La sinergia tra AI e neuroscienze per leggere le emozioni

La sinergia tra AI e neuroscienze per leggere le emozioni

Le emozioni lasciano delle impronte nel nostro cervello. L’intelligenza artificiale e il machine learning aiutano i team di ricerca a decifrare la relazione tra emozioni e sviluppo delle malattie, creando nuovi modelli di analisi dei dati

Secondo i risultati di uno studio realizzato dal Dipartimento di Scienze Biomediche di Humanitas University, la pandemia ha impattato in maniera significativa sulla sfera psicologica ed emozionale degli individui. Questo studio, basato su un campione di 2.400 persone, ha rilevato che nel periodo di pandemia il 21% degli intervistati ha notato un peggioramento nei rapporti con il partner e il 13% con i propri figli. Il 50% del campione ha rivelato di aver subito un incremento della fatica durante lo svolgimento di attività professionali e il 70% degli studenti ha invece dichiarato un sensibile calo della concentrazione.

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Inoltre, il 14% degli intervistati ha dichiarato di aver iniziato ad assumere ansiolitici o sonniferi e il 10% ha fatto ricorso ad antidepressivi, mentre chi invece già faceva uso di questi farmaci prima della pandemia ha dovuto ricorrere a un incremento di dosaggio (19%). Il 21% ha riportato sintomi ansiosi clinicamente significativi e interferenti sulle proprie attività quotidiane, mentre il 10% ha avuto almeno un attacco di panico nel mese precedente la compilazione, senza mai averlo avuto prima nella vita.

Il 20% ha riportato sintomi clinicamente significativi di disturbo post-traumatico da stress (PTSD) in relazione a esperienze legate alla pandemia, mentre il 28% ha lamentato sintomi ossessivo-compulsivi disturbanti e interferenti con il proprio funzionamento quotidiano. Il Covid ci ha lasciato indubbiamente delle ferite, alcune invisibili, tutte dolorose. Le emozioni difficilmente riusciamo a leggerle con i nostri occhi. Ma è scientificamente provato che esse lasciano delle impronte nel nostro cervello. Di questo, ma anche del connubio tra neuroscienze e intelligenza artificiale, ho voluto parlare con un giovanissimo ricercatore dell’Istituto Superiore di Sanità, Giovanni Maria Russo.

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STATI INFIAMMATORI E DEPRESSIONE

Dopo aver studiato biotecnologie all’Università di Roma La Sapienza, Giovanni Maria Russo ha approfondito lo studio del comportamento animale che ha drasticamente rivoluzionato il suo approccio scientifico. «In uno dei miei libri di riferimento c’è una frase che non dimenticherò mai» – racconta a Data Manager. «Studiare il comportamento andando a osservare il funzionamento di un singolo neurone, è come cercare di leggere un libro usando un microscopio sulle singole lettere. Da qui, ho iniziato a trovarmi di fronte a una delle problematiche più evidenti delle neuroscienze: studiare un organo composto da circa 100 miliardi di neuroni, ognuno dei quali fa parte di una gigantesca rete di connessioni. Pertanto, ho deciso di concentrare i miei studi su quello che in fondo è il fine ultimo del sistema nervoso, ovvero quello di produrre comportamento». Nell’ottobre del 2019, ha conseguito la laurea triennale elaborando una tesi dal titolo “Profili comportamentali e neuroendocrini nel modello murino: effetti a lungo termine delle esperienze precoci”. Leggendo solo il titolo sembra qualcosa di molto complesso, ma semplificando, si tratta di analizzare gli effetti delle diverse cure materne sul comportamento dei figli in età adulta. Uno degli aspetti interessanti che risultano da questo studio è che madri con alti livelli di stress, crescono figli con livelli medi di stress più bassi, come se ci fosse un meccanismo di adattamento all’ambiente in cui sono stati allevati. «La logica conseguenza del mio percorso di studi – racconta Russo – è stata l’iscrizione al corso di laurea magistrale in Neurobiologia, scegliendo tra i corsi opzionali, esami concernenti lo studio del comportamento, come per esempio Psicobiologia, dove si studiano i meccanismi biologici alla base del comportamento, o come neurobiologia della memoria, dove si studia ciò che sappiamo sul funzionamento dei processi mnemonici». Attualmente, il giovane ricercatore sta lavorando all’elaborazione della tesi magistrale, presso l’Istituto Superiore di Sanità, svolgendo un tirocinio con il professor Igor Branchi. «Sto collaborando al progetto di ricerca preclinica riguardante la correlazione fra la depressione, l’infiammazione e l’epigenetica. In particolare, stiamo cercando di modellizzare una sottopopolazione di pazienti depressi. Questi, circa il 30%, sembrano avere un’alta infiammazione, e inoltre, mostrano una forte resistenza ai trattamenti farmacologici. La relazione fra infiammazione e depressione è fattuale e lo dimostrano studi recenti che correlano livelli più elevati di infiammazione con l’aumento della vulnerabilità a problemi di salute mentale durante la pandemia di Covid-19».

LA NUOVA FRONTIERA

«Lavoriamo con modello murino, ovvero su popolazione di topi. Abbiamo deciso che fosse opportuno minimizzare l’influenza dello sperimentatore utilizzando delle sofisticate gabbie automatizzate che hanno opportunamente registrato una grande varietà di parametri degli animali, fornendoci un’enormità di dati molto complessi da analizzare. Per fare ciò, mi sto avvalendo dell’informatica, ovvero dell’intelligenza artificiale e machine learning, come fondamentalmente stanno facendo la maggior parte dei ricercatori nel mondo». Il gruppo di ricerca al quale collabora Giovanni Maria Russo, sta applicando anche programmi di machine learning per analizzare il comportamento. «In passato, un ricercatore riportava ciò che osservava e poi ne traeva le sue conclusioni. Era un processo estremamente lungo, e aggiungeva una variabile che non poteva essere in alcun modo esclusa. La soggettività. Con lo sviluppo di tecniche di intelligenza artificiale, la problematica temporale è molto ridotta, data la velocità delle analisi, e inoltre elimina il bias dell’osservatore. I vantaggi di queste tecniche non si limitano a questo. Quando il programma è sufficientemente “allenato”, ovvero ha imparato dove e come guardare (cosa che fa in autonomia) è in grado di riconoscere dei pattern che un osservatore avrebbe avuto molta difficoltà a riconoscere. Il nostro cervello, o meglio l’encefalo, è probabilmente l’oggetto più complesso nell’Universo, e pertanto, come la conoscenza dell’Universo, necessita delle più avanzate tecnologie per progredire. Le neuroscienze devono adattarsi continuamente». Basti pensare che attualmente sappiamo molto sul cervello, ma ancora non siamo in grado di rispondere a domande chiave: Qual è la natura della nostra immaginazione? Dove risiede la nostra coscienza? A cosa servono i sogni? «Tutte domande che al momento rimangono senza una risposta» – spiega Giovanni Maria Russo. «Magari un giorno l’intelligenza artificiale, insieme a noi scienziati, ci aiuterà proprio a rispondere a queste domande».

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LA RELAZIONE TRA EMOZIONI E MALATTIE

Nel frattempo, negli Stati Uniti c’è un boom nella creazione di startup che si occupano di unire sistemi di intelligenza artificiale con la predizione, la diagnosi e la cura di patologie psicologiche e psichiatriche. In attesa di un quadro chiaro soprattutto dal punto di vista normativo, mi chiedo quanto la pandemia abbia dato una spinta verso questa direzione. Secondo Ippocrate, dal cervello, e dal cervello soltanto, “sorgono i piaceri, le gioie, le risate e le facezie così come il dolore e il dispiacere”. La ricerca scientifica sta dimostrando alcune relazioni tra malattie ed emozioni. L’intelligenza artificiale e le tecnologie quantistiche ci aiuteranno a risolvere questi conflitti e a capire così l’origine di alcune malattie? Secondo me, sì. Ci scommetto.