Videointervista a Stefania Operto

Fare centro con i numeri e non mentire con le statistiche. Nell’anno internazionale della statistica, i partiti e le aziende riusciranno a «interrogare i numeri senza torturarli a lungo»?

Sessanta anni fa usciva un libro che ha fatto storia: “How to lie with Statistics” di Darrel Huff (Monti & Ambrosini editori – www.meaed.com) in Italia pubblicato solo nel 2007 grazie all’interessamento e alla cura di Giancarlo Livraghi e Riccardo Puglisi (www.gandalf.it). In più di mezzo secolo, sono cambiate l’opinione pubblica, la tecnologia, la struttura dei sistemi informativi ma, spesso, si ripetono gli stessi errori.

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Quello dell’affidabilità dei sondaggi non è un problema da poco. Basti pensare al fatto che in base a queste rilevazioni sullo stato e l’umore degli elettori o dei diversi target, nel corso della campagna elettorale o di una ricerca di mercato gli esperti di marketing – politico o aziendale – decidono milioni di dollari di finanziamento per gli spot televisivi, programmano il lavoro di decine di migliaia di volontari o dipendenti, pianificano le campagne sui media e compilano l’agenda dei manager o dei candidati.

In Italia, il termine sondaggio nelle pubblicazioni scientifiche non trova spazio, mentre ha preso cittadinanza nei talk show. Se i sondaggi sono effettuati utilizzando campioni estratti con metodi scientifici si chiamano “survery”. Terminologia a parte, un sondaggio può essere fatto bene o male. «Uno dei modi per farlo bene – ci spiega Stefania Operto, sociologa ed esperta in analisi della pubblica opinione e dei fenomeni sociali – è che la domanda non deve contenere elementi per influenzare la risposta». Se si chiede a un campione rappresentativo “se si preferisce il candidato repubblicano” – oppure – “un dito in un occhio”, si scoprirebbe inaspettatamente un allargamento della base di voto del centrodestra.

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«Manovrati con disinvoltura, i sondaggi possono diventare strumenti di propaganda e non di conoscenza». Allo stesso modo, nell’era dei big data e dei social network le ricerche di mercato possono diventare strumenti di condizionamento dei target invece di essere strumenti di conoscenza della realtà aziendale? «Non tutti i sondaggi sono uguali. Questione di metodo, di utilizzo degli strumenti, di interpretazione e diffusione dei risultati e, non per ultimo, di serietà professionale di chi li realizza».

Intervista a Stefania Operto, sociologa ed esperta in analisi della pubblica opinione e dei fenomeni sociali

 

Oggi, chiunque può lanciare il suo sondaggio personale su Facebook. La questione è ancora più interessante se si considera l’aspetto del consenso. In un momento in cui i partiti politici cercano di legittimare il proprio ruolo presso l’elettorato o i vari target, prevale sempre più un principio di democrazia plebiscitaria e in real-time, rispetto ai sistemi più tradizionali di ricerca e verifica del consenso.

E le aziende, che devono fare i conti con una montagna crescente di dati e con la sfida di estrarre conoscenza utile per il business, nell’anno internazionale della statistica, riusciranno a interrogare i numeri senza “torturarli” a lungo?