L’IoT incontra l’intelligenza. Il vero ROI è il caso d’uso

L’IoT incontra l’intelligenza. Il vero ROI è il caso d’uso

Convergenza IT/OT, manutenzione predittiva, servitization. Il paradigma industriale si evolve e mette al centro l’intelligenza del dato. Con la partecipazione di AEB Group, Bianchi Bicycles, CY4GATE, Marcegaglia, Profilglass, Gruppo Sapio e Sofinter

IoT e controllo numerico avanzato stanno diventando sempre di più il fattore abilitante dell’automazione e dell’efficienza operativa della fabbrica digitale. Grazie a macchine programmabili, sensori intelligenti, analisi in tempo reale all’edge e connettività avanzata, cablata o wireless, le aziende possono ridurre i tempi di inattività, allungare la vita attiva degli impianti, migliorare la qualità complessiva, ottimizzare la produttività, e rispondere in tempi estremamente rapidi alle sfide che vengono dal mercato: sia in termini di accelerazione del lancio di nuovi prodotti e aggiornamenti, sia sul piano del forte spostamento verso modalità di lavorazione su commessa e produzione flessibile e personalizzata, che per molte imprese, incluse quelle di medie dimensioni, prendono gradualmente il posto dei tradizionali modelli “a catalogo”. La fabbrica intelligente del futuro sarà con tutta probabilità caratterizzata da linee di produzione in cui la componente “software defined” avrà un peso sempre maggiore e dove le decisioni potranno avvenire in modalità near real-time sulla base di informazioni di qualità ricavate con strumenti analitici avanzati e grazie agli automatismi dell’AI.

Il raggiungimento di questi obiettivi e di una felice convergenza tra IT e OT, comporta una molteplicità di sfide nella governance della smart factory, che deve, tra l’altro, essere in grado di rispettare criteri stringenti in materia di interoperabilità tra dispositivi, macchine, interconnessioni, software di controllo, sicurezza avanzata e sostenibilità. Per i responsabili delle infrastrutture produttive e dell’informatica chiamata a sostenerle, si tratta di portare avanti scelte molto complesse, capaci di centrare almeno due obiettivi ancora più immediati: la continuità della produzione e la necessità di innestare le nuove tecnologie su una “cultura della fabbrica” fatta di competenze stratificate, procedure consolidate e generale resistenza al cambiamento.

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Nel corso della tavola rotonda dedicata all’evoluzione dell’industria connessa, con la partecipazione di AEB Group, Bianchi Bicycles, CY4GATE, Marcegaglia, Profilglass, Sapio e Sofinter, il dibattito ha messo in luce come l’integrazione tra IoT e intelligenza artificiale stia trasformando i processi industriali, abilitando una gestione quasi in tempo reale dei dati e una capacità decisionale sempre più autonoma e predittiva. Durante l’incontro sono state analizzate e messe a confronto le diverse strategie di digitalizzazione della fabbrica, con un focus particolare sul ruolo sempre più centrale del machine learning all’interno degli ecosistemi data-driven. Al tempo stesso, è emerso il potenziale crescente dell’AI generativa nel supportare decisioni strategiche, dalla scelta di nuovi apparati e sistemi produttivi, alla competitive intelligence, fino al marketing di prodotto. Ampio spazio è stato dedicato anche al tema della cybersecurity, un ambito critico soprattutto nel punto di convergenza tra OT (Operational Technology) e IT (Information Technology). Una sfida complessa, come sottolineato da tutti i partecipanti, in quanto strettamente legata – così come l’intero sviluppo dell’intelligenza artificiale in ambito industriale – alle decisioni progettuali e implementative di chi progetta, integra e gestisce macchine, impianti e servizi.

Come di consueto, la discussione si è articolata in due momenti distinti. Nella prima parte, i relatori hanno illustrato le principali iniziative in ambito IoT, smart factory, produzione industriale data-driven e automazione intelligente. Un racconto che ha trasceso gli aspetti puramente tecnologici, esplorando anche le nuove dinamiche organizzative e la figura emergente del manager ibrido, dove le competenze del business e quelle del chief information officer si intrecciano in modo sempre più stretto. La seconda parte, particolarmente vivace, ha messo in luce le sfide pratiche e le aree di criticità che possono ostacolare il successo di tali progetti. I temi trattati hanno riguardato la selezione, valutazione, integrazione e interoperabilità dei sistemi; la protezione dei dati e della proprietà intellettuale; l’acquisizione e la formazione di nuove competenze nel contesto IT e OT; nonché la compliance normativa che regola oggi il settore manifatturiero. Inoltre, è emersa la crescente importanza della sostenibilità ambientale, con un focus particolare sull’impatto dei costi energetici e delle materie prime.

Dal confronto è emerso un quadro chiaro: l’Italia continua a produrre con creatività e intelligenza, supportata da una classe imprenditoriale e manageriale, che riconosce il potenziale abilitante della tecnologia, ma anche consapevole della necessità di governarla nel modo giusto, mettendo insieme competenze ed esigenze che, in passato, erano separate. Con queste iniziative, Data Manager lancia un messaggio chiaro: l’innovazione va governata con visione e apertura, per coniugare le esigenze del business con le potenzialità della tecnologia.

DUE CULTURE INFORMATICHE

Nella convergenza tra le due culture digitali dell’industria e dell’IT aziendale, emergono chiaramente i limiti strutturali dell’ambiente OT rispetto a tematiche che il mondo office affronta da tempo in modo maturo, a partire dalla cybersecurity. La vera linea di demarcazione è, inevitabilmente, la connettività. Al netto delle reti specialistiche – i cosiddetti bus tradizionali su cui viaggiano i dati OT – parliamo di sistemi che, prima dell’avvento dell’IoT, potevano essere considerati ambienti chiusi e isolati, progettati per operare in modo autonomo e scollegato dal mondo esterno. La connettività trasforma ambienti prima isolati in ecosistemi interconnessi, esponendoli a nuove vulnerabilità e imponendo un ripensamento profondo delle architetture di sicurezza, delle policy e delle competenze.

I protocolli Internet e la crescente interconnessione dei flussi informativi stanno dissolvendo definitivamente l’isolamento dei sistemi OT. In questo nuovo contesto, solo un confronto strutturato e trasversale tra le diverse culture digitali presenti nella smart factory può garantire una visione condivisa e una governance efficace dell’innovazione. Esattamente come un dialogo attivo tra le varie funzioni aziendali in una impresa manifatturiera che decide e governa la propria trasformazione, è un fattore determinante dei piani di digitalizzazione.

SE AUMENTANO I RISCHI

Ad aprire i lavori, nello spazio introduttivo riservato alle aziende partner della tavola rotonda, l’intervento di Guido Montalbano, sales engineer di CY4GATE, un player tecnologico italiano nato nel 2014 come spin-off della capogruppo Elt Group, leader nella progettazione elettronica per la difesa. Con un solido know-how maturato in ambito defense e istituzionale, l’azienda si è affermata nel settore della cybersecurity e della decision intelligence, ed è oggi quotata al segmento STAR di Borsa Italiana. Negli ultimi anni ha registrato una forte crescita, sia organica che attraverso operazioni strategiche di M&A. Forte dell’esperienza maturata in contesti ad alta criticità come quello difensivo e istituzionale, CY4GATE Group sta ampliando il proprio raggio d’azione verso il mercato enterprise in particolare sulla protezione dei data center e delle reti industriali di diverse industry, con una forte predilezione per l’ambito OT/IoT.

Guido Montalbano sales engineer di CY4GATE

«La crescente integrazione tra IT e OT – spiega Montalbano – sta ampliando la superficie di attacco: nel nuovo perimetro da difendere rientrano ora anche macchine, sensori e attuatori». Una trasformazione che richiede un approccio strutturato alla cybersecurity, ispirato ai principi del NIST Cybersecurity Framework, per garantire sicurezza, resilienza e continuità operativa. Nella fabbrica digitale, i punti di vulnerabilità si moltiplicano, spesso in aree finora trascurate, aprendo la porta a rischi concreti: dalla perdita di qualità e danni economici o reputazionali, fino all’esfiltrazione di dati sensibili o a vere e proprie azioni di sabotaggio. Il pericolo è concreto – avverte Montalbano – perché nel mondo fisico il confine tra sicurezza logica e sicurezza operativa può essere sottile. «Basta pensare a cosa accadrebbe se un attaccante riuscisse a prendere il controllo di uno scambio ferroviario». Il problema è di natura strutturale: «I sistemi a controllo digitale impiegati negli ambienti produttivi non sono stati concepiti con una logica di sicurezza “by design”, rendendoli oggi più esposti in un contesto dove l’interconnessione è diventata la norma».

In base al principio per cui difendersi significa soprattutto imparare a pensare come l’attaccante, le tecnologie di sicurezza devono essere ripensate in modo nuovo – aggiunge Montalbano. «Le normative che cercano di stabilire delle soglie minime di protezione possono rappresentare non un inutile mal di testa, ma una grande opportunità per investire su un patrimonio di sicurezza che le imprese italiane, specie nel comparto PMI, valorizzano poco. Come colmare il gap lasciato da una progettazione non orientata alla sicurezza “by design”, che spesso espone i sistemi industriali oltre la soglia di rischio accettabile, anche al netto delle tecnologie anti-malware? La risposta – secondo l’esperto di CY4GATE – sta nel rafforzare le capacità di osservazione, rilevamento e correlazione degli eventi. «Come vendor di tecnologie ci interroghiamo costantemente su come potenziare questi strumenti, sfruttando in particolare il machine learning per sviluppare motori di intelligenza artificiale in grado di interpretare pattern anomali e anticipare fenomeni potenzialmente critici». A fronte delle difficoltà oggettive di assicurare una osservabilità totale, le soluzioni CY4GATE integrano l’osservabilità dei sistemi OT e la possibilità di metterli in correlazione con gli eventi e i flussi informativi che avvengono sul piano dell’IT, ottenendo in questo modo quel tipo di controllo “cross domain” che permette di gestire il rischio di attacco rivolto a una infrastruttura o a un impianto di produzione, in funzione del suo valore di business. «Agendo in base al principio per cui più un sistema è critico per il business nel suo complesso, più dobbiamo osservarlo» – conclude Montalbano.

Questa capacità prende corpo in una appliance “black box” che CY4GATE inserisce in ambiti industriali distribuiti, spesso poco coperti o del tutto privi di connettività. Una soluzione embedded che integra tecnologie e funzionalità di detection “diffuse”, controllabili localmente, per dare ai responsabili dell’OT, non necessariamente dotati delle competenze di un CISO, un’evidenza chiara e soprattutto di facile comprensione. Con messaggi che spiegano la natura degli incidenti o delle anomalie rilevate e arrivano a indicare le misure e i comportamenti da adottare.

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L’OSSIGENO DEL DATO

In oltre 102 anni di attività, il Gruppo Sapio ha preservato la sua identità di azienda italiana a capitale familiare, costruendo nel tempo una realtà industriale solida e internazionale. Fondata nel 1922, l’azienda ha iniziato nel settore dei gas tecnici, per poi espandersi anche all’ossigeno medicinale, consolidando la propria presenza attraverso una strategia di acquisizioni mirate. Oggi, il Gruppo conta sedi operative che si estendono dal Portogallo alla Turchia, confermandosi un player di riferimento nel panorama europeo. La materia prima con cui opera Sapio è impalpabile, ma strategica. A differenza di molti altri settori, la materia prima di partenza – l’aria – è una risorsa di per sé gratuita. Fatta eccezione per alcuni gas come l’elio che si produce naturalmente nel sottosuolo o l’acetilene ricavato dai residui dell’industria petrolifera, i prodotti commercializzati dal gruppo vengono estratti direttamente dall’atmosfera. La loro distribuzione segue due principali direttrici: da un lato le bombole, disponibili in vari formati, spesso impiegate anche a livello domestico per pazienti che necessitano di ossigenoterapia. Dall’altro, le autocisterne criogeniche, destinate a clienti business che stoccano grandi volumi di gas in serbatoi ad alta capacità.

In ambito sanitario, tra i principali clienti figurano proprio gli ospedali, dove i serbatoi alimentano le reti di distribuzione dell’ossigeno medicale, garantendo l’approvvigionamento continuo ai bocchettoni presenti nei reparti di terapia intensiva e nelle sale operatorie. A guidare l’infrastruttura IT di questa articolata filiera produttiva e distributiva è Riccardo Salierno, Group CIO di Sapio. «Il Gruppo – racconta – è composto da oltre 50 entità legali che spaziano dalla produzione di gas tecnici e medicali per applicazioni in ambito sanitario, alimentare e nei servizi al pubblico tramite portali medici, assistenza domiciliare, fino alla crioconservazione di materiale genetico, con attività che si estendono anche al biotech e alla ricerca scientifica». Un esempio emblematico del ruolo strategico assunto dal gruppo è la collaborazione con la Michael J. Fox Foundation, per conto della quale Sapio gestisce la conservazione di campioni genetici richiesti da ricercatori di tutto il mondo, impegnati nello studio di patologie neurodegenerative come il Parkinson e la corea di Huntington.

Riccardo Salierno Group CIO di Sapio

In Sapio, la digitalizzazione si muove lungo due direttrici complementari. La prima riguarda la produzione e il monitoraggio degli impianti, supportata da un’infrastruttura sensoristica avanzata che consente il controllo puntuale di ogni fase del processo. La seconda interessa invece la logistica, vero e proprio cuore pulsante della distribuzione, che consente al gas di raggiungere in modo capillare i diversi punti di utilizzo, dai grandi ospedali alle abitazioni dei pazienti. È proprio su questo secondo fronte che, nel 2020, durante la fase più acuta della pandemia da Covid-19, si è manifestata la fragilità del sistema. «Il problema non erano gli ospedali, dotati di serbatoi autonomi» – spiega Salierno. «La vera criticità era garantire le forniture domiciliari: un sistema che si regge su un ciclo “vuoto per pieno”. Se le bombole non rientrano per essere ricaricate, a un certo punto non è più possibile effettuare nuove consegne. E questo, in un’emergenza, può diventare un serio collo di bottiglia operativo». Durante la fase più critica della pandemia, una delle priorità emerse fu l’ottimizzazione dell’intero processo informatico legato alla vendita, tracciabilità e consegna delle bombole di ossigeno – ricorda Salierno. Il punto debole è l’accessibilità e l’interoperabilità dei dati, fondamentali per abilitare logiche di ottimizzazione avanzata attraverso l’IoT.

«Come in molte grandi aziende, anche noi stiamo lavorando per evolvere in questa direzione, ma il percorso è complesso» – osserva Salierno. «Il nostro modello è fortemente eterogeneo: attorno all’ossigeno ruota un ecosistema di servizi rivolti alla cura domiciliare dei pazienti, ambito in cui il Servizio Sanitario Nazionale ha progressivamente delegato a operatori specializzati come noi, tramite gare d’appalto». A complicare ulteriormente il quadro – prosegue Salierno – sono le normative stringenti sulla privacy – GDPR in testa e NIS2 a breve – e la frammentazione tecnologica legata a protocolli e formati proprietari, per esempio nei sistemi di ventilazione forniti ai pazienti. «Questo rende difficile aggregare e mettere a disposizione dei medici o degli specialisti informazioni utili al monitoraggio e alla cura. Sapio, oggi, serve alcune centinaia di migliaia di pazienti domiciliari nei vari paesi: tutti devono essere informati in base alla normativa, e ogni dato condiviso deve rispettare criteri di sicurezza e trasparenza».

Tornando alla logistica delle bombole e al tema del tracciamento, oltre alla complessità normativa si affianca un ostacolo tutt’altro che trascurabile: il costo unitario dei sensori. Le tecnologie per l’identificazione e il monitoraggio in tempo reale ci sono, ma la vera sfida – spiega Riccardo Salierno – è valutarne la sostenibilità economica e l’applicabilità su larga scala. «Il punto è capire dove e quando ha senso implementarle. In alcuni segmenti riusciamo a ottenere una buona marginalità, ma nel caso di una semplice bombola di ossigeno, il margine è talmente basso che anche un sensore dal costo di pochi centesimi può pesare sull’equilibrio economico del servizio» – spiega il CIO di Gruppo Sapio. «Tutti questi fattori devono essere valutati con attenzione nella definizione di una strategia digitale sostenibile, capace di coniugare innovazione e ritorno sugli investimenti, soprattutto in contesti caratterizzati da una forte pressione economica e da normative rigorose».

LA FABBRICA CIRCOLARE

Malgrado il nome ereditato da suoi primi, ormai lontani anni di attività, Profilglass opera nel settore dei semilavorati metallici in alluminio, producendo non più solo i profili per vetrocamera (in pratica le cornici di alluminio che fissano le molteplici lastre di vetro delle finestre termoisolate), ma soprattutto bobine di lega di alluminio, piastre, dischi di vario formato e tubi elettrosaldati. «Riforniamo qualsiasi azienda che realizza manufatti in alluminio, fino all’automotive, anche con leghe speciali» – spiega Tommaso Pagnini, CIO di Profilglass. Il mercato dell’alluminio è in continua espansione e si prevede un trend analogo fino al 2050. A livello globale, le applicazioni di questo materiale sono in costante crescita, grazie a molteplici fattori. Oltre alle innovazioni nelle tecnologie di fusione, che permettono la creazione di leghe sempre più performanti, un altro elemento chiave è l’anima green dell’alluminio. «Essendo un materiale infinitamente riciclabile, può essere ottenuto non solo tramite estrazione, che richiede un elevato consumo di energia, ma anche attraverso il recupero del rottame metallico, che costituisce il 90% della materia prima utilizzata da Profilglass» – spiega Pagnini. Tutto ha inizio con il recupero di lattine schiacciate e altre fonti selezionate. La divisione di Profilglass dedicata alla separazione dell’alluminio da altri metalli è fondamentale in questo processo.

I metalli separati vengono poi rivenduti, mentre gli scarti non metallici vengono smaltiti. L’alluminio recuperato viene quindi rifuso in placche, che successivamente vengono inviate ai laminatoi per la lavorazione. A seconda delle specifiche del cliente, l’alluminio viene lavorato in vari spessori, arrotolato in bobine o trasformato in altre forme. Profilglass si distingue per una produzione altamente personalizzata, con ben sette produzioni su dieci che vengono realizzate su misura in base alle specifiche richieste. «Si tratta pertanto di un processo produttivo molto articolato» – riconosce Pagnini. «Profilglass è di fatto composta da cinque realtà aziendali distinte, senza contare la sesta unità, dedicata alla manutenzione interna». Un’attività fondamentale all’interno di uno spazio produttivo che opera 24 ore su 24, 365 giorni l’anno. In questo contesto, la grande sfida consiste nel garantire la massima efficienza produttiva e nel migliorare costantemente la qualità del prodotto, individuando ogni possibile perdita di performance, idealmente già nelle fasi iniziali dei processi. L’altro obiettivo fondamentale è ottimizzare lo scambio informativo tra il mondo gestionale e quello della produzione. «La convergenza IT/OT è al centro della nostra strategia» – continua Pagnini. «I guadagni in termini di produttività che possiamo ottenere sono significativi, e questo ha dato impulso a numerose azioni mirate in un’ottica di smart factory».

Tommaso Pagnini CIO di Profilglass

Per Pagnini, il termine “smart” rappresenta un concetto potente, che si traduce in attività mirate ad automatizzare il più possibile lo scambio di informazioni tra due mondi che, pur non essendo completamente incompatibili, non sono neppure del tutto affini. «La sfida principale è l’armonizzazione dei dati, che devono essere resi coerenti tra realtà aziendali diverse, ognuna con i propri linguaggi e processi distinti. Profilglass, per esempio, gestisce cinque realtà aziendali. È fondamentale automatizzare la raccolta di informazioni provenienti da fonti eterogenee, come i tempi di lavorazione, le caratteristiche di tracciabilità, il numero e le cause dei fermi». Un passo decisivo in questa direzione – secondo Pagnini – è superare la divisione dei reparti, che spesso considerano i propri dati come un patrimonio esclusivo, e rendere queste informazioni accessibili e condivisibili a livello aziendale. «Se correttamente veicolate, queste informazioni possono essere certificate secondo criteri condivisi e trasformate in un formato fruibile dai decisori aziendali».

Passo che per il CIO di Profilglass rappresenta la seconda grande sfida dell’impresa intelligente. Altre sfide 4.0 affrontate dall’IT di Profilglass riguardano una maggiore resilienza di tutti i sistemi a fronte delle varie eventualità. Se un tempo – continua Pagnini – l’attenzione era concentrata sulla resilienza dei sistemi IT – rispetto ad attacchi di natura cyber, tentativi di esfiltrazione di informazione e in generale tutte le tematiche affrontate da Montalbano di CY4GATE – oggi, l’aspetto della continuità del servizio e la protezione diventa un problema di tutta la fabbrica. «Quanta più automazione c’è nei sistemi di produzione, tanto più importante diventa l’accessibilità dei dati e la ridondanza. Le nostre squadre di manutentori, per esempio, che tra l’altro devono agire sempre più in chiave predittiva, hanno il compito in caso di fermi macchina di intervenire subito ed eventualmente scatenare l’intervento di tecnici esterni, che oggi molto spesso operano da remoto». E qui si apre un ulteriore fronte critico: «La cybersecurity, soprattutto quando i canali di assistenza e manutenzione si estendono oltre il perimetro aziendale». Un altro ambito su cui Profilglass sta concentrando molte energie è il management energetico. «Il nostro è un sistema produttivo altamente energivoro» – spiega Pagnini. «Consumiamo gas, elettricità, azoto. Riuscire a correlare con precisione i consumi alle lavorazioni è fondamentale non solo per ottimizzare le performance e migliorare la redditività, ma anche per raggiungere obiettivi di sostenibilità sempre più stringenti».

VERSO IL 4.0 A PASSI GRADUALI

L’esperienza di digitalizzazione vissuta da Riccardo Piazzi, Group ICT manager di AEB Group non riguarda una lavorazione particolarmente pesante dal punto di vista industriale, né la sfida logistica rappresentata dalla distribuzione capillare di una materia impalpabile come il gas. La missione del gruppo AEB Group nasce nel contesto enologico della provincia bresciana, come azienda familiare per la produzione di biotecnologie per il vino, offrendo prodotti come stabilizzanti, chiarificanti e coadiuvanti di fermentazione e filtrazione. Nel corso della sua lunga attività AEB è cresciuta fino a diventare una multinazionale ampliando la sua gamma di prodotti includendo lieviti, enzimi e tannini, oltre a detergenti professionali per l’industria alimentare e delle bevande.

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«Enzimi, fermentazione, lievitazione, riduzione della carica batterica, sanificazione biologica di botti, cantine e ambienti come macellerie o stalle sottoposti a stringenti normative igienico-sanitarie: sono questi i principali ambiti di applicazione dei nostri prodotti» – spiega Piazzi. «Una parte della produzione segue un modello a catalogo, quindi soggetta a un certo grado di standardizzazione. L’altra, invece, è sviluppata su misura per clienti terzi, secondo contratti white label. Parliamo, in totale, di oltre 20 mila referenze attive, di cui tremila a elevata rotazione». Il primo passo verso una digitalizzazione strutturata del processo produttivo è stato compiuto nel triennio 2019–2021, con l’ammodernamento del digital workplace, tramite l’adozione dell’ecosistema Microsoft, dalle piattaforme gestionali agli strumenti di business intelligence. Una svolta che ha permesso di tracciare e analizzare in modo più efficace gli ordinativi, aprendo la strada a una gestione più reattiva e data-driven della produzione. Già a partire dal 2020 – come racconta il responsabile ICT – AEB ha avviato un percorso di rinnovamento in chiave Industry 4.0, estendendo il processo di digitalizzazione anche agli impianti produttivi. Pur non integrando ancora una sensoristica diffusa e attiva, le nuove linee sono già completamente programmabili e predisposte per l’automazione intelligente.

Riccardo Piazzi Group ICT manager di AEB Group

La digitalizzazione riguarda al momento le singole “macchine”. Secondo Piazzi, ancora non è stato affrontato l’ultimo passo verso la produzione digitale, quello della interconnessione e dell’integrazione con le piattaforme gestionali. «Partire dal digital workplace ha avuto un effetto abilitante su tutta l’organizzazione – osserva il responsabile ICT – consentendoci di estendere l’adozione delle tecnologie digitali a tutti i collaboratori, dagli uffici alla produzione, fino ai laboratori. Questo approccio ha permesso di superare resistenze culturali tipiche delle lavorazioni più tradizionali. Oggi, anche gli operatori di linea utilizzano tablet per accedere in tempo reale a informazioni operative, mentre la collaborazione è gestita attraverso Microsoft Teams. Siamo così arrivati a un punto in cui possiamo cominciare ad affrontare seriamente il tema della connettività degli impianti in chiave decisionale, con l’obiettivo di diffondere una vera cultura della gestione dei dati, condividerli in modo trasversale e rendere le persone sempre più capaci di sfruttarne il valore informativo».

Per Guido Montalbano di CY4GATE, il tema ricorrente dell’interconnessione come leva per l’efficientamento dei processi produttivi – fino all’ottimizzazione dei consumi energetici – è la risposta naturale a un’esigenza sempre più sentita: quella di condividere le informazioni in modo trasversale tra reparti e funzioni aziendali, estendendo questa visibilità anche all’esterno, lungo l’intera filiera. Una condivisione che non si limita ai dati generati negli uffici, ma che coinvolge in modo crescente impianti produttivi, sistemi OT e logistica, trasformando il dato in un asset strategico per la competitività. «Tutti devono avere accesso a dati che siano realmente utili al processo decisionale – osserva Montalbano – ma questo apre un tema fondamentale: come garantire la disponibilità di dati certificati, autentici e soprattutto riconciliati anche a livello semantico. Perché informazioni lette o interpretate in modo diverso rischiano di generare scelte divergenti». Un’esigenza che – secondo l’esperto di cybersecurity – vale anche per il monitoraggio in chiave di sicurezza: «L’ascolto continuo dei dati per intercettare anomalie potenzialmente legate a minacce cyber deve basarsi su modelli comportamentali sofisticati, capaci di comprendere la logica dei dispositivi IoT e fornire indicazioni coerenti ai vari reparti, evitando reazioni scoordinate o decisioni in conflitto tra loro».

LA STRADA DELLA FABBRICA 4.0

Giunto – per sua stessa ammissione – alle battute finali di una lunga carriera da informatico prestato al mondo dell’acciaio, Marco Campi, CTO e direttore IT di Marcegaglia, può rivendicare con orgoglio non solo «una quantità industriale» di progetti 4.0, avviati in tutto il Gruppo, ma anche il ruolo pionieristico che l’intero settore siderurgico ha sempre avuto nell’automazione dei processi. Un primato storico che continua a fare scuola nell’era della fabbrica intelligente. «Le prime forme di automazione dei processi sono emerse proprio in questo contesto industriale. Se l’automazione porta a risparmi e aumenti di produttività, nel settore dell’acciaio, ogni soldo risparmiato per ogni chilo di materiale prodotto si traduce in milioni di cost saving» – afferma Campi, ricordando la sua esperienza sin dai tempi di Italsider. Non stupisce quindi la grande attenzione che Marcegaglia ha sia nei confronti dell’automazione sia per l’integrazione dei dati che arrivano dalla produzione nella parte più gestionale. Anche perché è la stessa clientela oggi a richiedere la certificazione di una qualità che solo l’automazione può correlare ai processi in fabbrica. Uno dei segmenti su cui il responsabile delle infrastrutture IT di Marcegaglia ha scelto di insistere è quello della movimentazione dei magazzini, con obiettivi di efficienza, risparmio ma soprattutto di riduzione dei margini di errore. «Dagli operatori umani che da terra dovevano telecomandare i carri-ponte, siamo passati a una movimentazione completamente automatizzata. Il futuro andrà sempre di più verso la riduzione del personale negli spazi ad alto rischio dei magazzini e delle aree di produzione – sottolinea Campi – con il conseguente aumento di problemi di interconnessione e sicurezza dei sistemi, che dovranno essere accessibili da operatori esterni, incluse le aziende che effettuano la manutenzione, o addirittura dai clienti che dall’esterno potranno interagire e verificare l’andamento dei loro ordinativi».

Marco Campi CTO e direttore IT di Marcegaglia

Dal punto di vista dei sistemi informativi veri e propri – continua il CTO di Marcegaglia – la tensione è verso la semplificazione dell’operatività a ogni livello dell’azienda, uffici compresi. «Ritengo che ci sia ampio margine di adozione di tecnologie di AI nella manutenzione. Abbiamo in corso già diversi progetti di manutenzione predittiva e Big data, e le problematiche da affrontare sono molto più sottili rispetto alle analisi di alto livello alle quali siamo abituati. Da un lato devi imparare a correlare gli eventi di fabbrica su assi temporali molto diversi, dall’altro devi poter contare su competenze diverse, che devono in qualche modo essere formate. La strada maestra da percorrere è certamente quella dei dati, ma è ancora lunga».

Rimaniamo nel settore della tecnologia industriale con Roberto Colurcio, ICT manager di Sofinter, capofila dell’omonimo Gruppo con oltre 150 anni di storia. Sofinter si distingue per l’alto livello di diversificazione e complessità logistica, pur rimanendo saldamente focalizzata sulla produzione di generatori di vapore. Questi impianti, dalle dimensioni straordinarie, possono essere prodotti con un alto livello di prefabbricazione e installati presso i clienti in poco tempo (Plug&Play) oppure costruiti direttamente nel plant cliente con progetti che possono impegnare diversi anni. Ad aggiungere strati di complessità, c’è anche l’assetto organizzativo del Gruppo – racconta Colurcio.

«Sofinter S.p.A., costituita nel 1987 e comprendente le divisioni Macchi e SWS, rappresenta la capofila del Gruppo e la Società proprietaria, in condivisione con altri partner industriali, di AC Boilers S.p.A., Europower S.p.A., Itea S.p.A. e CCA S.p.A. Il Gruppo rappresenta l’evoluzione del settore della produzione di vapore ed energia da gas, biomasse, rifiuti urbani e garantisce una efficace cooperazione e condivisione dei mezzi e delle tecnologie delle imprese aderenti, a servizio del cliente finale e della intera comunità. Oggi, il gruppo conta stabilimenti operativi a Fagnano Olona, Marghera, Gioia del Colle e in Romania, con sedi commerciali negli Stati Uniti e in Egitto, sviluppatesi parallelamente ai progetti. Il nostro è anche un business altamente specializzato nella cantieristica, dove, ad esempio, le componenti delle caldaie vengono spedite via nave per essere assemblate direttamente in loco». Alle attività di produzione, si affianca – come sottolineato da Colurcio – l’acquisto di componenti, come tubazioni e valvole, fornite da parti terze oltre che a coibentazioni, refrattari e la parte elettrostrumentale. Queste operazioni sono tutte supervisionate dal punto di vista informatico dall’IT e OT di Gruppo, che riguarda direttamente le fabbriche. «L’ambito IT di Sofinter è molto articolato – spiega Colurcio – e abbraccia tutte le tematiche di automazione e gestione dei dati, all’interno di ambienti produttivi che operano da diversi anni».

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Roberto Colurcio ICT manager di Sofinter

Colurcio è stato chiamato nel 2024, dopo una lunga esperienza nel settore delle utility, in seguito a un avvicendamento nel top management dell’azienda. Sofinter sta puntando su un ambizioso processo di rinnovamento, che punta a trasformare una catena produttiva che oggi si concentra principalmente sulla realizzazione e vendita di impianti. «Nel futuro, grazie all’uso di tecnologie come i sensori, vogliamo espandere significativamente le nostre capacità di servizio. Attualmente, vendiamo generatori di vapore che diventano proprietà del cliente, ma il nostro obiettivo è evolverci verso una modalità di business che includa maggiormente servizi di manutenzione, andando ben oltre la fase di montaggio». Nel contesto produttivo di Sofinter, l’operazione di lavorazione metallica segue un flusso ben definito: inizialmente, il metallo destinato alla costruzione dei generatori di vapore viene lavorato in base alle specifiche necessarie. In una seconda fase, in un altro stabilimento, i pezzi vengono saldati e assemblati. Il primo impianto richiede quindi istruzioni estremamente precise sui componenti da produrre, mentre il secondo impone direttive chiare per le operazioni di saldatura e assemblaggio, che si concluderanno con l’installazione finale presso il cliente.

«Il nostro obiettivo è creare le condizioni ideali per un cambiamento strategico che permetta una vera convergenza dei dati tra i diversi processi» – spiega Colurcio, sottolineando l’importanza dell’integrazione tra le funzioni IT e OT. Tuttavia, come spesso accade in contesti industriali complessi, la realtà della fabbrica presenta uno scarto significativo tra teoria e pratica. Anche con l’aiuto di system integrator qualificati, arriva sempre il momento in cui bisogna fare i conti con la resistenza al cambiamento e la necessità di un’intensa attività di change management» – aggiunge Colurcio, evidenziando una delle principali sfide nell’adozione di tecnologie 4.0 nel settore manifatturiero.

DAL TICKETING ALLA STRATEGIA

Da quando è entrato in Sofinter, Roberto Colurcio ha portato in azienda la sua profonda esperienza passata da system integrator. Oggi, la divisione IT dell’azienda è molto più coinvolta nella formazione del personale in fabbrica, smontando – come sottolinea Colurcio – «il preconcetto secondo cui l’informatica in azienda si occupa solo di ticketing, quando invece dovrebbe essere impegnata in progetti strategici». Se l’obiettivo è ampliare i servizi che Sofinter può offrire una volta che gli impianti sono operativi presso i clienti, la sfida principale è che ogni generatore di vapore sia installato in un plant con una propria sala di controllo che acquisisce dati «live» dall’impianto stesso. «Dobbiamo imparare – spiega Colurcio – a raccogliere e interpretare i dati provenienti da queste strutture e, utilizzando il machine learning e l’AI, identificare le problematiche legate alla performance della macchina, offrendo continuo valore aggiunto al cliente. Inoltre, vogliamo utilizzare gli stessi dati per fornire informazioni utili ai nostri progettisti interni all’azienda».

In questa direzione, Sofinter punta sul cloud per ottimizzare i servizi sul campo e in fabbrica. «Abbiamo ingegneri sparsi in tutto il mondo che devono essere costantemente connessi tra loro e con la parte commerciale, anche in luoghi dove non abbiamo sedi fisiche. A livello infrastrutturale, la convergenza tra IT e OT richiede investimenti in tecnologie di rete che garantiscano la massima sicurezza. La cybersecurity è sempre stata una nostra priorità, ma ora dobbiamo estenderla anche all’infrastruttura cloud che stiamo costruendo» – aggiunge Colurcio, che è anche il punto di riferimento per Sofinter riguardo alla compliance con la normativa NIS2. «Normative come questa rappresentano un’opportunità fondamentale per rafforzare ulteriormente la nostra sicurezza informatica».

Un altro aspetto critico legato all’OT riguarda il controllo dettagliato dei processi produttivi. I generatori di vapore progettati da Sofinter sono realizzati a partire da disegni complessi, e non ci si può permettere errori a metà del processo. Il tracciamento dei vari step produttivi è essenziale, così come il coinvolgimento delle forze vendita fin dalle prime fasi del progetto. «Dalla selezione dei prospect, tutta la parte commerciale deve essere perfettamente allineata con lo sviluppo dei progetti. Ogni generatore di vapore prodotto è personalizzato, quindi è fondamentale assicurarsi che il prodotto finale rispetti le aspettative del cliente in ogni dettaglio» – conclude Colurcio.

NIENTE VALORE SENZA CASO D’USO

Dopo Sofinter, anche dalla fabbrica innovativa che Bianchi ha voluto costruire ex novo per rivoluzionare attraverso l’IIoT la tradizionale “officina” della bicicletta, arriva un esempio di strategia di “servitization” mirata a estendere nella direzione dei servizi digitali il campo di azione di un brand tipicamente manifatturiero. «Bianchi è partita dal suo nuovo stabilimento dotato di tecnologie IoT molto spinte per avvicinare i sistemi OT a supporto della fabbrica alla rete IT aziendale» – spiega il CIO Mauro Toso. «Oggi, spostiamo in là questa sfida per far leva sull’IoT per aumentare l’utilità delle biciclette viste dal cliente finale». Ma il vero nodo della questione è il design dei sensori. «Individuare non solo il tipo di sensore e le grandezze da misurare ma anche il modo più opportuno di montare questa surplus di intelligenza a bordo di veicoli, che come prima esigenza devono essere leggeri e aerodinamici – è un lavoro complesso» – sottolinea Toso.

Mauro Toso CIO di Bianchi Bicycles

«Raggiungere l’obiettivo a bordo di una e-bike potrebbe essere più facile perché l’elettronica a bordo di una bici a pedalata assistita c’è già ed è molto estesa. Nel caso di una bici cosiddetta “muscolare” si devono considerare tantissimi aspetti». Tra questi, occorre anche pensare a servizi che giustifichino l’acquisto di un prodotto premium in cambio di un valore aggiunto concreto. Un servizio che non appesantisca inutilmente la due ruote, e al tempo stesso possa essere utilizzato regolarmente, evitando il pericoloso effetto “giocattolo” che perde subito la sua attrattiva. Tra le possibilità prese in esame c’è per esempio quella di un possibile sensore di prossimità, una applicazione già sperimenta da altri competitor. Gli stessi sensori, al fine di preservare le caratteristiche aerodinamiche delle biciclette e garantirne un’ottima usabilità, andranno progettati con un profilo il più possibile sottile e non invasivo. Questo aspetto è fondamentale per mantenere l’efficienza e l’agilità della smart bike senza comprometterne la performance.

Ma come si può raggiungere concretamente questo obiettivo? «Stiamo esplorando diverse soluzioni, confrontandoci anche con chi progetta i dispositivi IoT per il settore degli elettrodomestici, dove si riscontrano esigenze sorprendentemente simili» – spiega Toso. «Anche per lavatrici e frigoriferi, tra i primi oggetti a diventare “smart”, si è dovuto affrontare il tema dell’usabilità e dell’effettiva utilità: l’intelligenza integrata ha senso solo se si traduce in applicazioni capaci di inserirsi nella quotidianità delle persone, in modo semplice e funzionale». Abbiamo voluto esplorare alcuni di questi ambiti, svolgendo diverse valutazioni e benchmark proprio per cercare di isolare le applicazioni a maggior potenziale. «Per questo motivo – conclude Toso – abbiamo coinvolto società di consulenza con esperienza nell’IoT in ambiti molto diversi, concentrandoci in particolare sulle modalità di interfacciamento con i sensori e la possibile integrazione con i sistemi wareable più diffusi e utilizzati da ciclisti professionisti e amatoriali.

La collaborazione sta dando risultati promettenti, la tecnologia disponibile sul mercato non manca, ma trovare una soluzione che, oltre a rispettare i requisiti di privacy e sicurezza, sia davvero non invasiva e percepita come utile dall’utente finale è tutt’altro che scontato». Proprio come avviene nel dibattito sull’adozione dell’AI generativa, anche nel mondo dell’Industrial IoT — dentro e fuori la fabbrica – il nodo cruciale resta quello del “caso d’uso”. La tecnologia esiste, in molti casi è matura, il potenziale sembra sconfinato. Ma il vero punto di caduta è capire se, come e quanto possa generare valore reale per chi la utilizza. Parafrasando Corrado Guzzanti, la domanda fondamentale, tanto per i progettisti quanto per i consumatori, è: «Ma io e te, che cosa abbiamo da dirci?». Una battuta che, con ironia, centra l’essenza della sfida che le aziende manifatturiere come Bianchi stanno affrontando: dare senso all’intelligenza incorporata, affinché diventi parte integrante dell’esperienza d’uso e non un accessorio. Solo così la tecnologia smette di essere un gadget per diventare un vero fattore abilitante di nuovi modelli di business, più sostenibili, connessi e orientati al servizio.

Foto di Gabriele Sandrini


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