Il passato è passato: cosa c’è dopo l’omnichannel retail?

Il passato è passato: cosa c’è dopo l’omnichannel retail?

A cura di David Rosen, Technology & Customer Leader, TIBCO Software

Per anni, prima della pandemia, il tema portante delle conferenze, dei discorsi tenuti dagli esperti, e i commenti dei media sul commercio al dettaglio (retail) potevano essere riassunti da una sola parola: omnichannel, omnicanale. Vendere, gestire attraverso il marketing e soddisfare (fulfilling) il cliente su diversi canali era diventato l’obiettivo finale, la spada nella roccia e il fine aureo tra i dettaglianti, anche se molti sono arrivati poco lontano nell’attuazione dei propri alti obiettivi. Nel presente articolo, si cercherà di sostenere che occorre pensare in modo differente e si vuole fare una proposta diversa: invece di pensare all’omnicanale, dovremmo pensare al ‘channel-less retail’ (commercio al dettaglio senza canale), o meglio al ‘everything channel’ (tutto canale), in un mondo in cui affidarsi solo ai dati storici del passato può portarci fuori strada.

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L’omnicanalità ha conquistato la ribalta perché i silos e le disconnessioni tra canali discreti stavano ostacolando la ricerca, l’acquisto, l’aggiornamento, la spedizione e la consegna dei prodotti. Gli acquirenti non erano sempre in grado di accedere al canale prescelto, sia che questo fosse un incaricato del servizio clienti, o in presenza in un negozio o su un sito web. L’omnicanalità era un obiettivo nobile, perciò i retailer hanno generato punti di accesso multipli in quanto il cliente ha sempre ragione e merita la possibilità di scegliere il proprio canale preferito. Ma anche se i canali erano stati implementati, questo nascondeva un caos sottostante in cui l’inconsistenza dell’aspetto (look), delle sensazioni (feel) e dell’esperienza erano ancora dominanti e passare da un canale all’altro era problematico.

Ciò di cui si ha bisogno nel retail è simile al modello di calcolo serverless nell’IT, in cui qualcun altro si preoccupa dell’hardware, in modo che si possa continuare a lavorare per essere produttivi e provare le cose senza tutti i problemi di provisioning. Parlando in termini non tecnici, si tratta di togliere l’attrito dall’infrastruttura di business in modo che i dettaglianti possano produrre i processi nel modo più semplice possibile, affinché gli acquirenti possano fare quello che vogliono.

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I tempi cambiano

Si tratta di aspetti critici oggi, poiché si sa che la pandemia ha accelerato la trasformazione digitale. Se non si sta trasformando, si rischia di perdere terreno nei confronti di chi lo sta facendo. Durante i periodi di lock-down e con le supply chain globali scardinate, le organizzazioni hanno realizzato che la propria capacità di reinventarsi non era poi così limitata o complessa come avevano immaginato. Così, le gallerie d’arte sono diventate virtuali, i teatri sono diventati entità di media streaming e i ristoranti come Panera Bread sono diventati negozi di alimentari e servizi di consegna a domicilio. Naturalmente, l’agilità dei canali alla fine dipende dall’agilità dell’accesso ai dati. In risposta alla pandemia, Panera è stata in grado di continuare a sviluppare fatturato, fornendo allo stesso tempo beni essenziali alle proprie comunità.

Facendo perno sul proprio sistema di gestione dei dati, Panera è stata in grado di passare dai cibi pronti agli ingredienti di base, così invece di un sandwich al tacchino con lattuga e pomodoro, ha potuto vendere ciascun ingrediente come in un negozio di alimentari. In questo modo è nata Panera Grocery. Grazie alla comprensione acquisita dell’intero spettro della complessità dei dati e avendo la capacità di gestire le complessità legate alla propria supply chain e alle voci del menù, Panera ha oggi l’agilità di modificarsi rapidamente per restare resiliente di fronte a qualsiasi cambiamento improvviso.

Questa abilità di piegarsi e adattarsi non finirà con il ridimensionarsi della pandemia: ci sono delle lezioni che sono state apprese e, come nel caso del lavoro remoto, non ci sarà alcun ritorno al passato.

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Anche il lato degli acquirenti è cambiato. I compratori hanno aspettative accresciute dal fatto che è aumentato il numero dei consumatori che compra online. Ciò ha posto sotto pressione i retailer perché aumentassero la propria offerta: basti vedere, per esempio, i servizi di spedizione, che con la concorrenza da parte delle aziende fisiche sempre più attiva anche nel digitale, è diventato il fattore in grado di distruggere o valorizzare un marchio, anche se il fornitore della logistica è un partner esterno. Non basta più aggiungere canali e non si può più dare la colpa alle catene del valore. I vincitori di questo gioco offrono al pubblico i percorsi più facili, mettendolo sul sedile del guidatore per comporre canali a piacimento per tutti i loro percorsi di acquisto. Ciò significa che l’infrastruttura sottostante e che viene proposta al cliente dev’essere semplice, per fare in modo che i clienti non si accorgano nemmeno di quali potenziali canali multipli stiano utilizzando per cercare, acquistare, modificare e ricevere i prodotti.

Tutto ha a che fare coi dati

La capacità di esecuzione qui è centrata sui dati e su come i dettaglianti li raccolgono, curano, gestiscono e condividono.

Tutti hanno bisogno di risolvere problemi e di trovare più cose più velocemente, sia che si tratti di aumentare i punti sulle carte fedeltà, comprare un biglietto del treno al miglior prezzo o prenotare una crociera su una nave oceanica.

Legare questi fili implica l’entrare in maggiore profondità nella customer intimacy e migliorare il lavoro già avviato sulle prossime raccomandazioni d’acquisto, sulla gestione del percorso dell’acquirente (buyer journey), segmentare la clientela e avviare campagne di marketing via email più mirate e così via.

Ma ecco l’inghippo: non possiamo più affidarci ai comportamenti d’acquisto pregressi per comprendere cosa faranno gli acquirenti in futuro. Si deve operare partendo dalla tesi che la pandemia ha cambiato tutto e occorre adattarsi a una nuova era d’incertezza. Questo rende l’analisi in tempo reale ancora più importante: il passato è passato e i nostri indizi non possono basarsi molto su trend storici e modelli comportamentali. Per avere successo, occorre muoversi più velocemente e correggere più in fretta che mai in passato, basandosi sui mutevoli flussi di dati e sull’esperienza, conquistata duramente, dal cambiamento delle abitudini dei consumatori.

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Sempre più la formula per il successo si basa sulle data analytics, in combinazione con l’esperienza di settore e di nicchia. L’etnografa tecnologica Tricia Wang nota che molte organizzazioni realizzano solo a parole la vicinanza col cliente, poiché soffrono del “sovraccarico di report”, prestando troppa attenzione ai dati quantitativi e non sufficiente attenzione ai dati qualitativi e “rilevanti”. Inoltre, le stesse organizzazioni non riescono a fare un uso sufficiente degli strumenti che possono aiutarle, quali l’Intelligenza Artificiale (IA).

E mentre il mondo (giustamente) è ossessionato da una carenza di data scientist, occorre anche preoccuparsi dell’assenza di pensiero critico. In altri termini, servono più ricerche obiettive di fatti e insight per scoprire dove si trovano i valori anomali e perché i dati globali ed empirici possono portarci a un punto morto. In un ambiente di retailer che si sta globalizzando, occorre cercare quello che va in controtendenza e comprenderne i motivi, quindi aggiustare le strategie per operare in nuovi Paesi, con nuovi acquirenti, nuovi strumenti e nuovi canali, quali a esempio il metaverso.

Com’è suggerito dalla radice greca di critico (kritikos), occorre discernere di più, opinare e affidarsi meno all’intuizione. La pandemia ha cambiato il retail per sempre sul lato vendita e sul lato acquisto…e occorre superare la semplice ossessione dell’omnicanale.