Una società in subbuglio cerca sicurezza e normalità anche attraverso un’economia digitale al servizio dei bisogni primari. Ci aspetta un anno difficile. Un anno in cui rivolgiamo fiducia e guardiamo con attenzione alle modalità con cui il “recovery fund” contribuirà a risollevare il nostro Paese
In questo periodo, come consumatori e cittadini, mostriamo profili sorprendentemente variegati: siamo al tempo stesso disorientati rispetto alla condizione di vita e alle precarietà del quotidiano; desiderosi e rassegnati; ora pazienti ascoltatori, ora scalpitiamo per fare; esprimiamo con chiarezza esigenze a diretto impatto sulle politiche delle aziende. Dal bisogno di sicurezza e protezione, alla salute, alla ricerca di convenienza, nuovi schemi si aprono nelle decisioni di acquisto e consumo, nuove logiche irrompono nella customer experience. Esperienze digitali che si moltiplicano tra imposizioni, regole, senso pratico, vanno a ridefinire il paradigma CX su nuove basi che IDC definisce “Safe, Secure, and Sustainable”.
In tutti i settori, gli stravolgimenti sono epocali. Su molte parti della nostra economia, si è già abbattuta una crisi senza precedenti. I dati ufficiali forniti da Governo, Istituto nazionale di statistica e uffici studi di grandi organizzazioni confederali esprimono situazioni a dir poco drammatiche. A questo, si contrappone un avanzamento, e in molti casi accelerazione, delle strategie di innovazione di prodotto e servizi nell’industria e negli ecosistemi di relazione che valorizzano modelli di business connessi, dati e applicazioni digitali.
LAVORO E CONTINUITÀ DI BUSINESS
Il 2020 ci ha già mostrato esempi di innovazioni illuminanti, nella loro semplicità. L’evoluzione dei meccanismi collaborativi tra settori proseguirà sugli stessi principi che ne hanno segnato la nascita, ovvero faranno leva su condivisione di informazioni e insights, processi su piattaforme digitali, collaborazione su operations e competenze per indirizzare nuove esigenze dei mercati. L’economia digitale – prevede IDC – arriverà a contaminare il 65% del PIL mondiale entro il 2022. La crescita degli investimenti diretti in digital transformation crescerà a un tasso annuo medio di oltre il 15% fino al 2023, quando sfiorerà i 7.000 miliardi di dollari a livello mondiale. In un clima altalenante tra restrizioni e riaperture, come procedono le logiche di gestione del lavoro e il ruolo delle tecnologie nell’assicurare continuità dei processi, anche complessi? Abilitare modelli di lavoro flessibili e digitali da remoto è stato il primo passo nel 2020.
Gli scenari stanno imponendo di proseguire su questo solco con una visione almeno a medio raggio capace di orchestrare approcci ibridi fisico-digitale, sperimentando il potenziale di tutti gli acceleratori digitali. Un anno fa, solo il 2% dei produttori riteneva il remote working del personale sostenibile a medio termine, oggi il 50% di questi, pur auspicando di superare il momento drammatico, si aspetta ed è attrezzato a proseguire in questo “new normal”. Molti segmenti di produzione, pur riducendo le risorse onsite nelle operations, proseguono la propria attività valorizzando machine vision, AR/VR, digitalizzazione per remotizzare gli interventi, AI e robotica intelligente per automatizzare ulteriormente i processi.
Se il fattore umano è decisivo nella società e nelle imprese, lo è anche grazie a interventi che supportano lo sviluppo di competenze. Le direzioni di sviluppo dei processi di training (hard e soft skills) si avvarranno sempre più di tecnologie innovative per migliorare l’efficacia degli approcci a distanza e online. IDC stima, per esempio, che il 30% delle imprese a livello mondiale sperimenterà tecnologie di realtà virtuale nei processi formativi nel 2021.
TRA GLOBALIZZAZIONE E LOCALIZZAZIONE
Ci sarà il ritorno a un’economia locale e di prossimità? Per certi versi è già avvenuta, ed è in corso un ripensamento delle strategie globali in un’economia frenata nei movimenti fisici, ma comunque fortemente interconnessa. L’85% delle aziende intervistate nel 2020 ha avuto impatti significativi sulle proprie supply chain. Le direttrici di trasformazione devono necessariamente rispondere ai requisiti di agilità e tempestività, per garantire resilienza, flessibilità e velocità nelle performance che si misurano con la capacità di dare nuove risposte a bisogni di utenti e consumatori. Esplorare quindi un bilanciamento strategico tra globalizzazione e localizzazione diventa ancora più significativo. Dal punto di vista prettamente tecnologico, utenti sempre più connessi e digitali, infrastrutture e soluzioni “edge” in espansione, oggetti e intelligenza diffusa inondano spazi urbani, che si trasformano per dare vita a nuove forme di mobilità e trasporti. Una nuova ondata di dati e informazioni generate da oggetti e vita digitale, patrimonio per nuove iniziative di business, patrimonio da dare in pasto agli algoritmi. Organizzazioni nuove e consolidate dovranno “iniettare” ancora più automatismi e intelligenza nei propri processi.
Il 65% delle imprese intervistate a metà 2020 afferma che l’emergenza sanitaria ha richiesto riesame e reindirizzo dei propri modelli AI/ML e analitici avanzati. Tra le varie sfide, valorizzare questi principi nella direzione della disseminazione e contaminazione cross-funzionale sarà fondamentale per far viaggiare l’intera impresa alla stessa velocità. Con il rafforzamento dell’economia digitale, si prevede una ulteriore accelerazione degli sforzi per dotare imprese e istituzioni di robuste e affidabili infrastrutture e piattaforme, in grado di reggere la portata delle trasformazioni con solidità, ma anche flessibilità e capacità di essere scalabili.
LA SFIDA DEL DIGITAL TRUST
Cloud e intelligenza nelle foundation (incluso il network) saranno sempre più decisive. E l’affidabilità (che significa anche aspettativa di sicurezza, continuità e resilienza) sarà un fattore determinante. In un mondo costantemente sotto attacco cyber, in cui credibilità e immagine si misurano su piani sempre più articolati, il tema del “digital trust” pone una sfida grandissima, che riallaccia molteplici contesti sotto un cappello comune. Dalla sicurezza dei dati dei cittadini al patrimonio delle imprese e delle istituzioni, l’esigenza di protezione di persone, dipendenti, collaboratori, partner non è mai stata così alta. La sicurezza delle transazioni digitali e le garanzie di affidabilità delle relazioni digitali tra attori sono solo un’altra delle angolazioni, così come la tutela delle identità digitali.
Ma a essere trascinati dentro la cornice del digital trust sono anche le aspettative di responsabilità sociale, la fiducia verso governi e istituzioni, arrivando a disegnare un’equivalenza in cui “trust = valore”. La crisi – o meglio, il rischio che si crei un circolo vizioso con una “crisi del trust” – sarà un’altra problematica del futuro nella società digitale. Per questa ragione, e non solo, la ridefinizione delle “digital business policies” sarà fondamentale per avviare rinnovamenti a livello di data protection, resilience, compliance, sicurezza fisica e logica, risk management, competenze e attitudini in questo campo. Ci aspetta un anno difficile, nella speranza che possa essere risolutivo di molte sfide. Un anno in cui rivolgiamo fiducia e guardiamo con attenzione alle modalità con cui il “recovery fund” contribuirà a risollevare il nostro Paese. I capitoli “innovazione tecnologica” e “digitalizzazione” sembrano essere tra i più ricchi. Governo e attori istituzionali sono chiamati a una responsabilità unica. Lo sono sempre, ma questa volta nella sfida della qualità spiccano anche i volumi e le somme in gioco. Un’occasione unica e irripetibile per istituzioni e imprese che ne beneficeranno direttamente o indirettamente. Risorse e finanziamenti a parte, per tutti i CxO, decisori e stakeholder, significa compiere scelte coraggiose in un clima incerto, orchestrando una transizione ancora più complessa e sfidante di quanto immaginato.
Fabio Rizzotto associate VP, head of Research and Consulting di IDC Italia