Retelit – Il cloud con i piedi per terra

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L’operatore quotato alla Borsa di Milano eredita la tradizione del mercato liberalizzato delle TLC, adattandola alle nuove esigenze di trasporto e trattamento “smart” alla base della digital transformation delle nostre imprese

Con l’imporsi del modello del business digitale, dominato dalla tendenza alla virtualizzazione delle infrastrutture tecnologiche, ossia alla separazione tra gli “strati” hardware e software, gli scenari competitivi nel mondo ICT sono drammaticamente cambiati. Quella che potremmo chiamare “dittatura” del data center, unita alla spinta alla virtualizzazione delle risorse di rete, rischia di farci perdere di vista l’importanza di una solida infrastruttura, il suo ruolo fondamentale nel buon funzionamento sia del cloud computing – come paradigma con le sue offerte as a Service – sia delle soluzioni di business continuity, che rendono possibile l’operatività any time / anywhere verso cui tutte le aziende stanno convergendo.

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Il software sta divorando un po’ tutto. Quella che un tempo era una facile distinzione tra operatori di telecomunicazioni e aziende di informatica – oggi – diventa un po’ più complicata. Se i primi devono acquisire sempre maggiori competenze “sistemistiche”, imparando meglio la natura di servizio del traffico trasportato, i secondi, che certe competenze le hanno già, tentano di prendersi tutta la scena, anche perché il cliente tende a percepire il cloud come una risorsa sempre disponibile per definizione.

“Sotto al cloud” ci deve essere una valida infrastruttura di trasporto, ricorda l’amministratore delegato e direttore generale di Retelit, Federico Protto. «Come operatore e provider di servizi di trasporto “wholesale”, Retelit dispone di questa infrastruttura, sa come gestirla, e vuole allargare il proprio orizzonte oltre il campo tradizionale delle telco, proponendosi anche alle aziende come fornitore di servizi cloud». Al tempo stesso, Retelit mantiene il controllo del suo asset “originale”: una rete di oltre novemila chilometri di fibra che collega una decina di reti MAN (metropolitan area network) e diciotto data center che equivalgono a una superficie di 16mila metri quadrati di spazio attrezzato. Con un vantaggio, ricorda il direttore commerciale, Giuseppe Sini, che distingue la società sia dai concorrenti più diretti (le telco nate dalla liberalizzazione del mercato, come la stessa Retelit) sia dall’ex monopolista Telecom Italia. E questo vantaggio è la qualità della rete. «Siamo gli unici, in Italia, ad avere una certificazione Mef 2.0 sull’intera suite di servizi carrier Ethernet». Per i clienti nazionali e internazionali di Retelit – che in qualità di provider ufficiale delle basi americane in Italia dispone anche di una certificazione Nato – questa certificazione implica la possibilità di realizzare end-to-end con una qualità di servizio elevata e garantita.

Dario Pardi, presidente

Il nuovo corre sul cavo

La storia dell’operatore Retelit è più lunga di quella dell’attuale brand dell’azienda, che nel 2005 ha preso il posto dell’originario ePlanet. La quotazione in Borsa, all’epoca sul Nuovo Mercato, risale al 2000. Nel 2003, ha avuto luogo tra l’operatore e-Via e l’allora ePlanet – specializzato nella copertura in fibra delle aree metropolitane – una fusione che porta in casa del gruppo milanese un backbone di interconnessione nazionale di circa tremila chilometri. Gli anni ruggenti delle dot.com tecnologiche con quotazioni stratosferiche sono tramontati da un pezzo, ma Retelit festeggia il quindicesimo anniversario della sua presenza in borsa con un nuovo piano industriale che mira a chiudere il 2019 con un fatturato di 70 milioni di euro. «L’attuale prospettiva – precisa Protto – è di riuscire a confermare un dato di piano tra i 39 e i 41 milioni di euro di fatturato a fine 2015. Obiettivo confermato anche dai dati della più recente trimestrale. Siamo fiduciosi anche sul raggiungimento di un Ebitda di dieci milioni». Lo stesso piano industriale prevede per Retelit un ritorno all’utile entro il 2017, ma Protto ritiene possibile un segno positivo già nel 2016.

Che cosa ha portato a questa rimodulazione delle strategie dell’operatore e alla nomina del nuovo management? La grande svolta coincide con la forte spinta alla globalizzazione che arriva nell’autunno del 2014, quando Retelit decide di aderire al consorzio AAE-1 per la costruzione del cavo sottomarino di ultima generazione che entrerà in esercizio alla fine del prossimo anno e collegherà Europa, Africa, Medio Oriente e Asia fino a Hong Kong. Il cavo AAE-1: 25mila kilometri di fibra, 40 terabit al secondo di capacità complessiva e una latenza inferiore alle infrastrutture che collegano attualmente il Far East all’Europa. Un investimento complessivo di 58 milioni di euro realizzato da un consorzio di 19 operatori, che nell’area del Mediterraneo prevede tre cosiddette “landing stations”, in Francia, Italia e Grecia, consentendo il trasporto in standard Ethernet 100 gigabit verso aree molto calde dal punto di vista dei servizi per il digital business.

Alla fine del 2014, sulle questioni del finanziamento di questo progetto si determina un rimescolamento in seno alla compagine azionaria di Retelit. «Non sono cambiati gli assetti» – spiega Protto. «È stato però costituito un diverso patto di sindacato che ha deliberato una rifocalizzazione in direzione della clientela business. Non è un caso se il nuovo board ha scelto me, con la mia esperienza in Deutsche Telekom, Verizon e Telecom Italia e un presidente come Dario Pardi, che viene da una lunga e fruttuosa esperienza nazionale e internazionale nel mondo ICT». Due nomi che la dicono lunga sulle intenzioni di Retelit di spingere ben al di là del trasporto dati e della capacità di banda, venduta alle aziende in cerca di connettività tra le loro sedi, o come si dice, in modalità “wholesale”, ad altri operatori. Per entrare nel mondo delle reti e delle infrastrutture intelligenti. E come sintetizza Protto – «per andare oltre l’housing di server fisici dei nostri clienti».

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Federico Protto, amministratore delegato e direttore generale

Approccio strategico

Anche in questo senso, il progetto del cavo AAE-1 è sicuramente ambizioso. La strategia nasce dalla volontà di collegare India e Cina, due delle nazioni BRIC, una zona in grande espansione, che genererà molta richiesta anche dal punto di vista delle aziende italiane. Restava, in un primo momento, il nodo degli oneri finanziari. Ma una delle prime mosse del nuovo management di Retelit, a conferma di un’effettiva autonomia decisionale, è stato di rinegoziare il finanziamento per la partecipazione di Retelit al consorzio AA-1 con forme più convenzionali di prestito che hanno preso il posto dell’operazione messa a punto dal precedente board, giudicata troppo rischiosa. Se Pardi e Protto hanno visto giusto, Retelit potrebbe diventare un protagonista molto interessante in un panorama sempre più affollato di aziende italiane che puntano alla internazionalizzazione e soprattutto alla digitalizzazione del loro business.

«Nel decidere – racconta Dario Pardi – abbiamo cercato di capire perché un asset così strategico del mercato italiano fosse sottovalutato, facendolo diventare una “Ferrari” con il freno a mano tirato.  Oggi, tutti parlano di cloud, di Internet of Things, di Big Data. Il tutto condito con l’olio della virtualizzazione. A che cosa ci portano queste logiche? A volumi sempre più grandi di informazioni che corrono sui cavi, con connessioni che devono essere internazionali se tutti vogliono cogliere gli effetti positivi della globalizzazione. Queste sono esattamente le aree in cui Retelit opera». Ma esistono anche le aree dei servizi in cloud e più in generale dei servizi a valore aggiunto, in cui l’operatore milanese è intenzionato a dire la sua, proprio considerando il rapporto di forte dipendenza che lega il mondo dei servizi alle connessioni ad alta qualità che Retelit sa come gestire. Per compiere il passaggio e far ripartire a pieno regime il motore della “fuoriserie” bisogna lavorare su un livello che finora Retelit, per la sua vocazione infrastrutturale, ha trascurato: le partnership. «Questi accordi potranno essere di tipo puramente tecnologico/industriale, o veri e propri business aperti a loro volta al mercato» – sottolinea provocatoriamente Pardi. Oggi, chiunque voglia intraprendere una strategia integrata per offrire servizi cloud dipende in ultima analisi dalla presenza e dalla qualità della rete. Queste partnership possono avvantaggiarsi della neutralità di Retelit anche rispetto ai conflitti di interesse che possono condizionare i rapporti con i grandi operatori. In quei casi, possiamo dire che sono le aziende di servizio o le telco loro partner a decidere veramente i prezzi? Le nostre dimensioni e la nostra indipendenza ci consentono di dare tutta l’attenzione necessaria anche alle imprese medio-piccole e a quelle che non sono in grado di sviluppare le necessarie competenze di rete. A tutti, Retelit garantisce qualità del servizio e capacità consulenziale».

Propulsore di business digitale

Siamo già entrati nel complesso terreno dei delicati rapporti tra la tecnologia “intermediata” e il tradizionale tessuto imprenditoriale, fatto soprattutto di realtà di medio e piccolo calibro. Queste imprese hanno tutto l’interesse – e come dimostrano gli innumerevoli casi di successo, anche la capacità – di trasformarsi in senso digitale, ma faticano a farlo. In molti casi, gli ostacoli non sono di natura finanziaria o di volontà. Le resistenze al cambiamento nascono dalle inevitabili difficoltà di dialogo con i provider di grandi dimensioni. Retelit sembra essere intenzionata a percorrere il solco tracciato in questi anni da diversi system integrator e consulenti italiani, che si sono attrezzati in modo particolare per interagire con il segmento Medium Large Enterprise. La differenza dipende dall’infrastruttura che Retelit possiede e gestisce al meglio. Il gruppo milanese rimane per sua natura un operatore, che nel gergo della liberalizzazione del mercato si chiamava Clec (competitive local exchange carrier, termine che distingueva le prime telco alternative agli “incumbent”, gli ex monopolisti come Telecom). Ma si propone alle aziende italiane globalizzate come operatore preferenziale nell’era del business digitale e del software-defined everything.

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Enrico Mondo, direttore operativo

«Ci siamo chiesti perché alcune aziende sono lente nell’adottare i modelli del cloud computing» – spiega Protto. «La barriera del costo è sicuramente uno degli ostacoli. Noi stiamo studiando le formule opportune per stimolare la domanda e l’offerta di questi servizi, anche andando a identificare possibili partnership con chi sviluppa app native per il cloud e ha difficoltà a entrare nel mercato per le ragioni evidenziate da Pardi. Retelit ha l’infrastruttura e possiamo proporre interessanti modelli di condivisione del rischio e del fatturato. Il partner ideale per il cloud all’italiana non può essere un grande operatore». Per illustrare meglio gli obiettivi che questa svolta strategica si prefigge, l’AD di Retelit traccia una sorta di identikit anche per la controparte ideale, dal lato della domanda. «Pensiamo a un’azienda come Gala (www.gala.it), al quarto posto della classifica dei venditori di elettricità e gas, con oltre un miliardo di fatturato. Il suo business è distribuire energia, ma tutto si basa, oltre che su un prezzo competitivo, anche sulla qualità del servizio al cliente finale, in aree come il servizio di fatturazione e di call center». L’esempio di una società come Gala è calzante perché pur trattandosi di una realtà di medie dimensioni per fatturato e numero di dipendenti, oggi il gruppo romano vanta la maggior capitalizzazione sul mercato alternativo Aim di Borsa Milano, dove è quotato dal 2014. E per questo, oggi, un trader energetico come Gala rappresenta la tipica realtà imprenditoriale che può sfruttare i vantaggi della digital transformation. È un’azienda che scommette sull’efficienza e la scalabilità dei suoi servizi software, sulla capacità di adattarsi ai picchi di attività del billing. Il cloud computing, direbbero a Roma, è la “morte sua”. Ma chi può essere il suo cloud provider ottimale? Protto e Pardi ritengono di avere la risposta giusta.

“Ultra banda” per il Paese

Il nuovo management è convinto che Retelit debba avere un ruolo importante nello sviluppo della infrastruttura nazionale a banda ultralarga, il piano di upgrade della rete di accesso che dovrebbe assicurare a tutte le aziende e le famiglie italiane una connettività minima di 30 megabit al secondo. Per il Sistema Paese è una necessità fondamentale perché il gap rispetto al resto d’Europa sta cominciando a diventare preoccupante, un ingombrante ostacolo alla trasformazione e allo sviluppo di nuovi servizi. «Durante l’estate il Governo ha annunciato lo stanziamento di 2,2 miliardi che andranno ad aggiungersi ai fondi regionali – sottolinea Protto – ma il modo in cui questi stanziamenti verranno concretamente convertiti in bandi è ancora oggetto di una discussione che ci interessa molto. Sappiamo che Retelit può avere un ruolo di primo piano nell’infrastrutturazione del Paese. Siamo neutrali, abbiamo dimostrato di saper fare il nostro mestiere, abbiamo già una rete». Protto si affretta tuttavia a precisare che il clima di incertezza, soprattutto in termini temporali, ha indotto il management a non considerare il potenziale coinvolgimento nei piani per la banda ultralarga nella formulazione del piano triennale di rilancio dell’azienda. «Eventualmente, tutto quello che potrà derivarne, sarà un “upside” rispetto alle previsioni fatte».

Anche il direttore operativo, Enrico Mondo, è convinto che la sua azienda possa avere uno spazio importante nel progetto di fornire alle imprese del Paese quel livello di infrastrutture necessario per competere sul piano della digital transformation. «Su certi indicatori europei è vero che oggi siamo tra i fanalini di coda, ma è anche vero che in Italia esistono infrastrutture, in parte realizzate con soldi pubblici. Oggi, queste reti sono delle municipalizzate, o controllate da altri soggetti pubblici, ma non vengono messe a disposizione di tutti gli operatori senza oneri come previsto dalla legge 133 del 2008 e nemmeno alle condizioni fissate dall’AGCOM per la rete dell’ex monopolista. Lo stesso spirito, secondo noi, andrebbe esteso a tutte queste reti. Siamo aperti a entrambi i modelli di partecipazione al piano per la banda ultralarga (intervento a incentivo e Partnership Pubblico Privata). Evidentemente, le aree preferenziali per noi sono quelle ad alta densità di utenza business, e gli operatori a loro volta trovano in Retelit il riferimento ideale, forse unico in Italia per le sue caratteristiche. Noi siamo dei “wholesaler” delle Tlc, siamo indipendenti, abbiamo una copertura nazionale, ma soprattutto non ci limitiamo a un’offerta di capacità trasmissiva pura, di fibra cosiddetta “spenta”. Facciamo anche servizi attivi, con livelli qualitativi che non sono improvvisati, ma nascono da una lunga esperienza testimoniata dai rapporti con i grandi carrier internazionali».

Fornitore one stop

Il gioco, come abbiamo visto, va ben al di là della sfida per un capillare accesso ad alta velocità da offrire al Paese. Secondo Mondo, Retelit si sta attrezzando per ampliare la propria gamma di servizi, in aree che non fanno parte della storia passata di questa azienda. Le partnership saranno fondamentali per accelerare i tempi di go-to-market della nuova offerta. «In parte, possiamo già contare su diverse collaborazioni per quanto riguarda le tecnologie più consolidate» – spiega Mondo. «Per arrivare alla certificazione Metro Ethernet Forum (MEF) abbiamo investito molto sul nostro backbone e stiamo lavorando con i partner per ampliare ulteriormente il portafoglio di prodotti Tlc. Per quanto riguarda il cloud e i servizi a valore aggiunto, siamo partiti dalla completa virtualizzazione dei nostri data center, che sono tutti interconnessi in fibra e costituiscono una piattaforma cloud ormai pienamente operativa e in costante evoluzione. Ora per esempio, stiamo valutando delle soluzioni di cloud di tipo iperconvergente, destinate a valorizzare anche l’offerta dei servizi di virtual data center». «L’obiettivo – conclude Mondo – è costruire un vero e proprio ecosistema che ruoti intorno al cloud Retelit: un ambiente aperto a tutti i partner di servizio che sfrutteranno le capacità dell’infrastruttura sia per sviluppare il proprio business sia per contribuire alla crescita e alla velocità di Retelit in una modalità condivisa».

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Giuseppe Sini, direttore commerciale

Per il responsabile commerciale, Giuseppe Sini, Retelit sta cercando di trasferire in un contesto “IT oriented” lo stesso modello di crescita organica adottato a suo tempo per la crescita infrastrutturale del Gruppo, aggiungendo la forte motivazione legata al nuovo piano industriale. «L’offerta di virtual data center non è qualcosa che deve arrivare, ma esiste già. Eravamo partiti con l’offerta di servizi informatici “accessori” all’offerta infrastrutturale, mettendo a disposizione una piattaforma di storage sicura. La risposta è stata molto positiva e ci ha incoraggiato a perseguire il nostro obiettivo di crescita graduale verso la piattaforma virtuale completa che non si limita a servizi commodity». Per un provider nato – pur in un contesto liberalizzato, all’inizio della convergenza dei servizi telefonici, in anni in cui le infrastrutture di trasporto dei dati venivano ancora percepite dagli utilizzatori come un’entità distinta dalla rete telefonica tradizionale – questa nuova transizione verso l’infrastruttura virtuale, capace di mescolare tanto il trasporto come il trattamento dell’informazione, comporta un salto culturale molto sfidante, ma molto premiante in termini di valori generati.

Smart Saas Program

Ma in concreto, qual è il potenziale che Retelit cercherà di sfruttare attraverso questo percorso di trasformazione? «Secondo le nostre valutazioni, l’insieme del mercato indirizzabile da Retelit, vale tra i 600 e i 700 milioni di euro all’anno» – risponde Protto. «Parliamo di un sottoinsieme di quel mondo di servizi di telecomunicazione fissi, che va dal piccolo studio legale fino alla grandissima azienda e comprende i cosiddetti Vas. In Italia, questa intera torta vale un paio di miliardi. Con le nostre capacità e la nostra rete in fibra, pensiamo di poter efficacemente attaccare un terzo di questa torta». La clientela che Retelit prevede di servire comprenderà quindi le aziende di medie dimensioni, che – secondo Sini – potranno trovare nell’operatore milanese il giusto interlocutore “one stop” per una varietà di scenari convergenti: dal cloud interconnect a 100 gigabit al secondo, fino alle applicazioni di backup e recovery, business continuity, unified communication, document management. Applicazioni che si appoggeranno sul cloud Retelit. «Il mondo delle medie imprese troverà in Retelit un partner altrettanto affidabile, con qualità analoga se non superiore a quella di una grande telco o di un grande cloud provider, ma con costi e contrattualistica sicuramente più competitivi». Senza contare che attraverso le partnership potrebbero nascere sviluppi inattesi. «Noi ci auguriamo di trovare una nuova Airbnb italiana» – sorride Sini. Una battuta che spiega in modo molto efficace la tipologia di business digitale che la struttura di Retelit intende stimolare e con cui spera di allearsi attraverso un portafoglio di offerta che ha già il suo nome: Smart SaaS Program.

Considerando che la maggior parte del fatturato continuerà ad afferire alle tradizionali attività di connettività wholesale, come sarà composto il mix di offerta di Retelit alla conclusione dell’attuale piano industriale? «Prendendo il valore complessivo generato, mi aspetto una quota superiore al 10% di fatturato, proveniente da attività riferibili al nuovo cavo sottomarino. Il rimanente vedrà almeno un 20% legato ai servizi forniti al mondo aziendale» – calcola Federico Protto. Niente male, per un’azienda che oggi è al 95% un fornitore di capacità di trasporto. Le regole della digital transformation – però – sono queste: Retelit sta imparando, come tutti, ad astrarre il più possibile il software e i dati dalle infrastrutture hardware. La sua unicità risiede nella funzione che potrà svolgere nello stimolare la trasformazione, proprio in quanto proprietario e gestore di rete intelligente dotato di una mentalità molto vicina alla realtà imprenditoriale italiana.

Foto di Gabriele Sandrini