Vitaly Vanchurin, l’universo come rete neurale

Vitaly Vanchurin, l’universo come rete neurale

Dall’ipotesi affascinante e tutta da verificare del professore di fisica dell’Università del Minnesota Duluth al ruolo centrale dell’intelligenza artificiale nell’esplorazione dello spazio

Migliaia e migliaia di cicli vengono eseguiti per addestrare una rete neurale. Potremmo essere noi stessi un ciclo di addestramento di una macchina che regola l’universo? La risposta è sì. Lo afferma Vitaly Vanchurin, professore di fisica all’Università del Minnesota Duluth, nel suo paper dal titolo “Il mondo come rete neurale”. L’intero universo al suo livello più fondamentale potrebbe essere una rete neurale. «Non stiamo solo dicendo che le reti neurali artificiali possono essere utili per analizzare sistemi fisici o per scoprire leggi fisiche» – spiega Vanchurin. «Stiamo dicendo che è così che funziona il mondo che ci circonda. Sotto questo aspetto potrebbe essere considerato come una proposta per la teoria del tutto, e come tale dovrebbe essere facile dimostrarlo. Tutto ciò che serve è trovare un fenomeno fisico che non può essere descritto dalle reti neurali. Purtroppo (o fortunatamente) è più facile a dirsi che a farsi». Insomma, secondo Vanchurin stiamo – o staremo – vivendo all’interno di una massiccia rete neurale che governa tutto ciò che ci circonda. La portata di tale intuizione, qualora venisse confermata, sarebbe la pietra filosofale per i fisici. Si realizzerebbe un sogno da Einstein ai più grandi scienziati di sempre: unificare la fisica classica con la meccanica quantistica. Utopia?

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COMPETIZIONE GEOPOLITICA

Tornando con i piedi per terra, si fa per dire, attraverso l’uso dell’intelligenza artificiale, potremmo esplorare in maniera ancora più dirompente l’universo. Sappiamo già che l’autonomia e l’automazione sono cruciali per il successo delle missioni spaziali. L’esplorazione dello spazio sempre più profondo, infatti, richiede una maggiore autonomia dei razzi perché la comunicazione con gli operatori di terra non è continua. E sviluppi in tal senso, si sono avuti già dagli anni 90, dove la pianificazione automatizzata spaziale, guidata dall’intelligenza artificiale, ha cominciato a fare i primi passi. Basti pensare alla ristrutturazione dello space shuttle della NASA o il framework SPIKE utilizzato per pianificare le attività da parte del telescopio HUBBLE.

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Non dimentichiamoci che grazie a SPIKE si è avuto un miglioramento del 30 per cento delle osservazioni spaziali. Questo è il passato. Ma nel presente? Si lavora – e non solo – su robot guidati dall’intelligenza artificiale per controllare determinate regioni spaziali pericolose. La comunicazione sarebbe possibile attraverso i satelliti e così la continua formazione. I robot rispondono in maniera autonoma a determinati task attivati dalla terra, elaborando e scegliendo così l’azione ottimale. Grazie all’uso dei satelliti guidati da AI è possibile raccogliere immagini, come nel caso di minacce o calamità naturali, prima che le squadre di terra se ne possano rendere conto. Per esempio, il satellite EO-1 è stato il primo satellite a rilevare flussi di lava attivi dallo spazio, a misurarne la quantità di fuoriuscita di metano e a tracciare dallo spazio la riqualificazione di una foresta amazzonica disboscata.

Il sogno di Elon Musk è quello di portarci su Marte. È una narrativa che dura da anni ma che sta facendo notevoli progressi. Già si parla, infatti, di competizione geopolitica dello spazio. Non ci sarebbe solo da competere a livello economico sulla Terra insomma, ma anche, in prospettiva, a livello di scoperte di nuovi territori e così di risorse strategiche nello spazio da parte di diversi Paesi. Ma facciamo un passo indietro. Le comunicazioni dalla Terra verso Marte hanno un ritardo di 21 minuti.

Significa che se dovessimo guidare un robot potremmo ordinare solo 360 movimenti in un giorno. Ecco il perché si sta lavorando molto intensamente su dotazioni di modelli di intelligenza artificiale a monte. Perché il robot sarebbe capace di navigare in maniera totalmente autonoma e con pochi segnali dall’esterno. Ovvero dalla Terra. Il nuovo Colombo, a questo punto, non sarebbe più un essere umano ma una macchina. Una splendida macchina dotata dalle migliori tecnologie possibili. Una AI che molto probabilmente si collegherà a satelliti quantistici.

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ALLA CONQUISTA DELLO SPAZIO

Rifacciamo un altro passo indietro. A inizio di marzo 2020, in piena pandemia, si temeva per un rallentamento degli investimenti su startup legate al settore dello spazio. Anche perché in periodi di incertezza la maggior parte degli investitori cerca di sospendere i piani e preservare il capitale. E invece, i mercati sono rimbalzati, e l’investimento in startup spaziali è continuato a salire. Nel 2019, sono stati investiti 5,7 miliardi di dollari in startup spaziali, battendo il record di 3,5 miliardi di dollari stabilito un anno prima. Il 2020 ha superato il record e si è arrivati a toccare i 12,1 miliardi di dollari.

È vero che con i tassi così bassi, iniziative di questo tipo – estremamente innovative – trovano maggiore supporto – ma i grandi VC hanno cominciato a valutare la bontà della ricerca tecnologica e a fare attività molto rigorose di due diligence. Anche perché le ricerche in ambito spaziale hanno lasciato anche nella vita reale una serie di innovazioni. Come per esempio il GPS. E abbiamo visto quanto la tecnologia sia diventata sempre più rilevante sia in ottica geoeconomica che geopolitica tra le varie potenze mondiali.

È interessante citare l’analisi del Georgetown Center for Security and Technology sui paesi che stanno investendo di più nella ricerca sull’intelligenza artificiale. Gli Stati Uniti restano saldi al primo posto con una spesa di ben 271 miliardi di dollari. Segue la Cina e poi Israele. La prima nazione europea è la Germania con 356 milioni di dollari. In futuro? A livello economico, è possibile un ridimensionamento qualora ci fosse un rialzo dei tassi a causa di uno scenario da iperinflazione. Mentre a livello geopolitico, è interessante osservare il gap tecnologico – e non solo – che c’è tra Usa e Cina verso tutti gli altri.

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Inoltre, è importante sottolineare lo sforzo che sta compiendo la Cina sulla ricerca e sviluppo di satelliti quantistici, in collegamento ai sistemi di sicurezza che blindano le comunicazioni rendendole inaccessibili e inviolabili. E in Italia? Primo Space è il primo fondo di venture capital tecnologico specializzato negli investimenti in campo spaziale. Il nuovo fondo, promosso da Primomiglio SGR, è focalizzato sull’industria spaziale italiana e il primo passo è stato sulla startup AIKO Space, società di software specializzata nella progettazione e sviluppo di intelligenza artificiale per l’automazione delle missioni spaziali.

Che viviamo in una simulazione algoritmica o che siamo davvero parte di una gigantesca rete neurale poco importa. Nello spazio, come sulla Terra, vige sempre lo stesso principio: prior in tempore, potior in iure. L’intelligenza artificiale più evoluta conquisterà lo spazio.