Cloud computing – Odi et Amo


Accostare una poesia di Catullo all’informatica è forse azzardato, ma credo che al momento non esista nulla di più sintetico e conciso che possa descrivere quale sia la posizione delle aziende italiane nei confronti del Cloud computing

TI PIACE QUESTO ARTICOLO?

Iscriviti alla nostra newsletter per essere sempre aggiornato.

di Sergio Patano

 

Il Cloud computing è sicuramente il fenomeno che in questi ultimi anni sta attirando maggiormente l’attenzione di tutti: tanto della domanda quanto dell’offerta. Lato offerta, i player del mercato sperano di trovare nella “nuvola” il driver che possa far tornare a crescere gli investimenti in Information and Communication Technology (ICT) delle aziende, ancora oggi bloccati dalla crisi e dall’incertezza economica generale che sta colpendo tutti i Paesi e in particolare l’Italia. Lato domanda, le aziende percepiscono le enormi potenzialità che tale soluzione tecnologica può portare da un punto di vista di:

  • – Riduzione dei costi IT (principalmente modificando il bilanciamento tra costi fissi e costi variabili, a vantaggio di questi ultimi);
  • – Riduzione della complessità nella gestione dell’infrastruttura ICT (che consente al Cio aziendale di liberare risorse interne della manutenzione tradizionale per dedicarli a progetti di sviluppo a valore aggiunto per l’azienda);
  • – Riduzione dei tempi di fornitura di soluzioni concrete in risposta alle mutevoli e sempre più pressanti richieste ICT del business.

Tuttavia, come spesso accade nel caso di soluzioni in grado di catalizzare intorno a sé un così elevato livello di attenzione, è altrettanto elevato il livello di scetticismo che aleggia intorno al Cloud computing. Mai come in questo caso l’opinione delle aziende è polarizzata sui due estremi: chi ha già implementato soluzioni Cloud all’interno della propria azienda con un livello di soddisfazione che potremmo definire non solo soddisfacente, ma addirittura entusiastico, e chi invece guarda al Cloud con una dose forse eccessiva di freddezza che sfocia in alcuni casi in sospetto.

 

I timori

I motivi che spingono queste aziende a essere così critiche nei confronti del Cloud sono molteplici e non sempre schematizzabili all’interno di una griglia ben definita. Le più frequenti comunque fanno riferimento principalmente a due categorie:

  • – Garanzia dei livelli di servizio (Sla)
  • – Sicurezza dei dati e rispetto della normativa legata alla gestione dei dati sensibili.

Per quanto riguarda la prima categoria, è chiaro che il riferimento è indirizzato tanto all’ampiezza di banda quanto alla possibilità che il servizio possa essere erogato e fruibile 24 ore al giorno e 7 giorni su 7. Nel primo caso la preoccupazione è sostanzialmente legata al digital divide esistente in Italia per quanto riguarda il livello di copertura della banda larga. La distanza fisica dai backborne rappresenta un’effettiva criticità per la fruizione di servizi on-the-Cloud di tipo pubblico. Nel secondo caso invece si entra nella sfera della possibilità di intervenire in tempi rapidi in caso di caduta dei sistemi, garantendo un veloce e istantaneo ripristino delle loro funzionalità.

Leggi anche:  Sanità in ritardo nell’adozione del multicloud ibrido ma si prevede una crescita esponenziale nel breve termine

Date queste perplessità, è facile comprendere perché le aziende siano restie nel considerare il Cloud computing come un effettivo strumento di delivery di servizi, in quanto la mancanza di una di esse o peggio ancora di entrambi, comporterebbe un rallentamento se non addirittura uno stop delle attività produttive o a supporto della produzione, con conseguenze economiche per l’azienda stessa molto elevate e pericolose nel contesto economico in cui ci troviamo.

La sicurezza dei dati e il rispetto della loro privacy è un altro dei freni all’adozione del Cloud. Le aziende sono infatti molto preoccupate dal non poter controllare direttamente e costantemente dove risiedono i loro dati (in Italia, in Europa, in Asia), e di conseguenza non sapere se tale dislocazione rappresenta o meno una violazione delle normative e quindi la possibilità di incorrere in pesanti sanzioni amministrative.

Tra gli altri timori – non meno importante dei precedenti – da parte dei responsabili IT di adottare il Cloud, c’è sicuramente quello relativo alla salvaguardia degli investimenti effettuati fino a oggi. È infatti diffusa la preoccupazione che gli sforzi sostenuti negli anni per la creazione di un’infrastruttura informatica efficiente ed efficace possano essere vanificati dal passaggio al Cloud.

Tale premessa potrebbe far pensare a una stroncatura senza appello da parte delle aziende del Cloud come soluzione da adottare. Questo però non è assolutamente vero e le survey che IDC ha condotto nel corso degli ultimi mesi sulle imprese italiane sia pubbliche che private lo dimostrano.

 

Interesse molto alto

Come già detto in precedenza, il livello di attenzione verso il Cloud è stato e continua a essere molto alto e questo non sarebbe possibile se le perplessità delle aziende fossero stroncature senza appello e non dei dubbi che aspettano dei chiarimenti da parte dei fornitori di soluzioni per essere sciolti.

Come ben emerge dalla survey condotta da IDC (www.idc.com) su un panel di oltre 300 aziende di medio–grandi dimensioni, nel corso del primo semestre 2011, è solo poco meno della metà del campione (47%) che dichiara non solo di non avere ancora adottato il Cloud computing, ma di non avere nemmeno in piano di adottarlo al momento dell’intervista. Le motivazioni che sottostanno questa scelta sono molteplici, ma la più ricorrente è quella legata all’impossibilità di effettuare investimenti IT di tipo evolutivo in quanto i budget sono stanziati soprattutto per effettuare attività manutentive e conservative dell’esistente.

Leggi anche:  NFON lancia Cloudya per Microsoft Teams con cui espande il portfolio di integrazioni

Il restante 53% del campione dichiara un interesse che va al di là della semplice conoscenza letteraria della soluzione, dichiarando (nel 22% dei casi) di avere in previsione la sua adozione nel corso dei prossimi 6/12 mesi, e – nel 31% dei casi – di averlo già adottato o in corso di adozione (che significa che la fruizione di servizi Cloud–based non è ancora possibile, ma che l’implementazione del Cloud è già stata avviata e in fase di completamento), in una qualunque sua forma – pubblica, privata o ibrida – e a uno o più livelli – Infrastrutturale (IaaS), Applicativo (AaaS) o di Piattaforma (PaaS).

Come è logico aspettarsi, le evidenze delle survey condotte mostrano che la penetrazione del Cloud è direttamente proporzionale alle dimensioni delle aziende, con una netta linea di demarcazione individuale nella soglia dei 500 addetti. Oltre questa soglia infatti le aziende intervistate risultano avere un livello di complessità infrastrutturale tale da trovare nel Cloud la soluzione più adatta a rispondere meglio alle proprie esigenze. Al di sotto di questa soglia, al contrario, nella maggior parte dei casi le aziende credono – a nostro avviso erroneamente – che il ricorso al Cloud non sia indispensabile per la gestione, la manutenzione e lo sviluppo dei propri data center.

 

Cloud pubblico

Tra gli adopters presenti e futuri, la tipologia di Cloud su cui sono maggiormente orientate le scelte è quella pubblica, ovvero la soluzione per cui è il solution o service provider a essere il proprietario delle risorse informatiche fruite dall’utilizzatore che ne è anche il gestore nonché manutentore. Fruendo del Cloud in modalità pubblica, le aziende mirano a ridurre sensibilmente i costi di gestione della propria infrastruttura IT delegandola all’esterno, ma soprattutto mirano a gestire meglio i picchi legati alla stagionalità della produzione sia essa mensile, semestrale o annuale. In questo modo le aziende evitano di accollarsi le spese di acquisto di macchine nuove (server, storage o altro) che verranno utilizzate solo in determinati periodi – nella maggior parte dei casi prevedibili e quantificabili – per poi rimanere pressoché inattivi per i restanti, ma che comunque necessitano di una manutenzione continua, costante e costosa. L’accesso tramite il Cloud pubblico alle risorse necessarie nei momenti produttivi necessari e pagabili con la modalità pay-per-use ha consentito a tali aziende la possibilità di effettuare tagli – a volte anche significativi – alla propria spesa senza andare a intaccare minimamente la qualità del servizio erogato.

Leggi anche:  Nutanix unifica i servizi dati tra ambienti multicloud ibridi

Cloud privato

Date le premesse, e cioè che sono soprattutto le imprese di grandi dimensioni e con un livello di complessità IT elevato, a essere maggiormente propense al Cloud, potrebbe risultare strano invece che non sia la variante privata del Cloud (ovvero quella secondo la quale il Cloud viene erogato dal data center aziendale) a essere la più diffusa. Questo è parzialmente vero, ma il risultato è anche legato a una questione culturale ampiamente diffusa tra Cio e IT manager, secondo la quale il private Cloud non sarebbe da fare rientrare all’interno del Cloud computing, in quanto secondo la loro accezione il Cloud è tale solo nella sua accezione pubblica o al più ibrida. A prescindere comunque da tali questioni, meramente di forma e non di sostanza, sono oltre il 30% delle aziende intervistate che hanno deciso o hanno in previsione di adottare il Cloud nella sua versione privata. A spingere queste aziende verso tale scelta sono molteplici motivazioni tra cui su tutte ne spiccano tre:

  • – Garantire e preservare gli investimenti effettuati in passato, che hanno comportato non solo uno sforzo economico notevole, ma soprattutto uno sforzo di strutturazione e manutenzione ancor più grande per rendere l’infrastruttura IT flessibile, dinamica e allineata il più possibile alle esigenze del business;
  • – Evitare i problemi legati all’ampiezza di banda;
  • – Non incorrere in questioni legali legate alla gestione e protezione dei dati di business e dei dati sensibili relativi a clienti, partner e fornitori.

 

Cambiamento drastico

In conclusione, il Cloud computing è sicuramente una soluzione in grado di stravolgere la fruizione dell’ICT trasformando tutto in servizio. Questo cambiamento drastico suscita inevitabilmente delle perplessità da parte delle aziende italiane, polarizzando molto le valutazioni verso gli estremi. Ciononostante le imprese sono consapevoli che il Cloud non solo promette di migliorare fruibilità e gestione del’infrastruttura IT, ma ha anche le caratteristiche necessarie per far sì che tali promesse non rimangano tali ma diventino realtà.

Diventa quindi ancor più importante al fine di fare evolvere il più velocemente possibile la penetrazione all’interno delle imprese italiane di questo nuovo modello di delivery, che i solution o service provider rendano misurabile e divulgabile i risultati che le aziende adopters hanno ottenuto grazie al Cloud.