Il Dps non è morto È solo ferito grave


Il Documento Programmatico sulla Sicurezza è come Pablo nella canzone di De Gregori. Hanno ammazzato il Dps, il Dps è vivo…

Il semplice averne sentito parlare è stato sufficiente a far stappare bottiglie di champagne e “magnum” di spumanti nazionali.

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La formalizzazione in Gazzetta del provvedimento ha poi scatenato l’euforia collettiva.

Uno dei più impegnativi adempimenti in materia di riservatezza dei dati è venuto meno in ragione del processo di semplificazione amministrativa avviato in maniera radicale dal Governo tecnico attualmente alla guida del Paese.

L’assoluta inconsapevolezza della reale portata della questione “sicurezza” ha condotto a plaudire la recente iniziativa legislativa che ha alleggerito gli oneri in materia di privacy.

Se venissero aboliti i certificati di morte, potremmo mai brindare a una conquistata immortalità? In tema di tutela dei dati personali è successo qualcosa di simile e in molti si son subito prodigati in una standing ovation la cui rumorosità è proporzionale alla sostanziale ignoranza di chi si è scorticato le mani nei fragorosi applausi.

Ci si risvegliasse mai in un Paese serio (tranquilli, è un rischio dall’infima probabilità di accadimento), la norma in proposito avrebbe dovuto sancire la redazione di un Dps “serio”.

È evidente che la “abrogazione” poggi su una riconosciuta ridotta utilità del documento in questione e a questo punto è legittimo porsi qualche domanda.

Se era un obbligo inutile o comunque superfluo, come ha potuto esser contemplato in un DPR (il 318) del 1999 e nel successivo decreto legislativo 196 del 2003 che ha revisionato la disciplina in materia di privacy?

Se invece, come credo, era uno strumento fondamentale per un’opera pervasiva di sensibilizzazione di chi tratta i dati perché programmasse ogni utile sforzo per garantire la tutela della riservatezza delle informazioni e delle persone cui queste sono indissolubilmente legate, per quale motivo lo si è lasciato decadere al rango di inefficace e sterile costrizione da cancellare?

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E se vale la seconda opzione, chi ha la responsabilità di tutto questo? Chi non ha mai verificato il corretto e coerente contenuto di quelle tante pagine che andavano compilate entro puntuali scadenze e con precise voci da soddisfare? Chi ha permesso che – come a scuola – venisse copiato e passato al pari di un fastidioso compito in classe di greco? Chi non ha spiegato quanto fosse utile per crescere e ha invece consentito che si trasformasse in un business per improvvisati consulenti nemmeno degni di esser catalogati “amanuensi” per la viltà del copia e incolla? Chi – e si risponda a voce alta – non ha fatto il proprio dovere?

Qualcuno, soprattutto, sa dire se fosse l’unico adempimento inutile nel campo della privacy? Il machete della semplificazione mica potrà ritenersi sazio?

In un’epoca di tagli, in cui chi deve pattugliare le strade non ha benzina da mettere nel serbatoio delle auto di servizio con 200mila chilometri e ogni segno di proporzionale vetustà, perché non si azzera l’Autorità Garante affidandone le competenze a un normale ufficio del ministero della Giustizia come peraltro accade oltre confine?

Perché non si approfitta dell’ormai prossimo “fine mandato” dei membri in carica e invece di rinnovarne il Collegio, si semplifica – stavolta davvero – l’apparato burocratico a presidio del settore?

Nel frattempo chi ha a cuore la sicurezza e la riservatezza dei dati a disposizione continuerà a fare un bilancio della situazione, a redigere il consuntivo delle iniziative adottate e a pianificare gli impegni futuri per consolidare la propria e altrui serenità.

Quei fogli un domani non avranno un nome né una sigla. Ma come tutte le cose fatte perché “sentite” fondamentali, saranno redatti con quella serietà, competenza e professionalità finora calpestate senza ritegno nella certezza che nessuno avrebbe mai fatto caso a quel che era scritto in quell’infruttuoso dossier.

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