Se l’IT presenta il conto


Il mercato frena? Non si trovano i soldi per reti e nuove applicazioni? Fin troppi propositi di risparmio ed efficienza per miliardi di euro si basano su interventi che probabilmente costerebbero un decimo, ma che non si possono realizzare gratis, dall’e-Government alla semplificazione amministrativa, ai pagamenti elettronici. Basta saperlo

Non viviamo in un mondo perfetto. Ma ne siamo convinti? Da più parti sembra valere la cattiva abitudine di andare al ristorante e di alzarsi prima di pagare il conto. Così, molti dei progetti pubblici che all’insegna di trasparenza, razionalizzazione e semplificazione promettono benefici per decine di miliardi sono destinati a restare sulla carta. L’ICT frena? Le reti non si fanno perché non c’è domanda che giustifichi l’investimento? In tempi di crisi economica nessuno promette miracoli, ma qualche volta basterebbe fare un po’ di conti. Quelli dell’oste.

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Un paio d’anni fa, l’Assinform, per rilanciare le sorti del settore, ebbe l’idea di chiedere al Governo di sostenere la rottamazione delle vecchie applicazioni. Stavano cancellando la rottamazione delle auto, ci si può immaginare quale sorte abbia avuto la richiesta. Non si tratta di rifare quel che funziona, ma di fare quel che manca. Un paio di esempi bastano.

Il Mobile Payment – Caso numero uno: evasione e tracciabilità dei pagamenti. Da mesi infuria la polemica: come e quanto limitare l’uso del contante? Prelievi e pagamenti per contanti sono progressivamente scesi prima a cinquemila, poi a duemilacinquecento, infine a meno di mille euro. C’è chi auspica soglie inferiori, come Milena Gabbanelli, Alice nel Paese delle Meraviglie, che vorrebbe abolire il contante. Dall’altra parte ci sono gli avversari dell’idea, che intravedono cospirazioni di logge bancarie. Per costoro, bonifici, pagamenti elettronici, anche assegni di conto corrente sono strumenti per far ingrassare le banche con le commissioni. In effetti, la coda la mattina per comprare il biglietto dell’autobus, acquistare il giornale o pagare il caffè, mal si sposa con l’idea di estrarre carte, inserire Pin e attendere il messaggio “transazione eseguita”, con folle di utenti in linea. Ricordate il blackout del ministero dell’Ambiente con i negozianti online di notte per gli eco-incentivi sulle biciclette? O quello di Apple quando in un giorno furono piazzate e poi sospese 600mila prenotazioni dell’iPhone 4? La soluzione ci sarebbe, ma occorrono nuove infrastrutture e standard internazionali.

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A fare i conti sono in molti e si profila un incontro–scontro tra il mondo bancario da una parte e una sostanziale disintermediazione di cui potrebbero rendersi protagoniste le compagnie telefoniche e i soliti operatori Web dall’altra. In fondo, ci sono già i 120 milioni di “borsellini” elettronici solo in Italia rappresentati dalle schede prepagate, che si riempiono a ogni ricarica. La tecnologia Nfc (Near Field Communication) promette di essere il “collante” tra un cellulare e un Pos. In molti stanno allungando gli occhi.

Febbraio 2011: i tre operatori mobili francesi Orange, Sfr e Bouygues Telecom, insieme con Atos, lanciano il sistema di pagamento Buyster, che utilizza un Bancomat virtuale, componendo numero di telefono e un codice di sicurezza. A maggio, in Italia Tim, Vodafone, H3G, Wind, Poste Mobile e FastWeb annunciano una piattaforma di micropagamenti da smartphone, tablet o Pc utilizzando il credito telefonico. Sempre a maggio negli Usa, Google lancia, con l’operatore mobile Sprint il servizio Wallet, che utilizza la tecnologia Nfc. Ad agosto Verizon, AT&T e T-Mobile, ovvero l’80% del mercato della telefonia wireless Usa, rispondono con la joint venture Isis, pronti a investirvi 100 milioni di dollari, per un mercato che potrebbe triplicare in 5 anni a 670 miliardi di dollari, secondo Juniper Research. Il potenziale di mercato è enorme: altro che Sms, basterebbe pagare pochi cent ogni transazione.

 

Le 260 banche dati ministeriali – Caso numero due: l’e-Government e la semplificazione. I numeri si sono sprecati, prevedendo risparmi miliardari con le procedure digitali in reti che qualcuno dovrà pur pagare. Le ultime frontiere sono la prescrizione farmaceutica (l’ex ministro Brunetta parlava di un paio di miliardi di risparmi tra dematerializzazione e minori errori) e la certificazione malattie all’Inps online. Le attese maggiori riguardano la semplificazione amministrativa: meno pratiche per cittadini e imprese. Una decina d’anni fa ci aveva pensato la Legge Bassanini. Dal primo gennaio di quest’anno, le Pubbliche Amministrazioni e i servizi di pubblica utilità non possono più chiedere ai cittadini documenti pubblici: o si fidano dell’autocertificazione o se li cercano. Miliardate di risparmi per il sistema. Già, ma le amministrazioni dove hanno questi dati? A dicembre Cristiano Radaelli, il presidente dell’Anitec (che raccoglie le imprese ICT ed elettronica di consumo), con a fianco Stefano Parisi, presidente di Confindustria Digitale, ricordava che «la sola Pubblica Amministrazione centrale, ovvero i ministeri, dispone di 260 banche dati, tra loro non intercomunicanti e quindi non sa nemmeno di quali dati si dispone». Una breve indagine che abbiamo svolto conferma che il problema, prima ancora che tecnologico, è organizzativo, ma da dove partire?

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«È un problema comune a molte aziende e alle Pubbliche Amministrazioni. Si deve partire da un’analisi dei processi e del sistema informativo per capire dove è possibile razionalizzare e ottimizzare, facendo leva sulle risorse esistenti», dice Enrico Cereda, vice president Systems and Technology di IBM Italia, secondo il quale «oggi sono disponibili prodotti, hardware e software, che permettono di integrare le informazioni provenienti da diverse fonti, migliorandone la ricerca e la gestione».

Certo, la strada non è quella del federalismo informatico, “ciascuno con le sue regole”. Il caso dei bolli auto “scomparsi” della regione Lombardia emerso in questi mesi parla da solo, anche se l’assessore competente cerca di tranquillizzare dicendo che la difficoltà di mettere insieme tre banche dati diverse (Aci, Pra, Sogei) ha generato “solo” 120mila comunicazioni ad automobilisti che immotivatamente dovranno cercare vecchi versamenti, presentare ricorsi e giustificazioni. Costo? Probabilmente decine di milioni.

Per Antonio Menghini, responsabile P.A., Enterprise Services, di HP, «un disegno complessivo e un approccio progettuale sono passaggi importanti per la definizione di un tema così articolato. Occorre distinguere tra le banche dati contenenti informazioni delle amministrazioni e le banche dati contenenti informazioni dei cittadini e delle imprese. Quest’ultime devono essere integrate in termini normativi, operazionali (l’acquisizione contestuale degli event) e in termini tecnici e digitali». Tale integrazione a tutt’oggi non è avvenuta neanche per la banca dati di base: l’anagrafe della popolazione con il codice identificativo unico del cittadino. Ogni amministrazione a livello locale e centrale ricrea, riacquisendo tutte le informazioni, la propria anagrafe della popolazione amministrata, al più verificando la correttezza del codice fiscale con la base dati dell’Agenzia delle Entrate. Questo, perché l’organizzazione dello Stato poggia quasi esclusivamente su processi basati su supporto cartaceo o su livelli di prima informatizzazione che non tengono conto della rivoluzione tecnologica avvenuta negli ultimi dieci anni. Le best practice ci sono e HP cita “Dillo a noi una sola volta”, iniziativa realizzata da anni in Belgio, che consente alle Amministrazioni Pubbliche di condividere le informazioni trasmesse da cittadini e imprese e a questi di presentarle una sola volta.

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Anche per EMC, «la questione non è disporre o meno delle informazioni, ma poterle rintracciare in tempi e modi certi – dice Alessandro Starita, responsabile PA -. Non è un problema in primo luogo tecnologico, in quanto esistono piattaforme in grado di catalogare, indicizzare, conservare e rendere disponibili le informazioni attraverso una varietà di ambienti IT. Più spesso è un problema di organizzazione, in quanto nel tempo (anno dopo anno e gara dopo gara) le realtà pubbliche hanno creato una serie di silos basati su piattaforme differenti e di varie generazioni, spesso non comunicanti tra loro. In ottica di consolidamento e virtualizzazione però, la gran parte di queste piattaforme, soluzioni proprietarie comprese, può essere aperta al futuro, portata in virtuale e resa disponibile tramite le nuove tecnologie di accesso Web-based».

Morale: anche e soprattutto in tempi di crisi economica, le riforme si possono fare. Fare i conti per ottimizzare i costi è doveroso. Non farli e pensare che, in fondo, infrastrutture e applicazioni sono gratis, vuol dire fare i conti senza l’oste ed è da irresponsabili condannati all’insuccesso.