Spunti per la crescITa

Qual è l’impatto dell’innovazione sul business? Esiste una relazione diretta tra investimenti e crescita? Chi è il vero motore del cambiamento nelle imprese? Un dialogo tra innovatori per capire le opportunità – e le criticità – della trasformazione digitale ai fini del rilancio, della diversificazione e della competitività del business

Per un lungo periodo, l’obiettivo dell’informatizzazione ha coinciso con quello dell’automazione e accelerazione di processi realizzati in larga misura manualmente. Internet e la telefonia mobile di terza generazione hanno favorito il graduale passaggio dalle architetture di rete client/server alla cosiddetta Terza Piattaforma, una fase in cui l’IT diventa sempre più un fattore abilitante, un generatore di cambiamento e nuovi bisogni, una fabbrica di opportunità che senza le tecnologie non sarebbero neppure concepibili, ma che impongono al tempo stesso un radicale ripensamento in chiave digitale dei processi e della cultura aziendale stratificatasi nel tempo. Esiste davvero un rapporto di causa/effetto tra innovazione e crescita? In che modo le aziende italiane stanno rispondendo alla sfida della trasformazione che comporta, parallelamente all’adozione dei nuovi paradigmi tecnologici, una profonda revisione delle proprie dinamiche interne ed esterne, dei processi e delle strategie di accesso ai mercati? Questo dossier punta a mettere in luce gli aspetti concreti del cambiamento e il modo in cui aziende e pubbliche amministrazioni affrontano la digitalizzazione del business e dei servizi, e in quale modo e attraverso quali figure riescono a dirigere l’adozione delle tecnologie IT a loro volta fondamentali per governare fenomeni come la multicanalità, la mobilità del lavoro, la socializzazione del business, l’avvento dell’informatica cognitiva.

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L’IMPATTO DELL’INNOVAZIONE

Come di consueto, Data Manager affida a un analista esperto il compito di fornire una serie di osservazioni su un tema che, come osserva Giancarlo Vercellino, research and consulting manager di IDC Italia, è da oltre mezzo secolo motivo di acceso dibattito. Almeno dai tempi di Kenneth Arrow, l’economista premio Nobel che teorizzò la crescita tecnologica endogena alle imprese, «si cerca di capire il contributo effettivo dell’innovazione, e soprattutto dell’innovazione basata sull’IT, sull’efficienza della funzione di produzione, e in particolare sulla produttività del lavoro». A lungo, la questione dell’impatto delle tecnologie ha appassionato gli accademici, preoccupati di individuare nelle statistiche ufficiali gli effetti concreti della componente di crescita economica determinata dalle nuove tecnologie. Un parametro elusivo, per chi cerca conferme ricorrendo a metriche basate sugli aggregati macroeconomici tradizionali. «Dalla prospettiva di IDC, che osserva a livello microeconomico le dinamiche di innovazione, interrogando direttamente le imprese impegnate in processi di trasformazione digitale talvolta molto ampi e importanti, talaltra del tutto trascurabili, il rapporto tra innovazione e produttività si traduce quantomeno nella capacità di cogliere la correlazione tra le priorità delle imprese e le aspettative di crescita nei loro risultati».

Vercellino afferma che basandosi sui dati estratti da un campione di duecento imprese con più di 50 addetti, è possibile osservare una correlazione invertita tra previsioni di andamento del fatturato aziendale e previsioni di andamento del budget IT: «Analizzandoli statisticamente, nei dati è più facile osservare un orientamento asimmetrico dell’associazione che spiega il fatturato previsto a partire dal budget IT anziché il contrario. Prendendo l’espressione cum grano salis per diverse ragioni tecniche, si potrebbe sostituire all’aggettivo asimmetrico quello di causale». A sua volta, la previsione di incremento del budget IT molto spesso è un fattore causale importante nel determinare le priorità di innovazione lato strategia e business. «In sintesi, è possibile affermare che la spesa IT concorre a influenzare sia la definizione delle priorità di innovazione lato business che la formazione dei risultati aziendali». Esiste però, conclude Vercellino, un collegamento mancante, un nesso determinabile tra priorità business e priorità tecnologiche. «Dai dati non emerge nessun collegamento rilevante, le due dimensioni sono sostanzialmente slegate da qualsiasi vincolo di correlazione rispetto al tema dell’innovazione». Forse, occorre chiedersi se non sia proprio questa relazione mancante, la cinghia di trasmissione necessaria per fare ripartire la macchina della trasformazione digitale in tante imprese italiane. Dunque, il tema centrale dovrebbe essere come fare in modo che gli obiettivi di innovazione strategica e gli obiettivi di innovazione tecnologica siano tra loro coerenti.

LA TECNOLOGIA MOTORE DEL CAMBIAMENTO

Ma qual è il punto di vista dei CIO sulla relazione tra IT e innovazione del business, la sua produttività e competitività? Per Debora Guma, CIO di Carrefoursarebbe come chiedere a un giornalista se l’informazione è importante. «La tecnologia è il vero motore di innovazione, tutte le startup si basano su questo». Una relazione, aggiunge la responsabile IT di Carrefour Italia, che il top management delle aziende recepisce e apprezza. Rispetto al passato, la vera differenza è la pervasività del ruolo dell’IT. La Grande Distribuzione Organizzata rinnova da sempre i modelli della sua supply chain, e oggi per esempio è possibile tracciare l’intero contenuto di un camion e i suoi percorsi. Di logistica per il trasporto marittimo si occupa anche il Gruppo D’Amico Shipping. «Non è sempre vero che la tecnologia consenta di fare nuovo business, sebbene per tutti sia vero che il business tradizionale si può fare meglio, con più efficienza» – afferma il suo CIO, Pietro Amorusi. Questo indubbio ruolo positivo induce tuttavia una certa confusione, specie pensando ai messaggi a volte troppo ottimistici che arrivano dai vendor. La novità tecnologica, avverte Amorusi, non sempre impatta la parte attiva del bilancio, generando nuovi fatturati: «Innovare per davvero significa avere ricadute che non riguardano solo la parte passiva, i costi. Il nuovo va adottato solo quando serve e nel nostro settore, che è relativamente “old fashion”, noi di D’Amico abbiamo dimostrato che basta lavorare con calma, saper valutare, facendo il proprio lavoro a stretto contatto con i responsabili di business, per avere successo e soprattutto evitare pericolose crisi di rigetto» – conclude Amorusi e il suo parere echeggia anche nella dichiarazione di Mario Carrelli, CIO di iGuzzini, anch’egli convinto della necessità di scelte tecnologiche responsabili. «L’IT deve prima di tutto capire quali innovazioni possono aprire nuovi canali o aumentare la competitività del business esistente, cercando di evitare la generica infatuazione nei confronti della tecnologia e cercando sempre di indirizzarla».

INNOVAZIONE E COMPETITIVITÀ

Sergio Catalano, CIO di Banca IFIS, interviene in rappresentanza di uno dei settori più fedeli al concetto di innovazione attraverso l’informatica. «In Banca IFIS, siamo convinti della correlazione tra nuovi strumenti digitali, innovazione e competitività, e da anni stiamo spingendo sull’acceleratore della trasformazione digitale, forti della consapevolezza che la banca del domani sarà fatta più di tecnologia e dati e meno di sportelli e contatto fisico con la clientela» – afferma Catalano, sottolineando gli effetti dell’IT in termini di razionalizzazione dei processi e migliore reattività davanti a richieste sempre più puntuali da parte della clientela e a una user experience più naturale e produttiva. Il business model del Gruppo bancario è caratterizzato da una forte identità digitale e web, che nell’immediato futuro si tradurrà in nuovi servizi ad alto contenuto digitale. Banca IFIS, prevede di investire 140 milioni di euro nel triennio fino al 2019. «Siamo convinti – afferma Catalano – che sia possibile costruire una relazione nuova con il cliente in ambito finanziario e servizi a valore aggiunto. Processi semplificati, costruiti su soluzioni solide, consistenti e sicure». Per Piera Fasoli, direttore dei Sistemi Informativi del Gruppo Hera, la digitalizzazione dei processi ha un impatto positivo sul business delle imprese. «Digitalizzazione non vuol dire solo automazione dei processi», precisa Fasoli, bensì «ripensare i processi in ottica automatizzata». Attenzione però a un uso troppo autoreferenziale della tecnologia, mette in guardia Piera Fasoli, sottolineando la validità di un approccio di cambiamento costantemente pensato insieme al business. Sulla stessa linea, Antonino Chiappara, che in Hera ricopre il ruolo di responsabile dell’IT Governance, e che ci illustra il modello applicato in casa della multiutility inter-regionale. Un modello che secondo Chiappara si basa su tre livelli di attenzione: «Comprendere tutto quello che avviene nel mondo delle tecnologie. Individuare ciò che può realmente tradursi in valore aggiunto. E infine, verificare sul campo l’efficacia con approfondimenti, proof of concept e implementazioni sperimentali».

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COME MIGLIORARE LA RELAZIONE TRA IT E LOB

Ma in che modo nelle organizzazioni, la tecnologia influisce sulle linee di business e servizio già consolidate e sull’apertura di fronti completamente nuovi? Dal punto di vista del grande retailer, il digitale porta a una relazione con il cliente profondamente diversa, agendo da motore di nuovi legami e al tempo stesso da strumento per la valorizzazione delle informazioni che la relazione digitale genera. Rispetto al passato, gli strumenti di loyalty – per esempio i club costruiti con gli acquirenti di un supermercato – dovevano basarsi su sistemi di categorizzazione a maglie molto larghe, oggi possono esistere infinite nuance. «Mettendo insieme i dati di cui disponevamo ieri e quelli generati oggi dalle nostre vite digitali – afferma Debora Guma di Carrefour – veniamo a sapere perché, non solo che cosa acquistiamo. Attraverso la nostra app possiamo personalizzare, modulare le singole offerte e la redemption aumenta per un fattore cento». Anche nel contesto bancario, il percorso di innovazione iniziato da Banca IFIS ha permesso l’implementazione di processi totalmente digitali su tutte le diverse linee di business già consolidate in ambito retail e nei servizi all’impresa, oltre all’area più strettamente rivolta alla gestione dei prestiti “non-performing”. «Un esempio per tutti – precisa Sergio Catalano – è l’adozione della elettronica avanzata in CrediFamiglia, la realtà di Banca IFIS che fornisce consulenza alle persone che hanno difficoltà a onorare i propri debiti. Garantendo la paternità della sottoscrizione e la non modificabilità dei documenti informatici, questo strumento ci ha permesso di eliminare l’uso della carta, rendendo il nostro lavoro maggiormente incentrato sul colloquio con il cliente, con più efficienza e sicurezza per entrambe le parti». Per quanto riguarda l’apertura di nuovi filoni, Banca IFIS ha già pianificato un intenso impiego di sistemi di analytics volti a una sempre migliore comprensione del cliente, mentre si sta lavorando allo sviluppo di nuovi servizi Web. «AreaNPL consentirà agli utenti di monitorare la loro posizione creditizia, l’andamento dei pagamenti o interfacciarsi in maniera veloce e sicura con il personale di CrediFamiglia ed entro la seconda metà dell’anno, con la piattaforma TiAnticipo, le aziende potranno certificare i loro crediti nei confronti della PA».

IOT, BIG DATA E MADE IN ITALY

Lungo quali assi si sta muovendo un marchio come iGuzzini, legato alla tradizione “distrettuale” del Made in Italy? Per il CIO Mario Carrelli, un’importante area di intervento verte sulla Internet of Things sia per creare opportunità intorno ai dati digitali – il “petrolio” del futuro secondo Carrelli – sia per mettere a punto soluzioni che si traducano in canali completamente innovativi, in particolare attraverso il concetto di conversione di prodotto in servizio. «Ci stiamo lavorando molto con i nostri partner» – rivela Carrelli. «Noi produciamo corpi luminosi che trasformati in ottica IoT possono essere commercializzati come veri e propri servizi». Uno dei mezzi esplorativi adottati è la formula dell’hackathon, una gara rivolta a startup e giovani inventori. L’idea vincitrice del primo concorso bandito, spiega Carrelli, ha a che fare con la “light experience”, un concept che ha animato la presenza di iGuzzini al Salone di Francoforte, con uno stand tutto dedicato agli effetti della luce nel buio, ma che grazie alla tecnologia potrà rivivere anche sul web, attraverso un semplice tablet. L’obiettivo è innovare tutta la fase di promozione e prevendita dei prodotti.

SERVIZI INTELLIGENTI

Lo sforzo della trasformazione, interviene Piera Fasoli del Gruppo Hera, è tanto maggiore quanto più informatizzato è il processo o il prodotto da rivedere in chiave autenticamente digitale. Una utility multiservizio come Hera vanta aree ad alta automazione e altre che risultano più immediatamente ricettive. Una di queste è la raccolta rifiuti, dove Hera ha introdotto forti elementi di novità a livello di logistica e gestione della forza sul campo rendendo più “intelligente” la gestione dei cassonetti usati per la raccolta. «Questo ci ha permesso non solo di ottimizzare il processo di raccolta grazie a cassonetti geolocalizzati, che segnalano se la loro posizione è corretta o meno. Ma anche nella parte amministrativa, sono state fatte molte sperimentazioni. All’interno di Hera, è stata persino creata una specifica fabbrica di app, una struttura capace di sfornare dieci, quindici app all’anno rivolte non solo agli utenti finali ma anche ai dipendenti, ai partner e ai fornitori». Piera Fasoli si sofferma brevemente sulla nuova piattaforma analitica che andrà a rimpiazzare il tradizionale approccio basato su data warehouse. «Con questo progetto, cercheremo di accompagnare il business, attraverso un approccio analitico, nel difficile compito di tramutare in “sistema” le esigenze e le richieste che arrivano dai clienti».

BUSINESS E ORGANIZZAZIONE

Una delle questioni più aperte rimane quella relativa alle figure di coordinamento e delle pratiche organizzative a vantaggio della trasformazione. È opportuno, per esempio, affiancare al tradizionale ruolo dei CIO quello di specifici responsabili, e in che misura è importante coinvolgere le altre cariche apicali? «So di avere una posizione impopolare – interviene Debora Guma di Carrefour – ma non nutro eccessiva fiducia in ruoli come il chief digital officer. Secondo me andrà a scomparire nella misura in cui figure come il CIO e lo stesso chief marketing officer sapranno adeguare le proprie competenze». Digital e innovation officer vengono dunque visti come un ruolo di transizione, «magari in situazioni di forte resistenza» – continua Guma – manifestando il proprio scetticismo nei confronti dei percorsi formativi, delle esperienze maturate dai “tecnici dell’innovazione”. Proprio perché stiamo andando verso la personalizzazione delle proposizioni, occorrono competenze tecniche, e questo riguarda soprattutto i CIO che non devono smettere di studiare e migliorarsi. Dall’altro lato anche i manager del marketing si stanno molto evolvendo. «Darei grande attenzione al secondo punto, l’organizzazione. Riversiamo tanta tecnologia nei mercati, ma dobbiamo anche mettere in atto seri programmi di accelerazione digitale del personale».

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Anche Pietro Amorusi si dice contrario a chi fa innovazione per mestiere, magari con l’obbligo di innovare anche quando le cose non funzionano bene. «A mio parere, se il CIO non è motore di innovazione non giustifica i suoi compensi, se si vuole gestire come si è sempre gestito tanto vale un sano outsourcing». Per il responsabile delle tecnologie in D’Amico Shipping, un CIO deve agire come un “tapis roulant” che accelera nella stessa direzione del business. Al punto, conclude, che l’IT aziendale non deve essere considerato un “reparto”, pena l’inevitabile creazione di una tecnologia fine a se stessa. «L’informatica non è un reparto, ma uno strumento condiviso, che non posso gestire con le logiche di un ufficio autonomo. C’è a chi questo discorso non piace, perché avvicina l’IT al concetto di utility, ma essere “utility” non è disonorevole: è l’IT che fa il business.

MIGLIORARE I PROCESSI E LA USER EXPERIENCE

Anche Banca IFIS ha preferito agire sul piano organizzativo. Sono state create unità speciali come la Digital Factory, la Digital Transformation e la Web Innovation che hanno consentito di concentrare e dedicare risorse sullo sviluppo di iniziative dall’elevato contenuto digitale sia di processo sia di user experience. «Si tratta quindi di introdurre nuove figure di coordinamento e project management che guidano le attività relative ai progetti di digital transformation, supportando il più tradizionale sviluppo del comparto IT e di web marketing/performance. Un ecosistema collaborativo di innovazione, dove colleghi dell’ICT, Business, Comunicazione e Web Marketing lavorano insieme, con l’aiuto di partner esterni e il coinvolgimento a 360 gradi di tutto il management» – riferisce il CIO Sergio Catalano.

La conversione di idee in business è il principio guida anche in casa iGuzzini, dove il CIO – sottolinea Carrelli – deve avere una visione sempre più vicina alle strategie dell’azienda. «All’interno della nostra area marketing, per esempio, abbiamo creato un nucleo preposto all’IoT come prodotto e innovazione. Noi dell’IT lavoriamo a stretto contatto con questo team, dando un contributo su progetti che ancora non sono “informatica”, ma potrebbero diventarlo». Ma al di là del modello di IT come “proprietario” dell’innovazione, interviene Fasoli di Hera, il tema è che l’innovazione avviene su tre livelli di ingaggio: tecnologie, business e risorse umane. «È un concetto sempre più trasversale e ovunque si cerchi di inserire figure troppo specializzate, il rischio è generare una asimmetria, di favorire questo o quello». Sono importanti i facilitatori, gli “evangelisti” interni. E importantissimo è il ruolo del top management. Così come fondamentale è promuovere una cultura digitale diffusa e le competenze “cross”. Con l’aiuto di un partner esterno, Hera ha, per esempio, realizzato un censimento delle competenze digitali lungo quattro assi: reti, digitale, smart working e analytics, proprio con l’obiettivo di reclutare talenti interni da coinvolgere in iniziative come la già citata piattaforma Doctor BI.

IL TALENTO DELLE PERSONE

Il riferimento esplicito a un asset come le risorse umane e le competenze ci induce a questo punto a chiedere quanto l’effetto “leva” esercitato dall’informatica abbia un suo corrispettivo in termini di capitale umano, di nuove modalità di lavoro. Nell’esperienza di D’Amico Shipping, questo è un ambito molto rilevante, da cui Pietro Amorusi trae un duplice insegnamento sulle cose da fare e da non fare. «Già una dozzina di anni fa, eravamo partiti con l’idea di realizzare un portale aziendale. Un’idea che ci sembrava interessante, ma che alla fine veniva utilizzata da pochi dipendenti. In seguito, partendo dall’analisi di una problematica molto concreta, quella di condividere le stesse informazioni sulle rotte percorse dalle navi in una azienda in cui tutti collaborano a una stessa catena di valore, ci siamo focalizzati su un tool come Microsoft SharePoint, che è stato subito adottato». Il punto è, secondo Amorusi, che l’innovazione tecnologica non deve mai essere «arrogante». Per favorire «una visione più umile, radicata negli obiettivi concreti, è più utile un approccio condiviso, anche alla formazione e agli stimoli per l’adozione degli strumenti innovativi». Amorusi suggerisce un ritorno alla «vecchia cultura dei circoli della qualità delle fabbriche giapponesi», dove le difficoltà si risolvevano insieme, nei reparti. «In D’Amico Shipping, abbiamo figure che fanno questo tipo di lavoro: analisti di business, che stanno con una zampa nei reparti operativi e una nell’IT in cui sono inquadrati, e che parlano con gli utenti, imparando da loro».

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Un approccio simile è stato adottato anche in Carrefour, per allestire campagne di formazione di tutto il personale di punto vendita, anche con l’aiuto dei moderni sistemi di e-learning. «Sono state attivate iniziative rivolte ai consumatori, insieme a progetti “D2E”, digital to employee. Nel backoffice, già trasformato in passato con l’uso di strumenti come i lettori di codici a barre, oggi al posto delle ormai tradizionali “pistole”, utilizziamo direttamente gli smartphone» – racconta Debora Guma. «È un modo per diffondere una forte consapevolezza attraverso il learning-by-use, creando tra personale e clienti, una familiarità basata sull’uso di tool condivisi». Se uno dei problemi in comparti di industria più tradizionali consiste nel costruire un patrimonio diffuso di competenze tecnologiche, Banca IFIS punta sull’acquisizione di giovani talenti e personale con competenze diverse e digitali, con un approccio immediato alle tecnologie. «Tra i progetti concreti in campo – spiega il suo CIO – c’è l’ampliamento di un portale interno per la gestione dei progetti di innovazione, che cambierà le modalità di lavoro e interazione delle risorse coinvolte». Altre iniziative non sono necessariamente rivolte alle risorse interne, come quella riguardante la linea di servizio Leasing auto, «che semplificherà i processi commerciali e di interfaccia con il network esterno di agenti specializzati» per un banca che in futuro, «sarà ancora di più all’insegna della collaborazione e dell’aggregazione interna». D’accordo anche il Gruppo Hera, che si sta organizzando per capire «non se, ma come adottare lo smart working, per quali mansioni, quali dotazioni, quali requisiti a livello di connettività, quali modalità di responsabilizzazione». Per Piera Fasoli, insomma, un «lavoro più autonomo e flessibile è un obiettivo di estremo interesse in una realtà diffusa in un territorio vasto, e che proprio per questo non può essere improvvisato».

COGNITIVE BUSINESS

L’ultimo giro di pareri riguarda il ruolo che le tecnologie dell’informatica cognitiva possono assumere nei rispettivi mercati. Carrefour, riferisce Debora Guma, non è ancora direttamente impegnata nell’uso di strumenti di intelligenza artificiale, anche a fronte di una offerta che appare ancora abbastanza discontinua. «Tuttavia, abbiamo fatto partire una revisione della nostra piattaforma CRM, che ci porterà ad avere un approccio più predittivo nell’analisi dei consumi, perché disporre semplicemente di analisi ex post non apre nuove frontiere. Invece, dobbiamo essere in grado di anticipare gli andamenti dei consumi». La catena di supermercati ha però in essere diverse collaborazioni con le università, in particolare la milanese Bocconi e il Politecnico di Torino, e anche nel suo caso troviamo il ricorso a formule come gli hackathon per rafforzare il rapporto con il mondo delle startup interessate a innovare il mercato del retail. Un grande interesse nei confronti di strumenti predittivi viene del resto manifestato anche da Pietro Amorusi. «Una realtà come la nostra può accumulare una grande quantità di informazioni» – conclude il CIO di D’Amico Shipping. Come possono essere utilizzati questi dati? «Oggi, investiamo soprattutto in chiave di manutenzione predittiva, attraverso il deployment di strumenti di bordo che ci permettono di “ascoltare il ferro” dei motori delle navi per prevenire guasti importanti e assicurare livelli di efficienza superiore». Amorusi cita poi i clienti di operatori marittimi come D’Amico, che usano l’intelligenza artificiale per ottimizzare logistica delle merci, rotte e consumo di carburante.

In questo contesto di progressiva adozione, non deve sorprendere l’atteggiamento di Banca IFIS, che individua in tecnologie autenticamente “disruptive” una grande opportunità. «L’intelligenza artificiale ci consente di stabilire un ponte tra la domanda del cliente e la risposta che i processi della banca devono fornire. Per noi, l’innovazione passa proprio attraverso l’intreccio di analytics e intelligenza artificiale» – afferma Sergio Catalano. L’adozione di determinati strumenti è già pianificata – continua Catalano – e consentirà di migliorare il rendimento in contesti come l’up e cross selling di prodotti e l’efficienza nelle aree commerciali e di assistenza al cliente. Anche Piera Fasoli del Gruppo Hera è concorde nell’attribuire all’intelligenza artificiale la definizione di vero fattore di innovazione dei sistemi core della sua organizzazione: un’evoluzione che deve migliorare il modo di lavorare, trasferendo le attività più ripetitive verso automatismi e strumenti robotizzati. «Attenzione però – avverte il CIO di Hera – a fare in modo che questo non sia un gioco a somma zero. Non un trasferimento di intelligenza verso le macchine, ma un accrescimento dell’intelligenza di un sistema fatto di persone e macchine». Mario Carrelli di iGuzzini chiude la nostra discussione virtuale, ricordando le numerose suggestioni raccolte attraverso il concorso di nuove idee aperto alle startup. «Stiamo già realizzando alcuni prototipi, anche se non è del tutto chiaro come dovremo procedere in futuro. L’intelligenza artificiale avrà sicuramente un peso in tutti i prodotti e chi arriverà primo potrà fare la differenza». Carrelli ipotizza, per esempio, la possibilità di raccogliere ed elaborare dati attraverso i corpi illuminanti che iGuzzini installa in situazioni indoor e outdoor, dalle aree urbane trafficate ai musei. Sulla base di queste informazioni, è possibile immaginare un universo di applicazioni e servizi innovativi. E la sfida è apertissima.