Come cambiare pelle senza scorticarsi


Il mercato dell’economia digitale sta attraversando una sostanziale trasformazione qualitativa. Cloud e virtualizzazione sul versante IT, TLC e “Over the top” sul versante TLC segnano un cambiamento delle relazioni di mercato senza precedenti. E alla creazione di valore dei player vincenti corrisponde un’analoga distruzione presso quelli più tradizionali

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L’andamento dell’asta per le frequenze LTE in Italia è stato quasi un miracolo. D’accordo, H3G ha messo il minimo sindacale delle fiches sul tavolo, ma la sua presenza come quarto contendente per tre lotti “buoni” è stata determinante per far schizzare la posta dai 2,4 miliardi che costituivano la soglia fissata dal governo ai 4 miliardi portati a casa. Tuttavia, quell’eccedenza di 1,6 miliardi di euro che il settore sperava di vedere almeno in parte tornare a casa, con i tempi che corrono sono apparsi una bella botta. Soprattutto se si considera che ormai è proprio la telefonia mobile il comparto che maggiormente frena, tra manovre regolamentari e concorrenza. Nel terzo trimestre, nel mercato domestico Telecom Italia ha visto calare del 9% i ricavi del mobile, il suo azionista di riferimento Telefonica ha perso l’8%. Anche al netto delle variazioni tariffarie imposte per legge, i costi di terminazione di tutti i principali operatori mobili europei riportano un segno meno.

Nell’IT i segnali sono misti. Gli analisti parlano di incremento della spesa enterprise nel 2012 del 3,4% nel mondo, ma per la vecchia Europa si prevede un calo, pur moderato, dell’1,4%. Segno che la crisi economica non passa indenne, anche se gli effetti negativi potrebbero essere maggiori. Bicchiere mezzo pieno insomma.

Quel che è certo, tuttavia, è che dietro l’involucro dei grandi numeri si sta consumando una sostanziale trasformazione del settore e, di riflesso, anche le aziende utenti sono portate a rivedere le proprie strategie di lungo periodo. Guardate il Cloud computing: le stime di crescita, sempre in doppia cifra, sono più che interessanti, ma quanto significative? Secondo Forrester Research, il mercato sta esplodendo, per passare dai 41 milioni di quest’anno ai 100 milioni del 2015 e a 241 nel 2020. Se prescindiamo però dai private Cloud, che sono la metà del totale oggi e ancora un buon terzo tra dieci anni, l’80–90% dei public Cloud sarà costituito dal SaaS, ovvero dal Software-as-a-Service: 78 miliardi di dollari nel 2015, contro 10 scarsi del Platform-as-a-Service e meno di 6 dell’Infrastructure-as-a-Service. Nuovo nome per vecchi servizi di outsourcing questa volta messi online? 

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IBM, Siemens, Ericsson, Philips: i cambiamenti

Ciò a cui si sta assistendo è una sostanziale trasformazione della distribuzione del valore. Nell’IT lo si è visto inizialmente con IBM, che abbandonati Pc e stampanti si è gettata prima sui servizi (che fanno volume) e sul software (che fa utili). Lo si è rivisto ultimamente con gli annunci e contro-annunci di HP, che alla fine ha dovuto rinunciare ad abbandonare, anche magari nella forma dello spin-off, un settore come quello del Pc che rappresenta da solo i due quinti del fatturato.

Del resto, in un mondo dell’hi-tech che in breve tempo vede una Siemens marginalizzare il settore delle TLC, che aveva contribuito a inventare, (joint-venture in posizione non maggioritaria con Nokia e con Gores Group) una Philips staccare la spina dai televisori (passati al 70% alla cinese Tpv), una Ericsson abbandonare i cellulari (100% a Sony), Nokia allearsi con l’ex avversaria numero uno Microsoft, da cui proviene il nuovo Ceo, nulla resta fermo.

La trasformazione più sostanziale riguarda il settore delle telecomunicazioni che, se lo guardate bene, sta cambiando non solo negli attori, ma anche nelle regole del gioco. Il quesito che domina oggi il mercato è uno: come generare valore per i prossimi anni? Quel che nell’IT sono Cloud e virtualizzazione, nelle TLC saranno Apps e servizi OTT, ovvero i famigerati “Over the top”, quelli che, per usare le parole del presidente di Telecom Italia Franco Bernabè, fanno i soldi con i “pasti gratis” a danno di chi ci mette le infrastrutture?

Dove va il valore

Per sua sfortuna, il settore, più che creare nuovo valore, sembra trasferirlo. I crudi numeri lo dimostrano.

Autunno 2000: il titolo di Deutsche Telekom viaggia attorno ai 40 euro, in discesa dopo i massimi di qualche mese prima. Quello di Apple, che fino a quel momento ha prodotto solo computer, è a 10 dollari. Al cambio odierno: un rapporto di sei a uno a favore dei tedeschi. Un anno dopo, autunno 2001, il titolo di Apple è allo stesso livello, ma quello dell’operatore tedesco si è più che dimezzato, a 18 euro. Autunno 2011 (abbiamo preso deliberatamente valori prima dell’ultima crisi dei mercati): DT quota poco più di 9 euro. Apple è a 370 dollari. Il rapporto è uno a quaranta. Guardando le cose in altro modo, il titolo di Apple ha guadagnato dal 2000 37 volte. Deutsche Telekom ha perso quattro volte, anche se non va trascurato il contemporaneo apprezzamento dell’euro di circa il 50% sul dollaro.

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Abbiamo preso il titolo di DT, come “medium performer” tra i grandi operatori europei. Negli ultimi dieci anni, le perdite sono andate dal -37% di British Telecom al -50% di DT, al -65% di France Telecom, al -85% di Telecom Italia. Solo Vodafone (+6%) e Telefonica (+22%) hanno messo a segno degli incrementi. Nel loro complesso, questi operatori hanno perso in borsa più o meno quanto ha guadagnato la sola Apple, cioè circa 300 miliardi di dollari. Per i produttori di telecomunicazioni, i riflessi sono stati traumatici, ulteriormente accelerati da due elementi: l’ingresso determinante della tecnologia IP, con i suoi nuovi player, e l’elemento dirompente della competizione cinese. Il consolidamento a colpi di fusioni, cessioni e fuoriuscite dal mercato è una diretta conseguenza. Apple non è da sola: a parte giganti ormai consolidati come Google (200 miliardi di dollari), o terre promesse come Facebook (50 forse 100 miliardi?), sono diverse le start-up che valgono più di grandi gruppi industriali.

 

Il caso Apple: la leva della rete

C’è una relazione? Bisognerebbe tornare a Schumpeter e alla sua idea, un secolo fa, di innovazione “disruptive”. Steve Jobs, che ci legge da una nuvoletta, non è stato un inventore, ma sicuramente è stato un innovatore, che vide quel che altri non vedevano. Intentò il PDA, con il Newton, ma fu un flop e meglio di Apple fece Palm. Non inventò il computer facile all’uso (lo fece la Xerox), ma lo adattò alle esigenze reali degli utenti e fu un successo, anche se in un mercato avaro. Oggi Apple è un’azienda con un tremendo successo, con un fatturato di 108 miliardi di dollari. Ma non è più un’azienda di computer. Ha impiegato 30 anni per arrivare a 6 miliardi di dollari di vendite, le sono bastati gli ultimi due anni per aggiungere 60 miliardi. Il decollo è avvenuto non nel 2001, quando introduce l’iPod, ma nel 2003, quando Jobs lanciò iTunes, il servizio online per scaricare i brani musicali. Lo stesso modello è stato la fortuna dell’iPod, perché ha creato un ecosistema che altri non potevano scalfire. Il vero valore stava qui, ma non avrebbe potuto materializzarsi senza che le aziende delle TLC di cui si è parlato sopra mettessero a disposizione le reti adeguate. Quelle stesse reti per cui gli operatori pagano investimenti e licenze, senza che Apple (o Google, o Facebook) paghino nulla. Nel suo insieme, il Cloud porta scenari affascinanti, ma che necessitano di nuovi punti di equilibrio, anche perché l’idea che il trasporto dell’informazione (un tempo una delle maggiori voci di spesa nell’ambito dei servizi IT) non debba costare nulla corrisponde un po’ a quella secondo cui la carta dei giornali debba essere gratuita e il gasolio degli autobus pure.

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Una questione di vita o di morte

Mario Monti, verso il quale molte aspettative sono state rivolte per ridare un cammino di crescita all’Italia, si era fatto conoscere in Europa e nel mondo per la sua guerra come Commissario alla Concorrenza contro il monopolio di Microsoft, che aveva peraltro come avversari aziende Usa (in quel caso Sun Microsystems, ma prima ancora erano state Netwar e Real Networks). Come reagirebbe nei confronti dei nuovi zar della rete, ora che gli interessi europei sono ancor maggiormente in gioco? La domanda ha validità generale, ma se non si vuole che l’Europa sia solo mercato passivo delle “Apps” americane e dell’hardware asiatico una risposta è doppiamente dovuta.