Management e spiritualità

In monastero per affinare le skills intangibili che fanno la differenza nella gestione dell’impresa. L’esperienza di Carlotta Giovetti, ceo e presidente dell’azienda manifatturiera Trenton

C’è l’Iot, ovvero l’Intenet of things, ma anche il Sot, cioè lo Spirit of things. C’è l’homo oeconomicus, ma questi non può dimenticarsi dell’homo simbolicus. Il change management deve rapportarsi con la dimensione spirituale ed è cultura d’azienda guidare con lo spirito.

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È questa l’essenza del percorso executive Spem progettato dalla Graduate school of management del Politecnico di Milano, che scandaglia un legame impalpabile ma reale tra management e spiritualità. «È un percorso affascinante ed estremamente sfidante», confida Carlotta Giovetti, ceo e presidente di Trenton, l’azienda di famiglia che fattura 35 milioni occupandosi di metalmeccanica con 140 dipendenti. In questi giorni si appresta a lasciare l’azienda per vivere una due giorni in un monastero buddista nei pressi di Parma. «Anche questa è un’esperienza inserita nel percorso del master – racconta -, che ci ha consentito di leggere il nostro essere capitani d’azienda con gli occhi di un teologo cattolico, di un arcivescovo valdese, di esperti di fisica quantistica e, ora, anche di approdare a vivere un’intesa esperienza personale in uno spazio qual è un monastero».

Nato per trattare gli aspetti intangibili nell’ambito lavorativo, il percorso è rivolto a chi ha responsabilità di gestione di persone e organizzazioni perché, come ha detto un ceo di successo, ricorda Giovetti, «le cose che contano veramente sono quelle che non puoi toccare, che sfuggono ai normali sistemi di controllo e di pianificazione, ma che sono determinanti per il successo o l’insuccesso di un’impresa».

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Carlotta Giovetti misura la veridicità di queste asserzioni ogni giorno e in un contesto che più manufatturiero di così non si può. «Si pensi ai riti – osserva -. Un’azienda vive di riti, come per esempio quello della pausa caffè. Biasimarla o guardarla come l’attimo in cui si consolidano relazioni, in cui ciò che va o non va nei reparti viene a galla in tutta la sua veridicità?». E poi il ruolo e lo spazio dei miti: un altro tema che pare lontanissimo dalla pragmaticità della vita d’impresa e che, invece, «è determinante, in particolare nel passaggio generazionale» racconta l’imprenditrice, che quest’esperienza l’ha vissuta pienamente. «Il fondatore è, nella maggior parte dei casi, il mito e con esso occorre fare i conti. Ben sapendo che – aggiunge – è fonte di tensione positiva, ma va allo stesso tempo infranto perché la sua stessa creatura possa proseguire innovando».

Giovetti è a metà del suo percorso, ma già guarda a quest’esperienza come a un’opportunità speciale che si è voluta concedere. «Non fornisce formule o strategie che si applicano il giorno dopo in ufficio – considera -, ma dà modo di riguardare se stessi e il proprio operato con un diverso paio d’occhiali, per trasformazioni più profonde e a più lungo gittata».