Data revolution, 40 anni di innovazione in Italia

La sfida del cambiamento tra identità, resilienza e trasformazione

Nel 1976, l’Italia agricola sotto la spinta della ricostruzione e del boom economico entra nel G7. Oggi, a 40 anni di distanza, un anno dopo l’Expo di Milano, chi siamo e dove stiamo andando? Dal mainframe all’informatica distribuita, dalle architetture fisiche a quelle virtualizzate, passando per il cognitive computing e l’intelligenza artificiale, la tecnologia ci dimostra di non essere neutra e ci troviamo a fare i conti con una complessità che mette insieme le variabili del lavoro, dell’energia, dell’ambiente e dell’informazione, in una nuova equazione difficile da risolvere. Siamo alle soglie di una nuova rivoluzione industriale e dobbiamo esercitare la virtù della resilienza. Resistere. Resistere. Ma non tutte le resistenze sono positive. Lo sanno bene le nostre imprese migliori, ma non lo sa ancora il Paese. La sfida più grande è costruire il domani, per usare il titolo dell’ultimo libro di Stefano Quintarelli, tra i pionieri del digitale in Italia. Per Quintarelli, che a sua volta cita William Gibson, forse il futuro è già qui, ma è solo distribuito male. «E questa differenza di passo, fa sì che in tutti i settori dell’economia, e in tutto il mondo, si stiano realizzando trasformazioni che da un lato creano grandi opportunità di benessere e di miglioramento della qualità della vita, dall’altro presentano nuove prove per la società umana. E la più importante disomogeneità sta nella differenza di passo tra lo sviluppo delle attività economiche e la lentezza delle istituzioni a comprendere e a creare un’adeguata risposta normativa che permetta di sfruttare la nuova “dimensione immateriale” a favore di tutta la società».

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40 anni sono tanti o pochi?

Se dovessimo seguire il ritmo con cui si è evoluta la tecnologia, le auto viaggerebbero alla velocità della luce. Lavoriamo a distanza, siamo collegati con persone e cose, prendiamo decisioni, spostiamo capitali da una parte all’altra del Pianeta alla velocità di un click. Nel 2020, un chip sarà piccolo quasi quanto un neurone umano e la sua potenza supererà quella di un miliardo di transistor. I robot saranno dotati di empatia e porteremo nel taschino tutta la conoscenza del mondo. Saremo in contatto con persone e cose. La rivoluzione dei dati abiliterà nuovi modelli di business, cambierà il modo di vendere, acquistare e prestare denaro, con un impatto sulla sicurezza, la finanza e la privacy come la intendiamo oggi. Tutto questo però basterà per trasferire questo patrimonio di conoscenza dal taschino al cervello? E forse, sarà sempre più difficile, isolarsi, perdersi o soltanto dimenticare. Con l’attuale livello di crescita mondiale e di costo del denaro, per la prima volta nella storia siamo davanti a una nuova opportunità per il capitalismo di resistere a se stesso: quella di scegliere non la via più utile per il guadagno, ma la più vantaggiosa per lo sviluppo. Le nuove parole del business e della tecnologia saranno collaborazione, cultura, sinergia. Riscoprendo la grande lezione del paradigma olivettiano di una possibile nuova alleanza per lo sviluppo sostenibile tra società e impresa.

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Che cosa è l’innovazione?

Il benessere economico dipende da tutti, nessuno escluso. I potenti algoritmi di ricerca confermano una verità, antica come il mondo: “Sapere è potere”. La conoscenza è il nuovo campo di battaglia. L’ICT libera le forze, espande lo spazio, comprime il tempo, ma logora le gerarchie, accorcia la catena della produzione e rende obsoleta l’intermediazione. La trasformazione è in atto e può diventare distruzione o cambiamento. L’innovazione ci porta a capire cose importanti di noi stessi e del mondo. Nessuno squilibrio può resistere per sempre. Non è una lezione di filosofia morale, ma di fisica. L’economia digitale per funzionare ed essere sostenibile ci chiede in cambio rispetto delle regole e trasparenza.

La tecnologia è empowerment

C’è l’innovazione di “moda” e c’è l’innovazione che rilancia il saper fare delle imprese da Nord a Sud. C’è l’innovazione che non ti aspetti, silenziosa e normale, che fa funzionare meglio le imprese, rendendole più competitive e capaci di reagire ai cambiamenti del mercato. Il racconto mainstream è quello di un Paese con forti ritardi, con un livello di spesa e di corruzione fuori controllo, un PIL con il freno tirato. Ma c’è anche un Paese che continua a resistere. E forse è questa la definizione più tecnopratica di innovazione. Siamo sempre stati innovativi, ma non per meriti particolari, per necessità, per sopravvivenza. In Italia, crescono 500 startup all’anno con un decimo degli investimenti. Secondo i dati della Commissione europea, gli investimenti pubblici in ricerca e sviluppo sono lo 0,54% del PIL (0,75 della media europea) e quelli privati sono lo 0,67 del PIL (0,52 della media europea). Questo divario dura da più di 30 anni. Eppure, ce la possiamo fare. Perché l’Italia può ancora disegnare un nuovo percorso. Perché l’Italia ha un patrimonio artistico e di intelligenza unici al mondo. Perché se abbiamo perso il treno della componentistica, siamo ancora forti sulla service integration. Perché le nostre università formano i cervelli che fanno crescere il PIL del mondo. Perché l’Italia resta ancora il secondo Paese manifatturiero in Europa e il quinto al mondo. E perché, le imprese italiane che competono nel mondo – pur facendo i conti ogni giorno con la burocrazia insensata, i costi energetici più alti d’Europa, la legislazione pasticciata e l’illegalità diffusa – sono imprese competitive al cubo.

Raccontare l’ICT in Italia

La nascita di Data Manager coincide con l’era della microelettronica, del processore Intel 4004 e del personal computer. Data Manager ha raccontato l’innovazione e lo sviluppo delle imprese. Già il nome scelto precorre i tempi e attraversa tutte le tappe dell’informatica, mettendo al centro i dati e le persone. Esce per la prima volta come supplemento di Tempo Economico, quando Steve Jobs e Steve Wozniak nel 1976 avevano già costruito nel loro garage l’Apple I. Nel primo numero, si parla di evoluzione del data center integrato (un titolo che andrebbe bene ancora oggi), di elaborazione decentrata e di business continuity nelle banche. In quello stesso anno, Felice Gimondi vince il Giro d’Italia e la Corte di Cassazione condanna il film Ultimo tango a Parigi di Bernardo Bertolucci. Il governo approva l’aumento delle tasse e il blocco della scala mobile. Dalla fiera di Hannover, Olivetti presenta il “personal minicomputer” P6060. Debutta anche il sistema di scrittura TES 501 e si festeggiano i dieci anni della mitica Perottina. E i CIO si chiamano ancora “capi centro EDP”. James Goodnight fonda SAS in North Carolina e la FIAT annuncia che la Libia del colonnello Gheddafi entrerà nel capitale della casa torinese. Olivetti, dalla fiera di Hannover, presenta il “personal minicomputer” P6060. Sulla pubblicità dei supporti magnetici “Scotch” 3M dichiara che tutte le consociate del gruppo in Europa e Medio Oriente vengono rifornite dal modernissimo stabilimento di Caserta. In Italia, il governo approva l’aumento delle tasse, il blocco della scala mobile. L’inaugurazione della stagione alla Scala viene duramente contestata con lancio di uova marce contro il pubblico e di molotov contro la polizia. Sono le prime avvisaglie del Movimento del ‘77. Il lavoro diventa terreno di scontro.

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Come creare lavoro

Nel 2020, i lavori manuali saranno assorbiti dalle macchine. I cosidetti Neet (non scolarizzati 30%), avranno il diritto di consumare, non di produrre. Non faremo la fine dei cavalli (forse), ma il lavoro e il tempo libero cambieranno radicalmente. Il compito della politica è di creare le condizioni del cambiamento. Alla politica invece si chiede quello che non può fare e cioè creare ricchezza. Bisogna concentrarsi sui motori veri dello sviluppo. Sono le imprese che producono ricchezza. La politica non può distribuire ciò che non si produce, spostando il peso del debito sulle generazioni future. Le statistiche dimostrano che l’occupazione è più alta dove i livelli di innovazione sono più elevati. Un uomo chiave Microsoft dice: «Le abilità valgono più delle credenziali accademiche». Nell’ambiente di Google si parla di “scoiattoli viola”: un paradigma di animali rarissimi che si applica al tipo di ingegneri eccellenti e moderni ai quali il lavoro non manca. Sono specialisti in: cybersicurezza, robotica, tecnologia dell’informazione, software, app mobili, griglie smart, cloud, big data.

Alla ricerca di un nuovo modello

Quando si possono trovare le stesse risorse, la stessa tecnologia, gli stessi prodotti e servizi a Berlino e a Singapore, a New York e a New Delhi – allora – è il momento di chiedersi che cosa ci rende davvero speciali e diversi dagli altri. Su cosa si basa il vantaggio competitivo delle nostre organizzazioni. Non possiamo solo copiare il modello della Silicon Valley tra le cascine del Parco agricolo a sud di Milano. Perché significherebbe costruire il futuro guardando al passato. R-innovare significa essere il cambiamento, reinventando regole e ricette. Nulla costa caro più della rigidità e della mancanza di fantasia. Per essere competitivi non basta lavorare di più e più velocemente se si fanno gli stessi errori al doppio della velocità. La parola competizione significa alla lettera “cercare insieme”. Il verbo decidere porta con sé il significato di “tagliare”. Decidere senza tagliare e competere restando da soli è il modo migliore per perdere la sfida. L’ICT non può essere soltanto una cassetta degli attrezzi, ma deve diventare un modo per fare le scelte giuste. Conosciamo la strada. Abbiamo gli strumenti. Che cosa ci impedisce di cambiare veramente?

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