Data strategy, il ruolo dei dati nella trasformazione digitale e le nuove regole europee sulla privacy. I CIO tornano protagonisti. Dal SAS Roadshow, la conoscenza trasforma le metriche e getta le basi di un nuovo equilibrio tra IT e Business
Da un roadshow all’altro, da una conferenza a una convention, qualche volta capita di non avere il tempo di riflettere sui tanti messaggi che vengono lanciati. Chi fa questo mestiere – e si ostina a farlo con cognizione – sa a cosa mi riferisco. E qualche volta si finisce – anche non volendo – a battere la grancassa, non sempre facendo un buon servizio né alle aziende né ai lettori. Così è utile lasciare sedimentare gli annunci per leggere tra le righe di una notizia.
Lo sappiamo e lo scriviamo in continuazione. La sfida numero uno che le imprese stanno affrontando è la comprensione del comportamento dei clienti, sulla quale pesa la mancanza di dati adeguati, di ritorni che giustifichino i costi della trasformazione o di cultura aziendale per una maggiore agilità.
La trasformazione digitale è uno sport di squadra, non di rado abbiamo visto i CIO lasciati in panchina. Al Roadshow di SAS, si è parlato di data management, del ruolo dei dati nella trasformazione digitale, di customer experience, di data governance, di compliance, delle nuove regole europee sulla privacy e soprattutto di data strategy.
Un messaggio però è finito in trasparenza, benché più volte ribadito nel corso delle presentazioni. In altre parole, i CIO sono tornati protagonisti, riemergendo da quella “zona grigia”, nella quale erano stati sprofondati da qualche esperto di marketing.
Quando Walter B. Wriston designò come suo successore John S. Reed (che aveva studiato al MIT), era convinto che fosse più facile insegnare tecnica bancaria a un esperto di tecnologia, piuttosto che tecnologia a un qualunque altro manager di grido. Chissà perché – negli anni successivi – qualcuno ha pensato che potesse funzionare anche il contrario.
Fino al 2020 secondo IDC, la spesa tecnologica finanziata dalle LoB sarà quasi pari a quella stanziata dall’IT. Ma con quale ROI, verrebbe da chiedersi? Dopo l’enfasi esasperata sul Business degli ultimi anni, l’IT si riprende il suo ruolo di regista della trasformazione digitale, in grado di abbracciare tutto l’ecosistema aziendale e di individuare i colli di bottiglia infrastrutturali. Altro che commodity! Forse, a molti sarà sembrata la logica conseguenza di quanto previsto da Gartner, secondo cui, la maggioranza dei progetti IoT guidati dal Business falliranno per deficit di sicurezza. E forse, per un’azienda come SAS – che fin dall’inizio non ha mai smesso di mettere l’accento sul valore delle competenze tecniche nella fase di sviluppo di un progetto – sarà sembrato un fatto più che normale o quasi scontato, inutile da sottolineare.
Eppure, la notizia c’è, ed è una di quelle che avrà conseguenze sulle strategie di offerta di molte aziende. E per l’Italia, in ritardo su tutto, dovrebbe suonare come un campanello di allarme.
Andata e ritorno
Insomma, I CIO non sono più “brutti e cattivi”. Non sono più quelli cambiano le lampadine; quelli rigidi e poco ready-to-business, capaci soltanto di trasformare le cose semplici in cose complicate; quelli con cui molte aziende vendor in Italia non volevano più parlare perché tanto non erano più loro a influenzare i budget IT. Cambio di rotta, invece. L’IT è reintegrata, come la mela di Pistoletto davanti alla Stazione centrale di Milano. Simbolo di un distacco iniziale, ma anche di un ritorno, dove le stesse ragioni, che hanno portato alla separazione, diventano il principio di un nuovo ordine, in cui le parti si ricongiungono, generando un nuovo equilibrio. Del resto, quando si mettono tutte le “mele” nello stesso cestino, bisogna stare molto attenti a chi affidiamo il cestino. E adesso, che l’evoluzione dell’IT viaggia verso frontiere completamente nuove, dove ogni cosa è connessa, ci accorgiamo che la “regia” di questa convergenza deve essere nelle mani chi è in grado di stare dietro le macchine.
Negli ultimi anni, abbiamo assistito a uno scambio di posti tra IT e Business, come se durante un campionato di rally, al navigatore si chiedesse di mettersi alla guida e al pilota di guardare la mappa. Eppure, le imprese saranno sempre più data-driven e per questo servono competenze tecniche adeguate. La conoscenza dei dati ma anche la capacità di sapere come quei dati saranno utilizzati sono fondamentali. All’interno delle divisioni IT – spesso troppo estese – occorre ritagliare lo spazio adatto per il team di data strategy in modo che possa fare da “ponte” verso le LoB e allineare data strategy e business strategy, uniformando operation e applicazioni. «In Italia, oggi abbiamo circa duecento data scientist, ma saranno duemila nel 2018 e ventimila nel 2020». Ma non è solo una questione di numeri. «Il vero cambiamento è culturale. Tutti possono copiarci, ma nessuno ha la nostra stessa cultura dei dati» – ha detto Marco Icardi, Regional Vice President di SAS.
La promessa del marketing one-to-one
La gestione della relazione con il cliente non dipende solo dai sistemi informatici. Non significa riempire un data base o creare un data lake. «Relazione è un concetto strettamente legato alla strategia, alla comunicazione, all’integrazione tra i processi aziendali, alle persone e alla cultura d’impresa, che pone il cliente al centro dell’attenzione, con tutte le sue emozioni che dobbiamo riuscire a portare nei nostri indicatori» – ha detto Cinzia Amandonico, Regional Analytics Solutions Manager di SAS.
«Da 20 anni, si parla di marketing one-to-one, oggi possiamo farlo veramente. E anche il product development può essere innovato. Serve un cambiamento del metodo della conoscenza per capire che cosa c’è dietro i processi decisionali del cliente e rimanere competitivi sul mercato».
L’universo digitale, alimentato dalle tecnologie SMAC (social, mobile, analytics e cloud) e dall’IoT, nel 2020 raggiungerà i 40 zettabyte di dati, di cui l’85% non strutturati – ha spiegato Angelo Tenconi, Analytics & Technology Director di SAS. «Data scientist e data engineering devono essere due facce della stessa medaglia. E SAS vuole offrire una piattaforma analitica end-to-end a misura di azienda in grado di integrarsi con sistemi legacy e con soluzioni aperte».
Qual è la tua data strategy?
Identificazione, provisioning, governance, archiviazione e integrazione sono i cinque pilastri della data strategy. Ma non bisogna confondere data strategy e business strategy. «Per avere successo non è necessario utilizzare tutti i dati» – ha messo in guardia Evan Levy, Vice President of Data Management Programs di SAS. La cosa più importante da fare è scegliere una o più sfide di business e chiedersi: «Abbiamo i dati per supportare il problema? I dati sono accessibili? Posso condividere i dati? Per molte aziende la data strategy inizia e finisce con lo storage. Invece, bisogna tenere d’occhio sempre i cinque punti chiave della data strategy, come gli anelli della stessa catena». Mentre tutto diventa connesso dobbiamo essere capaci di discriminare le informazioni utili da quelle che non lo sono. «Non basta mettere i dati in un unico posto. Si tratta di organizzarli in funzione dell’uso che ne dobbiamo fare. I dati sono un ingrediente speciale ma bisogna renderli disponibili anche agli utenti finali come le matite e le penne di una scrivania. Lo storage è solo una componente della strategia e lo sforzo va concentrato sulla governance e l’accessibilità»
Privacy e accountability
Nella primavera del 2018 entrerà in vigore la nuova direttiva GDPR in materia di protezione di dati per tutte le realtà operanti nell’area EU. L’Unione europea con il nuovo pacchetto di riforme punta con decisione sull’aumento di fiducia dei consumatori per dare impulso al mercato unico digitale a livello europeo. Ma le aziende che non si adegueranno alla normativa entro i termini stabiliti saranno passibili di sanzioni fino a 20 milioni di euro o al quattro per cento del fatturato. La normativa europea introduce il concetto nuovo di accountability. Questo significa due cose, ha spiegato Evan Levy: «Le aziende devono rendere conto del modo in cui maneggiano i dati. Ma al tempo stesso, i clienti devono essere i primi custodi e i primi responsabili dei loro dati».