Potenziamento dei canali digitali di vendita, miglioramento della conoscenza del cliente su tutti i punti di contatto, digitalizzazione della filiera di produzione, cost reduction e servizi per acquisti in sicurezza. Continua il viaggio nel mondo del retail

Cambiano le abitudini e gli stili di consumo. L’experience in un nuovo spazio di interazioni digitali e customer intimacy. Il cliente è il protagonista del cambiamento. Occorre potenziare il B2C, diversificare le fonti di approvvigionamento, ridisegnare i canali di vendita, la value chain, le strutture di costo, le piattaforme dati, i pagamenti in sicurezza. Le diverse marginalità dei segmenti Food, Non-food e Fashion & Luxury hanno influenzato in modo differente gli investimenti nel corso degli anni sui canali digitali. Cambio di passo quindi, dettato dal cambiamento improvviso del mercato ma anche dalla conseguente crescita esponenziale dei dati, legato allo sviluppo dei canali digitali. Mentre la situazione socioeconomica evolve a ritmi molto veloci, il settore retail cerca di prevedere l’andamento della domanda e intercettare i segnali deboli di ripresa.

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«Nel 2020, l’e-commerce è cresciuto nel giro di pochi mesi più di quanto non abbia fatto negli ultimi 10 anni» – spiega Ornella Urso, senior research analyst di IDC Retail Insights. «I cambiamenti nel comportamento dei consumatori richiedono ai retailer di adottare modelli di business Commerce Everywhere concentrandosi su tre priorità chiave: customer experience, realizzazione e gestione dell’inventario e il ruolo del negozio. Il punto vendita fisico diventa parte della rete di distribuzione e hub dell’esperienza del cliente».

LA CENTRALITÀ DEL CLIENTE

Secondo il Global Retail Innovation Survey di IDC 2020, la personalizzazione della customer experience (CX) rimane una priorità assoluta per i rivenditori che mirano a innovare i propri modelli di business nei prossimi cinque anni. L’esperienza del cliente riguarda ciò che IDC chiama “Empathy at scale”. «La customer experience contestuale e personalizzata, online e nel negozio fisico, resta un fattore cruciale di differenziazione per le imprese» – spiega Ornella Urso. «La personalizzazone della CX è una dimensione fondamentale del processo di trasformazione dei modelli di business esistenti sempre più orientati all’innovazione e alla trasformazione digitale. Ad oggi, il 23% dei retailer europei dichiara di orientare il customer journey verso un modello di tipo contestuale, che vada oltre il cosiddetto “segment of one” e che sia in grado di rispondere alle esigenze e alle aspettative del cliente in tempo reale. L’implementazione di un modello contestuale di customer journey in tempo reale è una grande opportunità di differenziazione per i rivenditori in quanto possono modellare l’esperienza del cliente in relazione a molteplici dati demografici, località, giorno/ora, condizioni meteorologiche, modelli di acquisto e altri parametri. I servizi CX rimangono fondamentali per i rivenditori che intendono investire in funzionalità di abilitazione della piattaforma nei prossimi 12-24 mesi e mirare a sfruttare l’AI e le analisi di machine learning (ML) per consolidare i dati dei clienti. Per Ornella Urso – «è necessario tenere sempre conto del forte impatto che i dati hanno sui processi decisionali strategici, specie se considerati nella prospettiva di un potenziale vantaggio competitivo.

LA SFIDA DEL NEGOZIO PHYGITAL

Il negozio fisico diventa parte integrante della rete di distribuzione. L’integrazione dei negozi fisici nelle operazioni logistiche e di adempimento include iniziative che sfruttano l’uso del cloud e dell’intelligenza artificiale per ridurre i tempi di consegna medi, per la pianificazione della promozione e per la previsione della posizione di vendita per ottimizzare i livelli di inventario delle scorte nella rete di distribuzione e negozio. «L’intelligenza artificiale – spiega Ornella Urso – è un elemento fondamentale per le aziende che puntano a un’efficiente acquisizione e integrazione dei dati provenienti sia dall’interno dell’organizzazione stessa che dall’esterno, per mezzo di altre interfacce come, per esempio, social media e terze parti».

Il cloud è la tecnologia fondamentale che sostiene l’infrastruttura della supply chain e la gestione dell’inventario. Il ruolo in evoluzione del negozio fisico mostra come, nonostante l’ascesa dell’e-commerce, l’esperienza di acquisto fisico rimarrà decisiva. Come riunire l’experience del consumatore tra online e offline in una vista unica? Per Daniele Romeo, innovation manager di Axians, bisogna colmare il divario tra il mondo fisico e il mondo digitale in un frangente epocale che ci obbliga a reinventare i punti di contatto tra brand e consumatori e riprogettare le logiche di prossimità che solo pochi mesi fa sembravano superate. «Il consumatore stesso è diventato “phygital” ed è presente nel mondo digitale quanto nel mondo fisico. Per questo motivo, la progettazione di soluzioni innovative a livello tecnologico non può prescindere dall’essere inserito in un contesto strategico nel quale i brand devono implementare nuove modalità ibride per continuare a presidiare il mondo digitale e offrire allo stesso tempo punti di contatto fisici che rispettino le nuove regole. I consumatori hanno bisogno di un’esperienza di acquisto sempre più personalizzata e che integri in maniera obbligata i canali online con l’evoluzione del punto vendita tradizionale».

La grande sfida che il settore retail deve vincere – spiega Elisabetta Rigobello, responsabile marketing di Di.Tech – «è quella di riuscire a ridisegnare alcuni processi tipici, nati per la gestione della relazione del consumatore nei punti di vendita fisici, grazie all’adozione di innovazioni tecnologiche, prime fra tutte AI, augmented reality e machine learning, in un percorso di progressiva digitalizzazione». Anni impiegati erroneamente a contrapporre fisico e digitale e finalmente eccoci al concetto di phygital. «La sempre maggior profilazione dei consumatori consentirà di evolvere il B2C in Business-to-individual» – afferma Pierluigi Terzoli, product manager di Negoziando smeup. «B2i e la padronanza dell’omnicanalità faranno da traino al cambiamento. I fenomeni di webrooming e showrooming, frutto dell’interscambio tra i diversi canali, sono da governare con proficue strategie. In questo senso, mi aspetto una maggior adozione di tecniche di engagement, favorite da una presenza più capillare di tag RfId e BLE nei prodotti, finalmente in accordo coi produttori».

Per Sergio Scornavacca, direttore Industry di Minsait in Italia, si tratta di fornire al canale online strumenti volti a offrire all’utente un’esperienza simile a quella ricevuta nel punto vendita. «Questo significa personalizzare l’esperienza fornendo consigli e offerte sui prodotti. A tal fine, è importante stabilire strategie di omnicanalità che garantiscano ai clienti un’interazione fluida e coerente, indipendentemente dal canale o dal dispositivo utilizzato». La realtà ci insegna che è necessario partire da una vista unitaria per poi scomporla nelle sue parti. La vera domanda da porsi è: «Qual è l’esperienza che il cliente deve avere col mio brand? A partire dalla risposta – spiega Massimo Savazzi, CX strategy & Business development director Sud Europa di Oracle – è possibile chiedersi come questa esperienza si declina nel mondo fisico, in quello virtuale, e come fare in modo che in entrambi i casi si coniughi una stessa esperienza, che sarà vissuta in completa continuità». Fino a pochi anni fa, l’attenzione del retail era concentrata principalmente sullo storefront, puntando su alcuni canali digitali.

Assieme alla tecnologia, sono evolute anche le aspettative degli utenti. Per soddisfarle – spiega Roberto Elli, solution architect di OUTSYSTEMS – il retail deve muoversi dai percorsi utente, incentrati su un singolo caso d’uso a quelli incentrati sulla multi-esperienza coprendo l’intera catena del valore. «Multi-esperienza significa essenzialmente interazione attraverso molteplici touchpoint oltre al web e mobile. Chatbot, voce e dispositivi indossabili sono alcuni dei nuovi contendenti in questa realtà. Il risultato finale deve apparire naturale e nativo». Inoltre, multi-esperienza significa anche esperienze fluide tra touchpoint e profili utente differenti. «Gli utenti – continua Roberto Elli – devono poter passare senza soluzione di continuità da un touchpoint all’altro, senza frizioni e senza duplicare i passaggi mentre le soluzioni devono integrare e ottimizzare più sistemi, utenti ed esigenze.

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La multi-esperienza ha spostato l’attenzione da tecnologia e canali al modo in cui le persone useranno le applicazioni e interagiranno con l’azienda». Le aziende si trovano a dover anticipare le aspettative di un utente connesso, digitale, omnicanale, e soprattutto che vuole essere ricordato e riconosciuto indipendentemente dal canale o momento. La raccolta dei dati e la loro analisi sono il driver per decisioni di business immediate e soprattutto differenziate e contestuali rispetto al momento, al contesto e al customer journey. È quindi fondamentale – spiega Claudio Broggio, digital acceleration leader di SAS – integrare online e offline, sfruttando le analisi in tempo reale per garantire un’esperienza fluida tra quella digitale e quella nello store fisico. «Il commesso abilitato e potenziato dai dati può diventare un vero e proprio driver per offrire un’esperienza personalizzata all’interno dello store fisico, in linea e a completamento dell’esperienza vissuta su app o store digitale. Pensiamo, per esempio, a un cliente che mette nel carrello digitale un prodotto o mostra interesse per un prodotto, magari aggiungendolo alla wishlist. Quando entra nello store fisico, il commesso può proporre lo stesso prodotto, renderlo maggiormente visibile o attivare una promozione contestuale per invogliarlo a finalizzare l’acquisto. Oppure, grazie a tecniche di computer vision, se online un utente ha guardato e mostrato interesse per determinati prodotti, in negozio è possibile suggerire prodotti simili sulla base di caratteristiche visuali, ovvero su come il prodotto viene percepito visivamente (forma, presenza / assenza di determinati accessori, dimensioni) e non solo sulle categorie di appartenenza tradizionalmente utilizzate dalle aziende. In un perfetto connubio tra digitale e fisico».

INTEGRAZIONE E RELAZIONE

Per agevolare il mondo delle nuove tecnologie nella fisicità dei negozi è fondamentale lavorare sull’integrazione. «Ogni tecnologia, metodo di pagamento, sistema periferico – spiega Claudio Carli, marketing manager di Ingenico Italia – deve confluire in un unico, grande progetto che sia in grado di mettere a fattor comune tutti i dati raccolti e renderli utilizzabili dal retailer e dagli esercenti perché possano offrire un miglior servizio ai clienti e maggior controllo del business». La sicurezza deve essere la prima preoccupazione di qualunque azienda, e come dimostrano tutte le più recenti ricerche, l’unico approccio realista è la sicurezza by design. Oggi, l’esperienza del consumatore è sempre più digitale e richiede servizi personalizzati, comodi e veloci. L’innovazione non deve più partire dal prodotto o dal servizio, ma deve partire dall’esperienza. Non solo. Come spiega Savazzi di Oracle – il pagamento stesso è, in termini esperienziali, uno dei momenti critici nella relazione tra brand e cliente, un momento essenziale per creare la giusta fiducia. «Per il brand, il pagamento è un punto in cui si possono acquisire molte informazioni preziose da utilizzare poi nella relazione e comprensione del cliente». E per questo – afferma Claudio Carli di Ingenico – «è fondamentale riuscire a creare una completa e fluida integrazione tra tutti i canali in-store, online e mobile per garantire al consumatore un’unica esperienza di acquisto». Fornitori di servizi di pagamento come Ingenico possono memorizzare i dati di pagamento su server protetti, generare un nuovo codice univoco (“token”) e inviarlo al merchant per associarlo al profilo del cliente e utilizzarlo in tutti i suoi acquisti futuri. «I vantaggi della tokenizzazione sono diversi» – spiega Carli. «Agevole interazione tra i vari momenti di un’esperienza di acquisto omnicanale, maggior velocità e fluidità delle operazioni di check-out, possibilità di personalizzare i servizi per una customer experience più completa».

COME AGIRE NELL’INCERTEZZA

Come agire nell’incertezza e rispondere in tempi rapidi ai mutamenti improvvisi del mercato? «Il mercato richiede alle aziende di essere smart, di coniugare la competenza con la flessibilità e di sviluppare relazioni in cui garantire la catena del valore» – afferma Elisabetta Rigobello di Di.Tech. Il filo conduttore è rappresentato da BI e AI combinate assieme. «La capacità di interpretare repentinamente i dati potrà divenire l’antidoto più efficace per la sopravvivenza sul mercato» – spiega Terzoli di Negoziando – smeup. «Ci aspetta un futuro di cambiamenti ancor più frenetici. Il tempo per la sperimentazione sarà risicato, in qualche mercato nullo. Occorre anticipare i tempi. Dal modello “on-demand” a quello “predittivo” tramite la raccolta di dati da elaborare in tempo reale e la definizione di strategie da attuare per ogni scenario». L’attuale contesto ha portato le aziende del settore retail ad accelerare gli investimenti in tecnologia. «Oggi, i consumatori si fidano di più dei canali online – afferma Scornavacca di Minsait in Italia  anche se richiedono migliori condizioni e garanzie di reso, sicurezza nei pagamenti, eccellenza nella consegna, facilità d’uso dei siti web e delle app». Elemento fondamentale è avere una infrastruttura tecnologica completamente coerente e integrata, in cloud, flessibile e dinamica. Secondo Savazzi di Oracle – «è assolutamente necessario eliminare la distinzione tra i sistemi di frontend e sistemi di backend, creando una visione unica e organica del cliente finale».

Innovare significa anche saper reagire in modo creativo agli stimoli esterni. «La pandemia – spiega Mirko Menecali, Partner & Alliance manager di Sinfo One – ha portato molta pressione nel mondo retail. Due parole chiave sono destinate a rimanere: multicanalità e controllo del locale fisico. Multicanalità intesa come strategie strutturate per sfruttare al meglio le sinergie tra canale digitale e fisico. È un trend che già esisteva, ma ha trovato forte impulso nel corso della pandemia. Le aziende di ogni dimensione hanno avuto la necessità di entrare nel canale digitale di vendita e allo stesso modo i grandi colossi del digitale sperimentano la creazione di store fisici». Il passaggio futuro sarà come fare sinergia, quali promozioni posso realizzare sull’uno e sull’altro? Quali occasioni di cross selling posso sfruttare impostando un ritiro al negozio? Sono solo alcune delle domande che dovranno trovare risposta. La pandemia ha quantomeno dimostrato che il controllo degli accessi dello store fisico è possibile e che la tecnologia può garantire la sicurezza dell’esperienza di acquisto al consumatore e al contempo fornire preziose informazioni sul suo comportamento. «Informazioni – continua Menecali – che se correttamente gestite possono essere una fonte di miglioramento della esperienza di acquisto e quindi della profittabilità del negozio. Tecnologie come RFID e computer vision sono più mature di quanto si possa immaginare e già oggi non è poi così complesso il loro utilizzo per questo scopo. La frontiera è l’integrazione di tali fonti e la efficace fruibilità delle informazioni che generano».

PRODUZIONE SU MISURA

La tecnologia aiuta a gestire le reti commerciali e i prodotti al variare degli scenari: cambio di canali e volumi, variazione degli assortimenti, dei calendari di vendita/approvvigionamento. «I modelli digitali per le reti retail (digital twin) permettono l’uso di strumenti in grado di fornire suggerimenti su dove e come operare» – spiega Francesco Stolfo, VP Business Development di ToolsGroup. Oggi, si parla sempre più di consumer-to-manufacturer, la nuova frontiera del built-to-order, della produzione su misura. I consumatori sono diventati più connessi che mai. La tecnologia ha semplificato i processi di acquisto dei consumatori, alzandone drasticamente allo stesso tempo il livello delle aspettative e dei comportamenti. Per Daniele Romeo di Axians – un accesso immediato a beni e servizi per le aziende si traduce nell’opportunità di evolvere verso un modello D2C, direct-to-consumer – «saltando del tutto i processi di intermediazione, offrendo l’opportunità di interagire direttamente con i consumatori, ottenere una migliore comprensione delle loro esigenze, fornire competitività sul pricing e offrire un’esperienza di acquisto su misura e personalizzata». Per garantire una trasformazione di successo – «le aziende devono disporre della tecnologia adatta a supportare una “vendita omnicanale” permettendo al consumatore di utilizzare le stesse piattaforme per fare acquisti sia online che offline, su qualsiasi dispositivo, in qualsiasi momento». La produzione su misura rappresenta – per Massimo Savazzi di Oracle – la naturale evoluzione all’interno dell’economia dell’esperienza. Relazione e prodotto devono essere coerenti con le aspettative del consumatore. «L’aspettativa di ogni cliente è che anche il prodotto alla fine sia assolutamente unico e personale. Guardando da un certo punto di vista, è come ritornare al modello d’eccellenza italiana degli artigiani, solo fatto su scala planetaria e per ogni singolo prodotto».

COME SI EVOLVE IL CRM?

Il CRM – spiega Andrea Zinno, data evangelist di Denodo – sta diventando sempre più schiavo del tempo – «un tempo sempre più in accelerazione continua, sempre più veloce, che sposta continuamente il limite della tempestività dell’aggiornamento delle informazioni che consentono di tratteggiare il profilo dei clienti, rendendo non più accettabile quella latenza considerata la norma solo pochi anni fa, ma richiedendo sempre più informazioni aggiornate in tempo reale o quasi-reale, in modo da servire gli utenti come questi si aspettano di essere serviti. Disporre di una data platform che sia in grado di sostenere questa velocità e questa agilità non è più un’opzione, ma un requisito irrinunciabile, cosa che peraltro rende la data virtualization una delle tecnologie al momento più interessanti». Secondo Elisabetta Rigobello di Di.Tech, il retailer ha bisogno di strutturarsi con strumenti per il customer engagement e di CRM analytics per la conoscenza puntale delle abitudini di acquisto, che gli consentano di erogare servizi differenzianti. «Il CRM tradizionale deve essere integrato anche con gli altri strumenti aziendali, per esempio quelli legati alla gestione promozionale e di pricing, ma anche della logistica».

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Il concetto stesso di CRM deve essere superato – spiega Massimo Savazzi di Oracle – «perché si tratta di un approccio ancora molto tradizionale che mette al centro l’azienda e vede il cliente come il referente di un dialogo unidirezionale dall’azienda verso di lui. «Oggi, è necessario parlare di customer experience che rappresenta la focalizzazione sull’esperienza del cliente, e quindi il ribaltamento della dinamica. Per fare questo, è necessario avere una visione organica di tutti i processi dalle vendite al service, al marketing perché ogni interazione diventa essenziale all’interno dell’economia dell’esperienza e quindi i vari dipartimenti aziendali devono essere in grado di lavorare tra loro in modo coordinato e organico».

COME CAMBIERÀ IL B2C?

L’iper-personalizzazione dell’offerta è sempre più importante. E questo significa – spiega Scornavacca di Minsait – «consentire una comunicazione bidirezionale fondata su contenuti rilevanti e personalizzata in base alle preferenze e i desideri dei consumatori, in contrapposizione ai modelli di comunicazione reattivi e quasi esclusivamente di natura commerciale». Il B2C è già in profondo cambiamento. «Negli ultimi tempi – sottolinea Savazzi di Oracle – abbiamo assistito a un’accelerazione delle dinamiche. Ciò che il cliente valorizza, premia e cerca è una esperienza, una relazione con il brand che si trasforma in rapporto fiduciario. Quando si instaura questo tipo di relazione, i ritorni per il brand in termini di fatturato aumentano esponenzialmente per ogni singolo cliente». Si profila un’accelerazione della multicanalità – afferma Francesco Stolfo di ToolsGroup – con conseguente revisione delle strategie commerciali e di marketing. «Le strategie di incentivazione alla vendita saranno sempre più profilate sul singolo cliente, creando di conseguenza una distribuzione della domanda sempre più in ottica long tail».

GESTIONE E INTEGRAZIONE DEI DATI

Come migliorare la gestione e l’integrazione dei dati per prevedere, fare le scelte giuste e ottimizzare i risultati economici? Per Andrea Zinno di Denodo si tratta di superare l’immagine evocativa ed emotivamente coinvolgente dell’abbattimento dei data silos – che hanno un ruolo di protezione e non di preclusione dell’accesso – a favore di una loro connessione, muovendo i dati solo quando sia richiesto e operando sul loro significato e sulla loro modellazione, agendo esclusivamente sul livello logico, facendo sì che il “significato” dei dati sia esplicito, accessibile e consultabile da chiunque e quale che sia l’uso che di tali dati si intende fare. «Perché ancor più della conoscenza conta la consapevolezza di averla, che è la vera chiave per giungere a una data democracy praticata e non solo enunciata, una data democracy che fonda la sua forza nella condivisione dei dati e nella libera circolazione delle idee».

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Il miglioramento della gestione dei dati e dell’integrazione dei dati è uno degli argomenti più critici. «La conoscenza del dato e la capacità di estrarre informazioni utili a prendere decisioni ed effettuare azioni – spiega Savazzi di Oracle – sono oggi l’elemento fondamentale di successo di ogni azienda. «Diverse nostre analisi, anche fatte in collaborazione con analisti di mercato, mostrano come aziende leader nella gestione e nella visione organica dei dati e nella capacità di attivarli verso i clienti finali abbiano un aumento del valore dell’azione superiore al 25% rispetto a chi queste capacità non le possiede. Con margini e incrementi di fatturato anno su anno superiori di diversi ordini di grandezza rispetto a chi non è ancora in grado di utilizzare i dati in maniera organica». La gestione e l’integrazione dei dati da problema deve diventare un’opportunità – spiega Francesco Stolfo di ToolsGroup. «Integrare informazioni su prodotti, flussi di dati ed eventi nelle supply chain multi-company consente di aumentare visibilità ed efficienza, e permette soluzioni ad hoc con le migliori tecnologie e componenti in grado di comunicare tra loro».

RETAIL INTELLIGENCE

Il machine learning per descrivere fenomeni complessi, scoprire relazioni nascoste e fare le giuste scelte in ambito produttivo, logistico e marketing. Perché il retail ha bisogno di intelligenza artificiale per aumentare le vendite, migliorare il servizio ai clienti e l’efficienza dei processi? In ambito retail, sono disponibili importanti volumi dati, che per essere funzionali richiedono elaborazioni, proiezioni e stime, che si possono basare su esperienze, ma anche occasionalità o mutevoli comportamenti. I retailer sono i custodi dei dati dei consumatori. «Il machine learning – spiega Elisabetta Rigobello di Di.Tech – contribuisce alla retail intelligence ad esempio per il predective pricing, nella gestione del piano promozionale, ma anche per la definizione degli assortimenti e per le procedure di riordino».

Per Stolfo di ToolsGroup, l’intelligenza artificiale ha un ruolo determinante sia nella descrizione dei fenomeni di vendita, dell’analisi delle correlazioni tra prodotti, mercati e fenomeni esogeni compresi gli eventi promozionali sia nella revisione dinamica delle regole di gestione per suggerire le decisioni da prendere giornalmente. «Il retail rappresenta una sfida tecnologica per il numero di problemi da risolvere ogni giorno per garantire la disponibilità dei prodotti. La complessità deriva dal numero di location/canali e dal numero e dal diverso assortimento dei prodotti. Strumenti in grado di automatizzare il maggior numero delle decisioni diventano un fattore critico per garantire la crescita e il successo». Le soluzioni di intelligenza artificiale sono diventate tecnologie abilitanti per un nuovo rapporto con i clienti. «Possono aiutare a prevedere la domanda, ad analizzare i modelli e i profili dei consumatori e offrire strumenti di pricing dinamico e velocizzare le consegne» – spiega Scornavacca di Minsait.

Il retail come qualsiasi altro mercato ha bisogno di utilizzare il machine learning per riuscire a estrarre informazioni utili dall’enorme mole di dati che oggi è disponibile su ognuno dei suoi clienti. Ma per quale motivo è necessario estrarre queste informazioni? «L’informazione diventa preziosa – spiega Savazzi di Oracle – solo nel momento in cui si è in grado di prendere un’azione nei confronti di un cliente e questa azione ovviamente deve generare un valore percepito dal cliente finale. Quindi l’intelligenza artificiale oggi deve essere in aiuto, in supporto alle funzioni aziendali, per creare la prossimità in modo veramente granulare con ognuno dei clienti finali. Per questo è necessario che l’intelligenza artificiale sia nativamente incorporata in tutte le applicazioni che supportano i processi aziendali dal marketing, alle vendite, al supporto, all’ERP, alla supply chain fino al personale e puntare a fare dialogare queste intelligenze integrate nelle APP e far confluire tutto nell’azione rivolta al cliente, cosa possibile grazie al cloud».

IL NODO DELLA LOGISTICA

Connettività, data management, automazione e logistica intelligente, come cambierà la gestione della supply chain? Per Elisabetta Rigobello di Di.Tech – l’automazione dei processi logistici comporterà significativi cambiamenti in tutta la supply chain integration, che potrà giovare anche dell’adozione delle nuove tecnologie, come la blockchain. In una visione organica dell’azienda, ogni singolo processo diventa essenziale e rilevante nella sua capacità di stabilire e creare una relazione col cliente finale.

La supply chain – spiega Savazzi di Oracle – entra in questo percorso come elemento fondamentale per erogare l’esperienza del brand. «Il cambiamento primario che dovrà avvenire, e di cui tutte queste tecnologie sono facilitatori e abilitatori, è la presa di coscienza che le aziende che compongono la catena del valore sono parti attive nell’esperienza del cliente finale e quindi il fluire delle informazioni lungo “la catena” diventa essenziale per poterla gestire e garantire». Il nodo della logistica incombe sempre di più sul commercio digitale. «Se pensiamo che nel periodo marzo-giugno del 2020 sono stati spediti in Italia tanti pacchi quanto nei sette anni precedenti – continua Savazzi – è facile intuire che gli spazi di ottimizzazione possono portare a vantaggi economici enormi. D’altro canto, è necessario adottare soluzioni che integrino l’intelligenza artificiale nativamente, per ottimizzare gli spostamenti e quindi minimizzare l’impatto ambientale anche in termini di consumi e inquinamento».

Il commercio digitale si basa sulla disponibilità prodotto e sull’esercizio del potere di acquisto del consumatore. La conseguenza è l’allargamento dell’offerta e il relativo aumento dell’assortimento. «In questo scenario – spiega Stolfo di ToolsGroup – l’uso di AI per la profilazione e la previsione della domanda, e il relativo governo dei processi di approvvigionamento, rappresenta non solo una sfida ma una necessità. Se in passato l’industria retail poteva dirsi un po’ più arretrata nell’adozione di tecnologie abilitanti oggi si può dire che senza di esse rischierebbe di mettere a rischio la sua stessa sopravvivenza».