Le onde radio che salvano la vita ai lavoratori

Secondo l’Organizzazione Internazionale del Lavoro (ILO) dell’ONU, ogni anno muoiono nel mondo 2,3 milioni di lavoratori per incidenti sul lavoro o malattie professionali. Oltre ai casi di incidenti letali, sono circa 280 milioni gli infortuni sul lavoro. Tutto questo ha un costo altissimo per la comunità stimato nel 5% del PIL mondiale. Eppure esiste una tecnologia che potrebbe contribuire a far calare il numero di vittime. Un aiuto che arriva dalle onde radio. Come spesso capita, la tecnologia RFID (Radio Frequency Identification) è nata in ambito militare. Le prime applicazioni risalgono alla II Guerra Mondiale. Nel 1939 gli inglesi, sfruttando la trasmissione di codici attraverso la radiofrequenza, svilupparono i primi sistemi di tipo IFF (Identification Friend or Foe Systems) per poter identificare gli aerei alleati, distinguendoli da quelli nemici.

Da allora l’utilizzo della tecnologia è stato il più svariato: dalla logistica portuale ai trasporti, dalla moda al retail, dall’identificazione dei pazienti in ambito ospedaliero ai sistemi di localizzazione degli asset fino alla tracciatura dei prodotti animali lungo la filiera produttiva.

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Nel corso degli ultimi anni questa tecnologia è stata impiegata con successo per migliorare la sicurezza dei lavoratori che operano in contesti ambientali ad alto rischio quali miniere, centrali nucleari o piattaforme petrolifere off-shore. Tra gli esempi di applicazioni rientrano il controllo degli accessi in determinate aree degli stabilimenti, il monitoraggio dell’esposizione dei lavoratori a sostanze pericolose (es. sostanze radioattive all’interno di una centrale nucleare) e la gestione dell’evacuazione in caso di eventi calamitosi. In questi casi, la tecnologia consente di tracciare in tempo reale la localizzazione dei lavoratori identificando quanti devono ancora abbandonare le zone a rischio.

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Qualche esempio: nel 2006 una delle principali società petrolifere britanniche ha implementato in sette mesi un sistema pilota per la localizzazione dei lavoratori presso una raffineria negli Stati Uniti, coprendo con 8 lettori una superficie di 70.000 mq e circa 2.000 lavoratori. Nel 2008 una soluzione simile è stata realizzata da una società petrolifera americana che ha dotato di un tag tutti i lavoratori operanti su una piattaforma off-shore sulla quale sono stati installati 200 lettori a lunga distanza.

Lo scorso anno il valore complessivo del mercato è stato pari a 3,88 miliardi di euro in crescita rispetto ai 3,62 miliardi di euro del 2007 . La quota prevalente è riferibile all’utilizzo nel settore finanziario e in quello della sicurezza per la gestione degli accessi e dei documenti di identità elettronici.

L’impiego di una soluzione RFID rende necessaria una scelta di tipo tecnologico determinata prevalentemente dalla combinazione di due elementi: frequenza e tipologia dei tag.
La frequenza delle onde radio (da quella massima di tipo ultra-wideband UWB sino alla minima low frequency LF) determina, tra l’altro, la distanza massima consentita tra il tag ed i ricevitori (fino ad un massimo di 200 metri), la possibilità per le onde di attraversare ostacoli, la velocità di trasferimento dei dati ed il consumo energetico.
La tipologia dei tag, passivi, semi-passivi e attivi, determina invece la modalità di gestione dei dati (in sola lettura nel caso dei primi o in scrittura per quelli attivi), l’esigenza di alimentazione tramite batteria, la vita media e naturalmente il costo, che varia da un minimo di 0.04 euro nel caso di tag passivi fino a un massimo di 147 euro per quelli attivi.

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Se i benefici offerti da questa tecnologia (non solo economici, ma soprattutto per quanto riguarda un aumento della sicurezza sul lavoro) sono comprensibili, non vanno dimenticate le difficoltà legate alla sua diffusione.
Per prima cosa occorre considerare l’aspetto regolamentare. Si tratta infatti di fare riferimento a normative (es. lavoro, salute, tutela della privacy) ancora difformi, per esempio, tra Europa e Stati Uniti e all’interno della stessa Comunità Europea.
Da un punto di vista strettamente tecnologico, mancano inoltre standard internazionali univoci. Cosa che per esempio complica l’impiego di una soluzione di questo tipo su scala globale da parte di una società multinazionale. Inoltre, l’infrastruttura deve poter resistere alle particolari condizioni di utilizzo in presenza di alte temperature, esposizione a liquidi, sostanze chimiche e materiale esplosivo, nonché possibili interferenze con altre fonti di onde radio (es. reti WiFi).

Da ultimo, occorre tenere conto delle implicazioni per l’information technology in termini di impatti sull’architettura IT e gestione dei dati (volumi , modalità e durata di archiviazione in ottemperanza alla specifiche normative in materia).
In Italia, seppur in presenza dei primi segnali di frenata, nel 2007 gli infortuni sul lavoro sono stati complessivamente 826.312 (secondo le statistiche Inail relative ad infortuni sul lavoro e malattie professionali) di cui 1.058 mortali.
Questi numeri rendono non eludibile una valutazione approfondita sul possibile utilizzo della tecnologia RFID per migliorare le condizioni della sicurezza sul lavoro.

Il percorso è lungo e complesso e rende necessario uno sforzo congiunto da parte delle aziende leader, in materia di ricerca e sviluppo, che possano portare avanti iniziative di questo tipo a beneficio di realtà imprenditoriali piccole e medie e di tutta la comunità.

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A cura di Francesco Lucciola