Valorizzazione, protezione e crescita delle filiere strategiche. Il Made in Italy e l’innovazione al centro della politica industriale del Paese. Adolfo Urso, Mimit: «Finalmente, l’Italia ha una legge che tutela e promuove l’eccellenza del Made in Italy»
Dopo lo sprint registrato a inizio dell’anno, frenano gli investimenti. A determinare il nuovo clima di incertezza contribuiscono diversi fattori: l’instabilità geopolitica, l’aumento dell’inflazione, la rapidità di crescita dei tassi di interesse, il rallentamento della locomotiva tedesca e le revisioni al ribasso delle previsioni di crescita per il 2023 e per il 2024, ma che non riguardano solo l’Italia. Secondo le ultime stime della Commissione europea, tuttavia, l’Italia dovrebbe mostrare livelli di crescita leggermente sopra la media Ue. L’accordo raggiunto all’Ecofin sul Patto di stabilità contribuisce a generare un clima di fiducia nella capacità dell’economia di reagire in modo positivo, raffreddando le preoccupazioni dei mercati sull’impennata del debito pubblico. Da almeno un decennio, le prospettive attuali e future del Made in Italy sono oggetto di dibattito. Se qualcuno parla di permacrisi, allora i campioni del Made in Italy sono permaimprenditori e permainnovatori. Nonostante i problemi macroeconomici, l’Italia può giocare un ruolo significativo, grazie al suo posizionamento nei quadranti di gamma medio-alta e alta.
Secondo gli analisti, il Made in Italy si posiziona come il terzo marchio più riconosciuto a livello globale. L’unicità dei prodotti italiani si riverbera su un eccezionale patrimonio di cultura, arte e paesaggio forgiato da una storia millenaria. L’Italia è il Paese che possiede la più alta presenza di siti Unesco, patrimonio dell’umanità. La nostra produzione industriale e artigianale è frutto anche di questo. Ma ancor prima degli aspetti economici, dal dibattito dell’ottava edizione di WeChange IT Forum, l’evento annuale di Data Manager, quest’anno in partnership con Prysmian Group, emerge la necessità di incentivare una vera e propria cultura del Made in Italy e di investire di più sulla tutela e sulla valorizzazione dei distretti industriali italiani attraverso la tecnologia. In questa direzione, l’innovazione coinvolge tutte le imprese del nostro territorio, che chiedono agilità nella gestione sicura dei dati a livello di prodotto, di processo e di filiera, per ottimizzare la produzione in modo sostenibile, sfruttare meglio le risorse lungo tutta la supply chain, migliorare la capacità di competere, garantendo l’origine e la provenienza come fattore differenziante. Anche la sostenibilità diventa strategia di competitività. Il Made in Italy di eccellenza non può che essere sostenibile per definizione. Le imprese che hanno scelto la sostenibilità a tutto tondo, guadagnano quote di mercato, sono più efficienti, aumentano i profitti e l’occupazione, come emerge dalle analisi di Istat, Unioncamere e SACE.
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Svolta storica per il Made in Italy
La produzione del Made in Italy è un fenomeno economico e culturale che sarebbe riduttivo identificare semplicemente con l’attività manifatturiera. Più che di un settore produttivo siamo in presenza di una vera e propria filiera dalla quale non scaturiscono solo beni di elevata qualità, ma anche idee, simboli e capitale culturale e creativo. Il Made in Italy può esprimere un potenziale senza pari a livello mondiale. Imprese e manager devono sfruttare ancor di più il marchio Made in Italy per ampliare gli orizzonti dell’industria italiana nella sfida della duplice transizione digitale e green. La valorizzazione è legata a doppio filo con l’innovazione e con la capacità di costruire un ecosistema di imprese, in grado di attrarre e concentrare talenti e abilità per generare idee e produzioni a elevata intensità di conoscenza.
Il Made in Italy è un marchio conosciuto in tutto il mondo. Food, Design, Fashion sono le tre punte dell’eccellenza che valgono l’80% della produzione con un export tra il 50% e il 60% a secondo di chi lo misura. La legge sul Made in Italy pone al centro l’innovazione con un provvedimento storico che segna una svolta nella politica industriale del Paese, intervenendo a 360 gradi per stimolare e proteggere la crescita delle filiere strategiche nazionali, contrastare la contraffazione, formare nuove competenze e trasferire il know-how. Ma quando si parla di Made in Italy, è facile scivolare subito nella celebrazione. Le imprese della filiera sono un esempio di resilienza e di saper fare, sono forse le migliori al mondo, un mix di resistenza e creatività. Va tutto bene? Certamente no. Perché Made in Italy non significa solo produrre in Italia, ma anche attrarre investimenti dall’estero. Mai come in questo momento l’Italia è al centro del mondo: perché i consumatori hanno fame di Made in Italy e gli investitori internazionali guardano all’Italia come opportunità.
L’Italia detiene la leadership in diversi settori di alta gamma. Siamo co-leader insieme alla Francia in termini di quote di mercato ma abbiamo più settori. Nonostante la frammentazione del sistema produttivo, la manifattura rappresenta oltre quattro quinti delle esportazioni complessive e rimane il settore di punta della nostra economia produttiva, quello dove si concentra l’innovazione come leva competitiva. Tuttavia, abbiamo strutture dimensionali troppo piccole e dunque bisogna aiutarle a crescere, perché la competizione è sempre più dura. Abbiamo aumentato la quota di imprese innovative, ma molte aziende non fanno abbastanza ricerca e sviluppo, o investono poco o nulla sul capitale umano.
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L’eccellenza come azione rivolta al futuro
Le critiche al Made in Italy di familismo, bassa produttività, scarsa innovazione si tengono l’una con l’altra. Ma le famiglie imprenditoriali sono anche i custodi dei processi, della conoscenza, di quella catena del valore che genera l’eccellenza. Abbiamo un sistema bancario e formativo solido capace di sostenere le imprese e sfornare talenti. Abbiamo inventato gli occhiali, il paracadute, la radio, il barometro, il primo personal computer, la macchina da scrivere e quella del caffè, ma non siamo stati capaci di inventarci Starbucks. L’eccellenza però non deve restare un’azione rivolta al passato, ma deve diventare una disposizione mentale per immaginare il futuro. Dobbiamo creare comunità di imprese, ma non si può fare squadra se si resta da soli. Senza una solida comunità d’impresa, qualsiasi tentativo di esprimere il “genius loci” rischia di essere insostenibile nel lungo periodo. A crescere, oggi, sono i sensori che connettono i macchinari, non i telefonini. I futurologi raccontano che i robot intelligenti salveranno il Made in Italy.
Gli analisti continuano a sottolineare che in Italia non è nata nessuna azienda come Microsoft. Eppure, nonostante le grandi multinazionali che hanno sicuramente contribuito a far crescere il Sistema Paese in termini di evoluzione e cambiamento, in Italia sono nate molte software house innovative che hanno saputo crescere e resistere. Malgrado tutto. Pensiamo alla Zucchetti di Lodi, la software house più grande in Italia, e al suo fondatore Mino Zucchetti che ci ha lasciati il 14 settembre e che da professore di ragioneria aveva saputo guardare lontano, realizzando il primo software per la dichiarazione dei redditi. Questa è la forza del Made in Italy che ci piace. Un po’ ribelle e capace di trasformare le condizioni di svantaggio di partenza in spinta propulsiva per generare idee nuove. Il Made in Italy produce eccellenza, ma questa eccellenza è fatta di energia e di persone, di materie prime che alimentano il processo di produzione, di beni fisici che per raggiungere i clienti devono viaggiare in tutto il mondo. Davanti alle sfide della trasformazione digitale, della transizione energetica e della sostenibilità, qual è il futuro del “bello, buono e ben fatto in Italia”? La risposta che abbiamo dato, per dirla con lo storico dell’economia Carlo M. Cipolla, è che l’Italia sa ancora “inventare cose nuove che il mondo vuole”. Nuovi prodotti, nuove produzioni, nuovi settori, nuovi processi che ancora non conosciamo. E l’innovazione tecnologia è l’alleato più potente per farlo.