Le aziende pronte per l’AI superano le altre nella creazione di valore

Le aziende pronte per l’AI superano le altre nella creazione di valore

E’ quanto emerge dallo studio Cisco AI Readiness Index

Cisco, il leader mondiale del networking e della security, ha presentato i dati della terza edizione dello studio Cisco AI Readiness Index rivelando anche lo scenario italiano.

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Un piccolo ma consistente gruppo di aziende – i “Pacesetter” (che sono il 10%  delle organizzazioni italiane e il 13% di quelle mondiali)  supera le altre secondo tutti i parametri con cui si può misurare il valore generato dall’AI. Questi parametri entrano per la prima volta nello studio, che ha coinvolto circa 8.000 responsabili AI di aziende di tutto il mondo, appartenenti a 30 mercati e 26 settori diversi.

Il sostanziale vantaggio che si assicurano i Pacesetter è anche una nuova forma di resilienza: deriva da un approccio sistematico e rigoroso, che trova il giusto equilibrio tra i fattori strategici, i dati e le infrastrutture necessarie per tenere il passo con l’evoluzione sempre più rapida dell’AI. Queste sono aziende che stanno già lavorando sul loro futuro: a livello globale, il 98% dei pacesetter, sta già progettando le sue reti per supportare la crescita, la scala, la complessità dell’AI.  Per l’Italia, considerando tutto il campione coinvolto nello studio, questo dato è al 27%.

Unire una visione lungimirante e solide fondamenta tecnologiche offre risultati reali, tangibili in uno scenario che sta cambiando, sotto la spinta di due forze: gli agenti AI, che alzano l’asticella dei requisiti di scalabilità, sicurezza e governance, e il debito infrastrutturale legato all’AI – che già inizia a presentare dei rischi creando “colli di bottiglia” invisibili che possono erodere il valore che si può ricavare nel lungo termine da queste tecnologie.

“L’era dei chatbot che rispondevano alle nostre domande sta finendo, stiamo entrando nella nuova, importante fase dell’AI: quella in cui ci sono agenti AI che eseguono in modo indipendente dei compiti” ha commentato Jetuu Patel, President and Chief Product Officer di Cisco. “Lo studio evidenzia che a livello mondiale l’80% delle aziende ha come priorità l’adozione di soluzioni agentiche e che due aziende su tre affermano che questi sistemi stanno già raggiungendo o superando gli obiettivi stabiliti.  Ci sono tutte le prove per parlare di un enorme vantaggio competitivo:  le realtà che sono più avanti nel percorso AI stanno ottenendo ritorni molto, molto più elevati rispetto alle altre”.

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Chi sono i pacesetter? Essere pronti è un vantaggio competitivo

Lo studio Cisco evidenzia le caratteristiche che accomunano le aziende che guidano l’adozione dell’AI e ottengono risultati concreti.  Di seguito i dati più importanti, messi a confronto con la media delle organizzazioni italiane coinvolte nello studio.

  • L’AI è parte integrante del business, non un progetto collaterale

Quasi tutti i Pacesetter (il 99%) hanno un percorso definito per l’adozione dell’AI e il 91% ha un piano di gestione del cambiamento. Tra le aziende italiane, questi dati sono rispettivamente del 42% e del 24%.  I pacesetter assegnano all’AI un budget allineato agli obiettivi: per il 79% l’AI è la principale priorità di investimento  (contro il 19% registrato nelle aziende del nostro paese) e il 96% ha pensato a strategie di finanziamento a breve e lungo termine (a confronto con il 36% in Italia)

  • Costruiscono infrastrutture in grado di crescere

I pacesetter progettano le infrastrutture pensando già a un mondo in cui l’AI è una costante. Il 71% dichiara di avere reti totalmente flessibili, che possono scalare istantaneamente per gestire le esigenze di qualsiasi progetto AI, mentre in Italia solo l’8% delle organizzazioni può dire la stessa cosa; il 77% dei pacesetter investirà entro i prossimi 12 mesi per acquisire nuova capacità data center, cosa che sta facendo anche il 43% delle aziende italiane.

  • Passano dai progetti pilota ai progetti operativi

Il 62% dei pace setter ha creato un processo di innovazione maturo e ripetibile per generare casi d’uso AI e ampliarli (vs il 10% delle imprese nostrane)  e tre quarti, il 77%, ha già finalizzato questi casi d’uso (vs il 15% Italia)

  • Misurano quello che conta

    Il 95% dei pacesetter misura l’impatto degli investimenti AI e il 71% ritiene che i casi d’uso su cui sta lavorando genereranno ricavi.  In Italia a misurare l’impatto degli investimenti AI è il 21% delle aziende e il 28% si aspetta di ottenere ricavi dai casi d’uso che sta impiegando.
  • Trasformano la sicurezza in un punto di forza
     
    L’87%
    dei pacesetter è estremamente consapevole delle minacce informatiche specifiche legate all’AI (vs il 35% della media generale in  Italia); il 62% integra l’AI nei suoi sistemi di controllo di sicurezza e identità (vs il 23% in Italia) e il 75% ha tutto quel che serve per controllare e rendere sicuro l’uso degli agenti AI (vs il 32% in Italia). Per loro, la fiducia “è parte dell’equazione del valore”.
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I pacesetter ottengono risultati maggiori grazie a questo approccio. Il 90% dichiara di aver aumentato la profittabilità, la produttività e la capacità di innovazione.

Agenti AI:  ambizioni più elevate rispetto alla preparazione

Lo studio evidenzia che il 77% delle organizzazioni in Italia progetta di implementare agenti AI e il 34% si aspetta di vederli all’opera insieme ai dipendenti entro un anno.  Ma nella la grande maggioranza delle aziende gli agenti AI stanno mettendo in luce la debolezza delle fondamenta tecnologiche: sistemi che a malapena riescono a gestire attività AI reattive e basate su compiti specifici non sono in grado di gestire sistemi autonomi che pensano, agiscono e apprendono continuamente. Il 44%  degli interpellati italiani ritiene che le reti di cui dispone l’azienda non siano pronte a gestire più complessità e volume di dati e solo l’8% descrive come pienamente flessibili o adattabili le sue reti.

I pacesetter sono ancora una volta l’eccezione alla regola. Il loro approccio rigoroso e sistematico ha già dato loro le fondamenta  necessarie per crescere.

Il debito infrastrutturale legato all’AI: un freno per il valore

Lo studio Cisco introduce un nuovo concetto, quello del debito infrastrutturale legato all’AI: una moderna evoluzione del debito tecnologico e digitale che in passato frenava la trasformazione digitale.

Il silenzioso accumularsi nel tempo di compromessi, aggiornamenti rimandati, scarsi finanziamenti per rinnovare le architetture erode il valore che l’AI può generare nel tempo. Alcuni primi segnali preoccupanti sono già visibili. Il 45% delle aziende italiane si aspetta che i carichi di lavoro aumentino di oltre il 30% entro i prossimi tre anni, il 62% non riesce a centralizzare i dati e solo il 20% ha una capacità GPU robusta mentre meno di uno su quattro – il 22% –  si sente già in grado di individuare o prevenire minacce AI specifiche.

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Ognuno di questi elementi evidenzia la distanza tra ciò che si vorrebbe ottenere dall’AI e la preparazione operativa. Quando, poi, i sistemi che abilitano l’AI non sono sicuri, il debito diventa pericoloso. I pacesetter non sono immuni dal problema ma la loro lungimiranza, la governance, gli investimenti li mettono in una migliore posizione per evitare problemi che possono trasformarsi in costosi rischi.