Perché il 95% dei progetti di GenAI non produce valore? Servono strategia, formazione e integrazione per l’adozione graduale. La GenAI è un sistema di software, data center e cybersecurity
Fuori dal trambusto, non sempre concreto ma spesso fumoso, creato dall’intelligenza artificiale generativa, molte aziende si chiedono cosa resti degli innovativi progetti di trasformazione digitale che coinvolgono LLM, agenti e tanto altro. Come se la GenAI fosse di per sé motivo di successo imprenditoriale e non un “sistema” con cui abbracciare il futuro. «Questo è uno degli errori che vediamo ancora oggi» – ci spiega Stefano Zingoni, co-founder e Innovation & Marketing director di Gruppo E.
«L’AI generativa non deve essere il fine ma un mezzo per accelerare e orientare l’organizzazione verso un modo differente di lavorare. Una tecnologia come questa non è confinata in specifici ambiti ma interessa tutti, dalle piccole realtà ai soggetti enterprise». Serve consapevolezza, come ad agosto dicevano alcuni dati del Mit: il 95% dei progetti aziendali di GenAI non produce valore.
«E noi vogliamo inserirci in quel cinque per cento» – prosegue Zingoni. Come fare? Mettendo insieme le soluzioni tecnologiche, la formazione, l’upskilling continuo. Insomma, quanto serve non per “vendere” l’AI ma per integrarla all’interno dell’organizzazione, in maniera graduale. «È come un atleta che si prepara alla maratona e che ha bisogno di un allenamento personalizzato. Un progetto di GenAI deve partire dalle esigenze, capire dove puntare, in che modo coinvolgere le persone. A monte, analizzare se l’AI generativa è davvero la migliore strada da seguire. E quindi decidere se è il caso di affrontare la maratona».
DAI DATA CENTER ALLA GENAI
Il Gruppo E ha una genesi che parte da lontano, sin dal mondo dei data center. «Dal 2015 ci siamo avvicinati alla cybersecurity e, da qualche anno, all’intelligenza artificiale» – prosegue il manager. Il Gruppo E raggruppa un insieme di aziende IT con un approccio tecnologico a 360 gradi. Per organizzare le competenze e razionalizzare l’offerta, due anni fa sono state create tre business unit: Next Generation Infrastructures, Infosec, Innovability. Quest’ultima è focalizzata su sostenibilità, innovazione e AI. A guidarla c’è proprio Zingoni, che ha fatto tesoro della sua lungimiranza per porsi oggi in qualità di “AI system integrator”. Una mission nuova ma che ben descrive il compito che vuole assumere il Gruppo E.
«Nel 2023, abbiamo acquistato quote di capitale di una società chiamata Memori, che già prima di ChatGPT aveva puntato sull’AI generativa come strumenti per il trasferimento di conoscenza. Quello che stiamo facendo, come gruppo, è specializzare le nostre persone non solo sulla tecnologia fine a sé stessa ma su un nuovo tipo di organizzazione aziendale come presupposto della rivoluzione degli LLM».
Da un lato la tecnologia, dall’altro le reali necessità dei clienti. Ecco allora che nasce la partnership con WIIT, specialista del cloud e quotato nel segmento STAR con l’obiettivo di realizzare progetti aziendali di AI generativa “privata”, basata su una piattaforma secure cloud che tutela la proprietà intellettuale e l’elaborazione dei dati in territorio europeo, a garanzia della sovranità.
L’AI COME STRATEGIA
Zingoni torna sul “fattore AI”, che non è meramente un tecnicismo – «ma una porta che abilita l’accesso ad altri business». Uno scenario che non va approcciato con la proverbiale fretta ma, ancora una volta, con consapevolezza e conoscenza. «Una volta bisognava conoscere le basi di una tecnologia per diventare esperto di una soluzione. Oggi non è più così: chi conosce davvero le logiche di funzionamento di ChatGPT? L’AI è un treno in corsa su cui si può salire sempre, in qualsiasi punto. Se abbiamo perso GPT-3 non vuol dire non poter passare direttamente al 5. Le barriere di accesso sono molto basse, basta sapere dove quel treno sta andando».
Per Zingoni, anche in Italia, siamo in una fase successiva all’hype sulla GenAI e, per questo, ancora più decisiva. «Abbiamo dato le chiavi della tecnologia, in senso largo, ai reparti tecnici delle aziende. Va bene, se non fosse che nemmeno loro sanno sempre come integrare i software in maniera ottimale. Come Gruppo E, possiamo sopperire al gap di conoscenze strategiche sul tema, supportando gli IT manager». All’orizzonte emergono nuove figure ibride, professionisti che intrecciano competenze informatiche e umanistiche per ridisegnare la nuova relazione tra uomo e macchina.