molti CIO, l’AI rappresenta oggi un tema tanto importante quanto delicato: se da un lato sono consapevoli che la tecnologia ha ancora ampi margini di maturazione, dall’altro non possono permettersi di stare a osservare i concorrenti

L’intelligenza artificiale è forse il più dirompente tra gli acceleratori di innovazione (realtà virtuale e aumentata, sicurezza di nuova generazione, robotica, IoT, stampa 3D, blockchain) che stanno ridisegnando il panorama ICT. Se da un lato si dimostra ancora una tecnologia con ampi margini di maturazione, dall’altro può già mettere le aziende nelle condizioni di diventare i next generation disruptor del mercato. Questa ambivalenza imbarazza un po’ i CIO italiani e internazionali che hanno l’urgenza di comprendere come “calare” nella propria realtà tale tecnologia, in modo efficace e in tempi stretti, per non essere superati da concorrenti tradizionali e newcomers. Diventa fondamentale quindi imparare dai pionieri, che hanno sviluppato una serie di linee guida per aiutare a scegliere per esempio le prime applicazioni di AI, a bilanciare le risorse interne ed esterne, ad assicurarsi che abbiano la giusta quantità e qualità di dati. Questo perché nel percorso evolutivo della trasformazione digitale, i CIO devono diventare educatori, evangelisti e coordinatori di team inter-funzionali e cross-funzionali.

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LE COSE DA FARE

Prima di partire con il primo progetto di intelligenza artificiale, i CIO devono rispondere a due interrogativi fondamentali: Come iniziare con l’intelligenza artificiale? Qual è il ruolo del chief information officer (CIO)? Analizzando il percorso seguito da aziende che hanno già adottato tecnologie di intelligenza artificiale, è possibile ricavare alcune best practice che possono fungere da linee guide, da suggerimenti per chi deve ancora cominciare.

DA DOVE PARTIRE?

Risposta: da progetti piccoli, strategici e che siano facilmente misurabili.

L’AI sta catalizzando una grande attenzione da parte delle aziende, tuttavia allo stato attuale non è semplice decidere dove andare a investire. I tradizionali processi di governance IT e di prioritizzazione degli investimenti potrebbero non essere consoni o comunque dover essere adattati. Tuttavia, un approccio che preveda investimenti solo in tecnologie più mature e consolidate (wait and see) – tanto caro a molti manager – nel caso dell’intelligenza artificiale potrebbe porre l’azienda in una situazione di svantaggio competitivo non facilmente colmabile (come invece poteva accadere in passato).

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Il primo suggerimento che è possibile trarre da chi ha già cominciato il percorso verso l’adozione di soluzioni di intelligenza artificiale è quello di iniziare con progetti per i quali i risultati siano facilmente misurabili. Un esempio è la soddisfazione dei clienti (CX) o la crescita delle vendite, da cui si evince immediatamente che le metriche da prendere in considerazione non devono solo essere comprensibili all’IT, ma devono essere attraenti per le varie linee aziendali in termini di valore aggiunto per il business. Mostrare i risultati ottenuti anche da piccoli progetti creerà quello slancio necessario per poter espandere l’adozione dell’AI in tutta l’azienda e per spronare i manager al cambiamento (nell’approccio, nel mind-set e nel modo di lavorare) necessario per ottenere i risultati sperati.

COME BILANCIARE RISORSE INTERNE ED ESTERNE?

Risposta: partendo da figure interne da integrare con figure esterne.

Reclutare talenti in ambito AI è estremamente difficile, non solo per l’attuale scarsità sul mercato del lavoro di figure altamente qualificate, ma anche per la concorrenza che ciascuna azienda deve affrontare con i giganti tecnologici, anche loro “affamati” di skill. Inoltre, spesso i CIO non gradiscono dipendere eccessivamente da vendor esterni specialmente se – come nel caso dell’AI – si tratta di startup che nascondono rischi elevati in termini di presenza sul mercato. Partire con piccoli progetti, mixando risorse interne ed esterne, ha il principale beneficio della velocità nel ritorno degli investimenti in quanto sfrutta da un lato l’esperienza in ambito AI di figure esterne e l’innovazione che portano le startup, e dall’altro la conoscenza dei modelli di business e dei processi IT aziendali delle figure interne. La creazione del team interno da affiancare a figure esterne comporta certamente all’inizio un forte investimento in formazione e/o recruiting, ma consente poi di evitare un’eccessiva dipendenza dai fornitori esterni.

COME ALIMENTARE I PROGRAMMI DI AI?

Risposta: “mettendo in forma” i dati.

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Il primo e forse più importante passo che deve essere eseguito è selezionare i dati giusti con cui andare ad alimentare i programmi di intelligenza artificiale. Non tutti i dati devono o possono essere fatti “masticare” dall’AI, ma solo quei dati che sono funzionali agli obiettivi IT e di business che si vogliono raggiungere. Per esempio, in ambito di customer experience, possono aiutare l’azienda a conoscere meglio un cliente per poi invogliarlo a fidelizzarsi e ad acquistare ancora. Rimanendo in questo ambito, prima di dare i dati al sistema di AI, è necessario collegare tra loro tutti i dati di un unico cliente che posta un tweet sull’azienda, entra in negozio, fa un acquisto online o interagisce con il centro assistenza. Solo dopo aver fatto questa iper-profilazione, l’AI può intraprendere azioni per interagire in modo corretto ed efficace con quello specifico cliente. Sul versante invece dell’intelligence process automation, è fondamentale catturare ogni singolo passaggio di un processo che si vuole automatizzare, catalogando nel dettaglio quali sono gli output attesi da ciascuna fase per essere sicuri di programmare nel modo corretto i passaggi dei bot. Per ottenere i risultati sperati dall’utilizzo di tecnologie AI, è necessario curare con molta attenzione la qualità dei dati, la loro connessione, la loro estensione e profondità. Se si parte da informazioni sbagliate e poco accurate, non si possono ottenere risultati di qualità.

COSA FARE PER IL CHANGE MANAGEMENT?

Risposta: il CIO deve diventare evangelista, educatore e coordinatore di team cross-funzionali.

Spesso capita che i dirigenti aziendali non siano correttamente informati su cosa le tecnologie di intelligenza artificiale possano realmente fare. Inoltre, la percezione che essi hanno delle potenzialità di tali soluzioni può essere distorta dall’eccessiva enfasi che ricevono su giornali generalisti e riviste non specializzate. Risulta quindi difficile per loro immaginare quali problemi aziendali reali potrebbero indirizzare e risolvere. I CIO, quindi, dopo essersi debitamente istruiti, dovranno impegnarsi nella formazione dei propri manager per far loro comprendere in quali ambiti del business aziendale è possibile implementare soluzioni e tecnologie di intelligenza artificiale e quali sono i benefici reali che se ne possono trarre. Rompere le barriere che creano silos organizzativi tra linee di business e IT è un altro compito fondamentale che i CIO devono completare per poter ottenere il massimo dei benefici attesi dall’implementazione di progetti di intelligenza artificiale. Differenti team devono essere confidenti nel modo in cui lavorano insieme per insegnare all’AI cosa deve fare, quando deve farla e come deve farla. Ma la collaborazione non si limita alla mera execution: i team devono collaborare anche in fase di misurazione dei risultati per comprendere se l’AI è stata istruita correttamente e per poterla mettere nelle condizioni di evolversi e imparare. L’evoluzione costante dei sistemi di intelligenza artificiale impone inoltre un adeguamento continuo del modo in cui la si “istruisce”. Inoltre, deve evolvere anche l’approccio con cui si testa e si verifica se l’applicazione sta raggiungendo gli obiettivi prefissati. Per questo motivo, soprattutto in fase di lancio, i progetti di intelligenza artificiale funzionano meglio con team piccoli, agili, collaborativi e multidisciplinari.

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Sergio Patano associate research director di IDC Italia