Spazio changemaker

Governance e leadership. Come costruire il futuro, guidando il cambiamento? Dobbiamo passare dall’ottimizzazione alla reinvenzione dei modelli di business, superando la strategia delle scorciatoie, perché la vera rivoluzione comincia adesso

Come costruire il futuro, guidando il cambiamento? L’ottimizzazione è la strada della tecnologia, ma è una strada che non lascia molte vie d’uscita. Con l’accelerazione del cloud, i confini della gestione dei dati si estendono. E i CIO si pongono il problema di capire quante funzionalità lasciare sotto il controllo diretto dell’azienda. Non c’è una risposta univoca. Se i dati sono il “cuore” dell’azienda e saranno sempre più fuori dal dominio del CIO, allora dove stanno diventa importante. Dobbiamo fare i conti con la complessità che aumenta come la polvere sotto il tappeto. E accettare che non ci sono soluzioni semplici.

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Per la prima volta nella storia, le ragioni del business stanno convergendo con le ragioni dell’economia circolare. Un cambio di paradigma porta con sé un cambio di governance. Il fondo di investimento sovrano della Norvegia, il più grande al mondo – oltre mille miliardi di dollari – pur avendo costruito tutta la sua ricchezza sul petrolio ha detto addio agli investimenti sugli idrocarburi. Un nuovo modello di sviluppo più sostenibile è possibile. E ha bisogno di manager in grado di essere protagonisti di questo cambiamento. Quali sono i nuovi diritti di cittadinanza della nuova società digitale? L’infosfera sarà un sistema neofeudale di vassalli, valvassori, valvassini tecnocratici e servi iperconnessi della gleba, forzati dei consumi? Se il mercato dei dati vale più del PIL di molti paesi messi insieme, è lecito domandarsi se quella montagna di ricchezza non debba essere ridistribuita tra tutti coloro che contribuiscono a crearla. L’Italia ha bisogno di riscoprire la sua vocazione innovativa e industriale. Un’opportunità che non possiamo permetterci di sprecare. Benvenuta concorrenza e difesa del vantaggio competitivo. In un ambiente dominato dagli algoritmi, la tentazione di essere monopolisti e isolarsi diventa ancora più irresistibile.

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Nuovi strumenti, vecchie logiche? Quando ci turbiamo perché gli algoritmi tracciano le nostre abitudini personali, forse ci dimentichiamo che anche le nostre imprese possono correre lo stesso pericolo. Se mettiamo tutte le “mele” nello stesso “cestino”, il rischio è di consegnare le chiavi delle organizzazioni a qualcuno che a un certo punto può decidere di lasciarci fuori. Non è possibile immaginare impatti più importanti sull’umanità di quello dell’intelligenza artificiale, ma non dobbiamo tirare in ballo articolate questioni etiche solo quando parliamo di intelligenza artificiale. L’etica attiene alla dimensione umana delle scelte in tutte le epoche della storia dell’uomo, anche prima dell’automazione, quando l’unica energia era la forza motrice delle braccia. Con l’intelligenza artificiale abbiamo trasferito a una macchina la capacità di risolvere problemi, ma rischiamo di trasferire anche i nostri “bias” cognitivi. Dobbiamo prendere la responsabilità delle scelte su noi stessi, non per conto terzi, distinguendo sempre tra mezzo e fine, secondo una logica dialettica e in una prospettiva di retrofitting. L’algoritmo è egoista ma anche conformista. Risponde a una logica intrinseca. E in questo sta anche la sua debolezza. Nella capacità tutta umana di commettere errori sta invece la capacità di rispondere al cambiamento in modo sorprendente.

Perché anche noi siamo codice. Un codice “umano” che è più della somma delle singole parti. Non siamo fatti per processare milioni di informazioni al secondo. Forse, quello che ci rende speciali come esseri umani è proprio la capacità di sbagliare e ricominciare daccapo. Anche noi siamo tecnica, una tecnica umana destinata a evolversi. Perché siamo capaci di andare incontro al baratro e di creare bellezza. Di costruire ponti e barriere. Di penetrare i segreti della natura e di provare emozioni. Siamo pensiero per un’azione, un algoritmo rotto, ma rotto nel modo giusto. E forse, questo non è un bug, ma una feature in senso tecnico. Siamo le mani chiuse per riflettere. E le mani aperte per esplorare. L’indice puntato verso il cielo. Un futuro pieno di incognite, che grazie agli algoritmi possiamo leggere. Un futuro che è tutto nelle nostre mani.

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