Software Defined Data Center: a colloquio con Chris Wolf e Joe Baguley (VMware)

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Chris Wolf, CTO, Americas, e Joe Baguley, CTO, EMEA di VMware, spiegano la loro opinione sul Software Defined Data Center e l’evoluzione che questo comporta per le aziende e i professionisti IT. Sia Wolf sia Baguley dedicano buona parte del loro tempo a confrontarsi con le aziende di ogni dimensione e di in ogni settore

Qual è il futuro per lo specialista IT?

CW: Avrà sempre meno bisogno di specializzazione; credo sia questa la chiave. Proprio questa settimana un cliente mi ha spiegato che si aspetta di avere più personale IT generalista, ma avendo ancora dell’hardware nel proprio data center avrà ancora bisogno di alcuni specialisti che si occupino degli aspetti legati alla risoluzione dei problemi e alla connettività dell’hardware.

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Quanto è critico tutto questo per le PMI?

CW: Per le PMI è veramente importante abbracciare questa tecnologia perché non importa quanto piccolo sia il business, è comunque necessario mantenere la prospettiva e l’impostazione di un business globale sempre in movimento. Una piccola azienda può permettersi solo uno o due persone full time nell’IT e potrebbero non essere sufficienti. Queste tecnologie sono importanti per mantenere la giusta apparenza a livello pubblico che l’azienda deve avere.

JB: Storicamente, in Europa il mercato delle PMI è sempre stato più esteso rispetto ad altre Regioni, per questo motivo proprio qui le aziende hanno la possibilità di fare da apripista, dimostrando che – nonostante la dimensione relativa dell’organizzazione – se vengono supportate dalla tecnologia giusta, possono competere con imprese consolidate.
In sintesi, non è un’opzione per le PMI avere delle risorse legate al mantenimento delle operazioni IT.

In aree come il Medio Oriente per esempio, un mercato relativamente nuovo, le aziende sono maggiormente pronte a sfruttare il mondo del Software Defined perché non hanno il legacy associato ad altre Regioni.

Come scelgono le imprese la strada giusta verso il cloud ibrido e SDDC?

CW: Parte del ruolo di VMware è essere un consulente di fiducia e assicurarsi che le aziende comprendano come possano metodicamente raggiungere lo stato finale. Tutti amano l’idea di essere completamente automatizzati e di fare IT as a service, ma bisogna partire dal piccolo.

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Potrebbero, ad esempio,  partire automatizzando semplicemente il proprio lab di sviluppo e test, per poi evolversi da lì. Anche quando si imposta la tecnologia, i processi cambiano e le persone devono acquisire nuove competenze. Bisogna costruire una base di conoscenza istituzionale prima di andare avanti a sviluppare questi concetti.

 

Cosa potrebbe accelerare questo processo?

CW: VMware sta facendo molto per contribuire ad accelerare il processo. Uno degli esempi migliori è la nostra linea EVO che fornisce un’esperienza IOS-like per la delivery dei servizi data center. Semplicemente funzionano, vengono aggiornati in modalità as a service. Non bisogna più pensarci, basta sapere che stanno funzionando.

La situazione è paragonabile all’utilizzo di un iPhone: non si ha tanto a che fare con IOS, ma con le applicazioni. Allo stesso modo, alla fine della giornata il team IT spreca molto meno tempo in aggiornamenti e manutenzione e può concentrarsi su cose più importanti.

 

Che cosa può offrire VMware alle start-up?

CW: Le start-up sono importanti perché spesso sono quelle aziende che sanno rivoluzionare la tecnologia tradizionale, e molta innovazione proviene dalle loro organizzazioni.
Vogliamo essere sicuri di avere una piattaforma estesa che le start-up possano rapidamente sfruttare e integrare.

Nei primi tempi potrebbero non avere la larghezza di banda necessaria per avere un rapporto vero con noi ed è per questo che il sostegno di VMware a OpenStack è così importante. Oggi, infatti , grazie a un set di API Open Stack condiviso nella community, siamo in grado di integrarle con qualsiasi nuovo tipo di tecnologia offerta dalle start-up, usando semplicemente l’open source.
Tutto questo permette alle aziende clienti di innovare al proprio ritmo utilizzando alcune delle nuove tecnologie emergenti provenienti da queste start-up attraverso l’integrazione nativa Open Stack.

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Quali sono alcuni degli altri benefici del SDDC?

CW: Quando si distribuisce un’applicazione, non si ha davvero idea di dove l’applicazione debba risiedere per tutta la sua vita. Con l’approccio SDDC, si può continuare a eseguirla nel proprio data center, presso un outsourcer o in un cloud pubblico, o ovunque si senta il bisogno di farlo durante tutto il ciclo di vita dell’applicazione. Per il team IT basta poco tempo per passare l’applicazione da una all’altra di queste piattaforme.

Le organizzazioni IT spesso sembrano dimenticare i costi di dismissione di una piattaforma. Sembra così anche a voi?

CW: Conversando con i clienti spesso abbiamo scoperto come molti non si rendessero conto di quanto gli sarebbe costato eseguire l’applicazione su Amazon Web Services. Hanno chiesto cosa comportasse spostarla? Quando abbiamo indagato a fondo, 99 volte su 100, la risposta è stata no. La parte più costosa sarà fare la migrazione.

Spostare lo stack operativo, la gestione e la sicurezza che si trova dietro l’applicazione è sempre la parte più difficile. Con un’infrastruttura basata su VMware quel pezzo del puzzle non viene mai modificato, indipendentemente da dove si fa girare l’applicazione. Tutto rimane allo stesso modo.

Un cliente vCloud Air ha dichiarato di aver ridotto un processo di due settimane a meno di un giorno. Si tratta della stessa infrastruttura VMware e delle stesse API, quindi non è stato necessario fare nulla. Bastava portare tutto online e assicurarsi che funzionasse. E questo è stato l’unico sforzo della giornata.

 

Qual è l’approccio di VMware alla sicurezza?

CW: La sicurezza è uno dei temi di business maggiormente in crescita nella storia di VMware, probabilmente quasi come quelli legati all’hypervisor stesso.

JP Morgan Chase possiede attualmente una delle organizzazioni di sicurezza IT più sofisticate nel mondo. E quando anche un’organizzazione di questo tipo viene colpita dagli hacker si capisce come gli strumenti a disposizione per risolvere alcune di queste sfide alla sicurezza siano semplicemente inadeguati.

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VMware è in grado di integrare la sicurezza rispetto a tutte le applicazioni del data center. Si tratta di qualcosa che non poteva essere fatto in passato. Le imprese vorrebbero avere il loro firewall tradizionale e quando il malware attraversa il firewall  il gioco è fatto.
Quando è possibile virtualizzare il firewall e, di conseguenza, si può impostare un perimetro dedicato intorno ad ogni applicazione del data center, le regole del gioco cambiano totalmente.

Centinaia di clienti stanno implementando questa tecnologia nei propri data center, perché vedono la sua semplicità. Forniamo il framework a partire dal quale è poi possibile scegliere uno qualsiasi tra i propri vendor di sicurezza, per poi farlo funzionare sopra quel framework.

La parola virtualizzazione oggi è diventata meno importante?

CW: Penso che sia un termine di cui vogliamo assumerci la paternità in quanto si tratta della tecnologia su cui si basa tutto. Se pensiamo alle priorità dei CIO identificate da Gartner, ancora oggi è nella top 10.

Quello che vogliamo ora è fare evolvere la discussione. C’è molto di più della virtualizzazione dei server. Per portare avanti un servizio online è necessario il networking, la sicurezza e lo storage. Questo è un punto di forza di VMware: abbiamo virtualizzato già tutti questi aspetti, e queste sono le cose di cui tutti hanno bisogno.
Vogliamo continuare a innovare in questo ambito, per dimostrare che siamo molto avanti rispetto alla concorrenza.

 

Come cambia il modo di lavorare per le aziende?

CW: Il concetto che cerco di comunicare ai clienti è: “Guarda che non bisogna inventarsi più nulla da soli”. Quando avete a disposizione dei mattoni più grandi che risolvono i vostri problemi, basta andare a prenderli e utilizzarli. Questo permetterà al business di svilupparsi in modo più rapido e alla fine il vero obiettivo è proprio quello!