Perché la polizia del Kashmir vuole registrare i gruppi WhatsApp

WhatsApp, scoperto un bug nell’uso del microfono

Le autorità di polizia locale in alcune parti dello stato indiano hanno esortato gli utenti delle chat a registrare ufficialmente i gruppi da loro moderati

Perché mai uno stato dovrebbe conoscere i gruppi e i partecipanti di questi sulla piattaforma di chat più usata al mondo? Beh, per controllare i loro cittadini. Lo stato indiano del Kashmir ha infatti deciso di prendere posizione, almeno per ora ufficiosa, nei confronti di chi modera gruppi su WhatsApp. Il governo invita infatti i residenti a registrare presso gli organi tali gruppi, presumibilmente con i nomi dei partecipanti.

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Questo avviene come ulteriore mossa per limitare la libertà di azione su internet, visto che in varie parti del paese è ancora in corso un blocco della connessione, a cinque mesi dal primo black-out “indotto”. Nell’agosto del 2019, il governo indiano ha infatti bloccato i servizi internet e di telecomunicazioni in Jammu e Kashmir, per mantenere la legge e l’ordine, dopo aver demolito l’articolo 370 della costituzione indiana e revocato l’autonomia dello stato.

Cosa succede adesso

Un ordine della polizia di Kargil, twittato dalla pubblicazione locale Ladakh Times, suggerisce che gli amministratori debbano registrare i loro gruppi WhatsApp alla stazione di polizia più vicina e che inoltre, saranno ritenuti responsabili per i contenuti condivisi nel gruppo. Attualmente, non esiste una legge indiana che imponga alle persone di registrare gruppi online o di essere responsabili per il contenuto condiviso in queste conversazioni ma l’idea è quella di impedire agli utenti di condividere “contenuti delicati che possono rappresentare una grave minaccia per la pace e l’armonia comunitaria nel distretto”.

Nonostante le nobili intenzioni, la mossa potrebbe soffocare la voce e l’opinione contraria alle idee del governo e consentire alle autorità di ledere effettivamente la privacy, promuovendo la discriminazione. In passato, diverse persone in India sono state arrestate (con la conseguenza di settimane trascorse in prigione) per l’invio di messaggi apparentemente “discutibili” o “sediziosi”. Le regole orientate alla sorveglianza dei contenuti puntano certamente sulla tracciabilità ma organizzazioni come Wikimedia Foundation, Mozilla e GitHub hanno già manifestato una profonda preoccupazione per il rischio concreto di una maggiore censura online.

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