«Solo un nuovo cluster di innovazioni schumpeteriane può rimettere al centro l’impresa»

Il piano Marshall salvò l’Europa, il PNRR salverà l’Italia? Abbiamo un debito del 160 per cento del PIL.

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Il problema non è il debito pubblico, o meglio non solo, ma la quantità di stock accumulato, che tradotto significa infrastrutture fisiche e digitali che aumentano la produttività totale dei fattori. E qui sta il vero nodo della questione. La crescita è sempre stato un problema, anche quando l’Italia cresceva ma il sistema perdeva progressivamente quota, come dimostra l’andamento medio nei decenni dal 1950 al 2008.

«La crisi che si è abbattuta sulle economie mondiali non deve trarci in inganno: è profondamente diversa da tutte le altre» – spiega Giulio Sapelli, economista ed esperto di organizzazione aziendale, intervenendo al WeChangeIT Forum 2021. «Lo è rispetto ai tempi a cavallo della Prima Guerra Mondiale, quando una pandemia simile si diffuse nelle trincee degli eserciti in guerra con conseguenze tuttavia, visti gli accadimenti bellici, totalmente diversi da quelli di oggi. A quel tempo, la produttività d’impresa era ai suoi massimi per via delle produzioni belliche e dei servizi propri di queste ultime. Oggi, nulla di tutto ciò. Si tratta di una crisi esogena e non endogena al sistema economico, già immerso in una deflazione secolare con tendenziale abbassamento dei tassi di profitto e dei salari, alte rendite finanziarie, frequenti bolle speculative e politiche restrittive che avevano esacerbato la crisi mondiale del 2008».

La pandemia è una discontinuità che fa esplodere le contraddizioni. Rischiamo di rimanere indietro in assenza di un piano di investimenti in infrastrutture. Il digitale fa due cose: elimina le barriere e crea nuovi spazi di mercato. «La pandemia – continua Sapelli – ha provocato una crisi da contaminazione che ha bloccato contemporaneamente domanda e offerta e posto in pericolo la stessa riproducibilità della vita umana ponendo ai soggetti il problema della eventualità della morte. Le imprese hanno reagito in base alla loro posizione nella catena della circolazione delle merci in cambio di merci oppure in quella della circolazione delle merci in relazione alle persone (consumi, servizi alla persona, etc.). Le stesse imprese essendo un costrutto sociale più che economico hanno dovuto interrompere le catene relazionali interne ricorrendo al lavoro in remoto con sconvolgimento dei sistemi organizzativi».

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Le catene mondiali della logistica delle spedizioni e delle infrastrutture sono state sottoposte a una doppia pressione: «Quella deflattiva già in atto e quella dell’aumento dei costi di coordinamento e di relazione con consumi energetici inauditi per l’addensamento dei cloud che producono entropia sino ad aumentare i tassi di riscaldamento climatico con conseguenze importanti per la continuità di molti insediamenti umani stabili».

Per Sapelli – «solo un nuovo cluster di innovazioni schumpeteriane può rimettere al centro l’impresa, con una razionalizzazione dei processi grazie a tecnologie innovative e a relazioni personali fondate sulla antropologia positiva, capaci di ridurre tendenzialmente allo zero i costi di controllo personale e gerarchici. Questo può inverarsi solo con una doppia mossa del cavallo ossia con un aumento della produttività dell’impresa, insieme alla crescita della produttività totale dei fattori ossia del sistema, in cui le imprese evolvono come nel liquido amniotico: infrastrutture non solo digitali ma fisiche, materiali, con cicli innovativi derivati, come sempre del resto, dalla ricerca spaziale, non a  caso al centro della nuova guerra fredda Cina-USA». 

L’intervista integrale a Giulio Sapelli, sul numero speciale di Data Manager dedicato all’evento.