Silicon Valley: grandi manovre tra storage e Big Data

Prosegue il reportage sulle nuove frontiere dell’IT dopo una settimana trascorsa visitando alcune aziende nel cuore dell’hi-tech made in Usa: PureStorage, Scality, Cloudera e Zerto.

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Un altro dei settori in ebollizione nella Silicon Valley è quello dello storage, sulla spinta delle innovazioni in atto soprattutto nell’area del Flash e dell’Object storage. Qui i campioni sono rispettivamente PureStorage e Scality. Ma anche nel Big Data si sta sempre più affermando un campione con Cloudera, mentre con Zerto il disaster recovery diventa completamente virtuale.

A tutto flash con PureStorage

La sede di PureStorage è nel centro di Mountain View, nello stesso building dove hanno tra gli altri hanno i propri uffici Mozilla e Quora. Fondata nel 2009 da John “Coz” Colgrove, un veterano del settore hi tech che ha svolto buona parte della propria carriera in Veritas, nota società di storage da lui stesso co-fondata e poi acquisita da Symantec, PureStorage è in una fase di continua crescita, ben sostenuta dai 95 milioni di dollari con cui l’hanno finanziata i suoi investitori, tra i quali vi è anche Samsung, uno dei principali produttori di memorie flash. Oggi vi lavorano 180 persone, ma entro breve saliranno a 200, con qualche acquisto anche in Europa, dove la società ha aperto da poco una sede nel Regno Unito e uffici in Germania e Olanda, e può proporre ai suoi clienti un supporto di tipo 24×7 offerto dalle sedi di Mountain View a da un centro sito a Salt Lake City nello Utah.

La società propone array storage basati esclusivamente su memorie flash, cioè allo stato solido, i famosi SSD che stanno rivoluzionando il settore dell’archiviazione dati, per gli indubbi vantaggi in termini di prestazioni e adesso anche di costo. E in effetti le stime di costo circolate nell’incontro con i vertici di PureStorage sono sicuramente allettanti, nell’ordine dei 5 dollari per Gigabyte, che li rende paragonabili agli array di fascia media, che però hanno ancora dischi meccanici. Con i quali il confronto è presto fatto, a cominciare da una differenza di 10 volte in termini di prestazioni, semplicità di utilizzo, minore spazio occupato e minore energia dissipata, oltre a maggiore scalabilità e resilienza, e a nessun bisogno di ri-architettare le applicazioni utilizzate, con minori costi generali. E questo basta a smentire chi voleva la tecnologia flash troppo costosa da implementare nei data center sempre più avidi di risorse storage come quelli di oggi. Anche per questo, si può dare credito a Matt Kixmoeller, vice president of product della società, la cui personale visione è quella di un tiered storage che vede i dati importanti nel flash e i dischi tradizionali solo per il backup, dove però la virtualizzazione comanda tutto. Senza dubbio il nuovo sistema FA-400, che costituisce la terza generazione dell’offerta PureStorage a partire dal primo prodotto lanciato nel 2010, ha prestazioni di tutto rilievo, visto che sono raddoppiate rispetto a quelle del “vecchio” FA-300 che l’ha preceduto.

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La crescita di Scality

Scality è un altro caso interessante della nuova ondata di start up made in California. Fondata nel 2009 a San Francisco dal francese Jérôme Lecat, attuale CEO, sta avendo molto successo con la sua offerta che punta tutto sull’object storage, lo storage a oggetti, nel quale le informazioni vengono memorizzate in contenitori identificati in modo univoco, al posto del classico file system, in modo da permettere la gestione di grandi volumi di dati, i famosi Big Data di cui tanto si parla oggi. E non c’è dubbio che la società stia bruciando le tappe dello sviluppo, vantando tassi di crescita anno su anno nell’ordine del 400%, conquistando clienti in tutto il mondo, come numerose società di telecomunicazioni e giganti dei media come l’europea RTL per i servizi video-on-demand. In Italia, uno dei clienti maggiori è Libero, che utilizza le soluzioni Scality Ring per la gestione della piattaforma di posta elettronica e prevede di farne la base dell’offerta Storage-as-a-Service (STaaS) nell’ambito dei servizi cloud.

Sono risultati di rilievo per un’azienda che oggi, a metà 2013, ha esattamente 57 dipendenti, ma che prevede di crescere fino a 70 entro la fine dell’anno. Ma perché la soluzione storage Ring di Scality ha tanto successo? Innanzitutto perché si tratta di un’architettura software che non condivide nulla: ogni nodo di archiviazione è indipendente e permette di scalare, cioè aumentare la capacità, all’infinito. Il punto è proprio qui: “Scality è essenzialmente una software company, e il nostro lavoro è quello di progettare architetture che permettono la massima scalabilità grazie all’implementazione di object storage, che ha il vantaggio di essere indipendente dall’hardware – sottolinea Lecat -. Le architetture tradizionali SAN o NAS, basate sul file system cui siamo da sempre abituati, funzionano egregiamente fino a 1 miliardo di file da gestire. Ma il problema è che oggi, con la massa di dati strutturati e non strutturati che sono a disposizione, vi sono molte aziende che devono gestire quantità maggiori del miliardo di file, ed è qui che le nostre tecnologie sono vincenti”. Ma c’è anche un altro punto a favore delle soluzioni di Scality: la possibilità di operare su qualunque hardware, e supportano tutti i protocolli storage standard come NFS, S3 API, Cinder per Openstack, e infine Hadoop.

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Cloudera: nel segno dei big data

Hadoop, la piattaforma open source che ha reso economico il trattamento dei Big Data, è invece il segno caratterizzante di Cloudera, e non soltanto perché il Chief Architect della startup nata nel 2008 è Doug Cutting, proprio l’inventore di Hadoop, oltre che quello che gli ha anche dato questo nome, inventato da suo figlio che così chiamava il suo peluche (da cui l’elefantino giallo, simbolo di Hadoop).

Grazie all’emergere dei Big Data come “next big thing” dell’IT, Cloudera, che ha sedi sia a San Francisco sia a Palo Alto, sta crescendo moltissimo: se a fine 2012 aveva 400 partner, solo sei mesi dopo, a giugno 2013 ne ha più di 600. Ma non solo: nel corso dell’ultimo anno, Cloudera è stata scelta come distribuzione commerciale principale di Hadoop un po’ da tutti i big dell’IT, a cominciare da IBM, passando per NetApp, Dell, SAP e VMware, solo per nominarne alcuni. Forse è anche per questo che tra i clienti di Cloudera vi sono più della metà delle aziende Fortune 50, come CBS, eBay, Expedia, Morgan Stanley, Nokia e Groupon: praticamente ovunque vi sia la necessità di analizzare e trarre valore da grandi quantità di dati, le soluzioni di Cloudera sono in pole position. Quello che è interessante notare è il modello di business scelto dall’azienda, che infatti propone sul mercato una sua distribuzione di Hadoop chiamata CDH (Cloudera Distribution Hadoop), cioè un framework open source che permette di operare con migliaia di nodi e con quantità di dati nell’ordine dei Petabyte, alla quale aggiunge tutta una serie di tool aggiuntivi allo scopo di facilitarne l’utilizzo in azienda, oltre fornire supporto e servizi correlati. Se CDH e Cloudera Standard, i due moduli principali, sono gratuiti per i cluster con un massimo di 50 server, in ossequio alla filosofia open source, il business dell’azienda e dei suoi partner nasce soprattutto da Cloudera Enterprise, che è offerto in abbonamento e prevede sia tutti gli strumenti aggiuntivi per gestire al meglio Hadoop sia tutti i servizi prestati a corollario. Secondo i vertici della società, incontrati nella sede di San Francisco, questo modello di abbonamento che comprende tutti i servizi lascia molto spazio anche alle opportunità con i system integrator, e non a caso il numero di quelli che collaborano con Cloudera è in continua crescita. Ma la battuta finale spetta a Doug Cutting, noto alfiere della filosofia open source, che oltre a essere Chief Architect di Cloudera è anche a capo della Apache Foundation, dedicata allo sviluppo delle soluzioni open source, quando sottolinea che “per le grandi aziende non esiste cammino al di fuori dell’open source”, intendendo che le innovazioni portate da una vasta comunità di sviluppatori vanno sempre a vantaggio di tutti.

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Anche il disaster recovery è virtuale con Zerto

Infine, per tornare allo storage, e a uno dei capisaldi della gestione dati, quello del disaster recovery, è interessante soffermarsi sulla proposta di Zerto, una startup israeliana con una sede anche a Boston. Giovanissima, visto che ha lanciato la sua soluzione nel 2011 e ha ottenuto un altro round di finanziamenti per 13 milioni di dollari nell’aprile di quest’anno, Zerto propone soluzioni di replica virtuale e disaster recovery per i data center e per il cloud, . A tutt’oggi vanta più 200 clienti tra cui molte aziende della classifica Fortune 500 e numerose piccole e medie imprese, oltre a circa 130 fornitori di servizi cloud in 11 paesi, tra cui CloudItalia nel nostro paese. Gil Levonai, vice president Marketing and Products della società, illustra il prodotto che è “rivolto esclusivamente alle infrastrutture virtualizzate, è facile da utilizzare e ha costi vantaggiosi – spiega -. Costituita da solo software, la soluzione si chiama Zerto Virtual Replication, ha tipicamente due componenti: Zerto Virtual Manager, che è il nostro server e impiega la Zerto Virtual Replication Appliance sulla WAN tra il sito protetto e quello di replica, permettendo di realizzare soluzioni di disaster recovery indipendenti dall’hardware sottostante, sia on-premise sia sul cloud, ma soprattutto avere tempi di RPO (Recovery Point Objective) nell’ordine dei secondi, senza riflessi negativi sulle performance delle applicazioni”. Attualmente, la soluzione è alla release 2.0 e opera solo su soluzioni VMware, ma sono allo studio anche le versioni per Hyper-V e Citrix, mentre la release 3.0 è prevista per la fine di quest’anno.