Norme digitali per cittadini (e servizi) digitali

eGov: meno della metà dei servizi pubblici transnazionali sono disponibili online a causa delle difficoltà linguistiche e di identificazione elettronica

Il tema dell’innovazione digitale dell’apparato burocratico italiano e della sua capacità di creare un contesto in cui la pubblica amministrazione sia realmente al servizio del cittadino e non viceversa, è ormai trasversale a governi e legislature degli ultimi 20 anni.

La nomina del ministro Luigi Stanca risale al giugno del 2001, ma ben prima dell’ufficializzazione di un incarico esplicitamente “informatico” (il tecnico Stanca vantava una carriera internazionale in IBM), il dibattito sulla PA ha animato una schiera infinita di convegni, libri e articoli di giornale.

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La storia di copertina di questo mese, focalizzata su una serie di progetti molto innovativi che riguardano le architetture e i servizi IT dell’INPS, una istituzione con 120 anni di storia, dimostra che da parte della pubblica amministrazione non mancano volontà di cambiamento e vision per guidare la trasformazione digitale di infrastrutture estremamente vaste e complesse, con l’aiuto di partner competenti e altrettanto visionari. E allora perché la relazione Stato-cittadino/lavoratore su funzioni vitali come il trattamento pensionistico viene ancora percepita sotto una luce di diffidenza?

Il problema è sempre lo stesso: concepire la tecnologia come una magica “scheda” che inserita nello slot di una macchina che funziona male, mette magicamente tutto a posto. Come se bastasse dotare un ufficio pubblico di un computer nuovo di zecca e dell’ultima versione di un software per rimediare a difetti che riguardano il modo in cui l’ufficio è organizzato e le procedure che i lavoratori mettono in atto. Spesso, per arrivare a un determinato traguardo, è meglio cambiare la strada, non la macchina. Trasformare la PA significa soprattutto intervenire radicalmente sui processi ed è questo il senso della sfida affrontata da INPS. Dal vivace dialogo avvenuto tra gli interlocutori seduti intorno alla tavola rotonda virtuale dedicata al mondo dei trasporti e della logistica, emerge la stessa indicazione. Avvicinare il sistema di movimentazione delle persone e delle merci alle aspettative di un’economia digitale fatta di scelte, personalizzazione e condivisione delle risorse, non è un traguardo raggiungibile trasferendo dalla carta al cloud i biglietti, le bolle di accompagnamento e le tonnellate di modulistica che operatori e utenti sono costretti a compilare. Il paperless è sicuramente un passo avanti significativo. Ma non è vera digitalizzazione.

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Un fattore tenuto in scarsa considerazione da chi critica le viscosità della burocrazia (che comunque esistono), è la questione del mandato. A differenza di un’impresa privata, gli obiettivi e i servizi che un ente pubblico è chiamato a erogare, vengono fissati dalle leggi e dai decreti dello Stato. Lo stesso vale per le norme che un trasportatore deve rispettare nell’assolvere la sua missione.

La normativa da un lato e la messa a terra dei servizi dall’altro farebbero bene a cercare un comune contesto di innovazione. Perché è inutile eliminare un collo di bottiglia con l’automazione e l’intelligenza artificiale se il mandato ricevuto e i doverosi controlli ai fini della sicurezza, della legalità o della sostenibilità ambientale sono incoerenti, disomogenei e inutilmente complessi. Specie negli attuali contesti globalizzati. La tecnologia può aiutare a essere compliant, ma la trasformazione digitale non può valere solo per chi deve adeguare i suoi servizi alle regole e alle aspettative dei cittadini e consumatori. Ma anche per coloro che le regole le scrivono.