IBM ha puntato sui Big Data e ora comincia ad incassare

Privacy, digitale e Big Data: un trinomio di criticità attualmente sotto l’esame delle istituzioni europee per le possibili ricadute sulla vita dei cittadini.

Sebbene si tratti di temi che dominano i media tradizionali, sia in Europa che negli Stati Uniti, poco si racconta delle aziende che stanno spingendo oltre le frontiere tecnologiche legate alla gestione dei big data.

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Chi immagina un panorama frammentato e caratterizzato da start-up giovani e innovative resterà però facilmente deluso. Da General Electric a Oracle, le compagnie leader del settore sono le stesse che hanno consegnato ai mercati prodotti quali la lampadina a incandescenza, il ventilatore elettrico e la radiosveglia digitale.

Nonostante siano molte le compagnie in corsa per il titolo, può essere tranquillamente definito l’evangelista globale dei Big Data. Basta considerare le tecnologie messe in campo, la dimensione ambiziosa dei progetti intrapresi e, ovviamente, i profitti maturati finora grazie al settore.

Ogni giorno gli abitanti del pianeta producono, consapevolmente o meno, 2.5 miliardi di dati: si tratta di informazioni analitiche relative alle proprie attività online o di contenuti volontariamente immessi diffusi in rete. L’80% di questi dati viene definito ‘non strutturato’ poiché necessita di un’analisi perché ne venga ricomposto il senso. A questa categoria appartengono video, foto, post sui social media. IBM sta puntando proprio sulla capacità di analizzare questi dati non strutturati per costruire un vantaggio competitivo e attrarre clienti interessati alla profilazione dell’utenza.

Dall’ultimo report aziendale: IBM ha investito 24 miliardi di dollari nei big data a cui bisogna aggiungere altri 17 miliardi spesi per acquisire 30 aziende attive nel settore e 7 miliardi investiti nelle infrastrutture. Attualmente, IBM impiega 15.000 analisti e 400 matematici.

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Non si tratta, comunque, di una corsa in solitaria. IBM ha stretto diversi accordi, alcuni molto recenti, per consolidare la propria leadership nel settore. La collaborazione che ha avuto maggiore risalto nei media è indubbiamente quella con Facebook. In base all’accordo firmato a metà maggio, le aziende che investono in pubblicità sul social media di Zuckerberg protranno sfruttare la suite analitica di IBM per attingere ai dati relativi alle proprie campagne e ai propri utenti. Com’è noto, infatti, sebbene Facebook fornisca pagine concepite per le aziende e gli inserzionisti, da queste non è possibile estrapolare dati anagrafici o di contatto. I criteri di tutela affermati nei Termini e Condizioni dell’utilizzo di Facebook restano intatti, visto che la stessa IBM non ha modo di collegare la reale identità dell’utente ai dati raccolti su Facebook. Il vantaggio per le aziende consiste nella possibilità di analizzare le campagne di marketing stabilendo dei parametri di successo legati alla profilazione della clientela. In questo modo è per esempio possibile capire se una determinata campagna abbia avuto maggiore successo tra i ventenni o i cinquantenni, tra uomini e donne e così via.

IBM resta tra i pochi colossi dell’informatica a non essersi lanciato nell’agone dei tablet, piuttosto ha deciso di stringere un accordo con Apple per lo sviluppo di applicazioni da destinare ad iPad e Apple Watch.

Altro accordo basato sull’analisi dei dati è quello stretto con Deloitte. I due gruppi scommettono che i computer possano comprendere e affrontare i mercati finanziari meglio di qualsiasi analista. Hanno quindi sviluppato un programma che consente di combinare dati finanziari, leggi e progetti aziendali per valutare la percentuale di rischio insita in ogni operazione.

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Sebbene sia presto per incoronare un vincitore, IBM ha investito pesantemente nell’analisi dei dati e ha varato una strategia che sembra allontanarsi decisamente dalla produzione di gadget informatici per abbracciare, invece, i profitti nascosti nell’immateriale, nelle nostre conversazioni online e nell’autorizzazione all’uso dei dati personali che così spesso sottovalutiamo.

Francesco Fucà, Financial Writer