On the Road. Mappare la conoscenza

Il paradigma abilitante della “mobile revolution” è la geospatial IT. Nel 2012, oltre il 10% degli accessi al web in tutto il mondo è avvenuto attraverso smartphone

di Giovanni Maria Casserà 

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Giovanni Maria Casserà amministratore delegato di GESPNell’immaginario collettivo di quelli della mia generazione, la strada era il luogo della libertà e della ribellione. Chi ha letto “On the Road” di Jack Kerouac sa bene a cosa mi riferisco.

Anche per i nativi dell’era digitale la strada è ancora un luogo di grande libertà tanto più che – grazie all’industria delle TLC e dell’ICT – milioni e milioni di utenti in tutto il mondo utilizzano ogni giorno il loro smartphone per cercare informazioni sul web, twittare, stringere amicizie su Facebook o fare transazioni online. È “sulla strada” – infatti – che avviene una parte rilevante del traffico Internet. L’accesso al web via devices mobili è ormai una prassi consolidata per chiunque possieda uno smartphone o un tablet di nuova generazione.

A questo riguardo le statistiche (dati 2012) dicono che sul pianeta Terra è operativo un parco di oltre un miliardo di smartphone e gli analisti prevedono concordemente una crescita esponenziale nei prossimi anni per le tecnologie “mobile”, che verranno sospinte dall’aumento delle vendite di tablet e simili, che a loro volta spingeranno sempre più in alto il mercato delle apps. Cifre da capogiro. Va bene – mi direte – ma questo che c’entra con il GIS, l’IT geospatial e altre diavolerie? C’entra eccome. Il paradigma abilitante del “mobile”, ciò che consente in qualche modo di dare valore a queste tecnologie, è proprio la geospatial IT – insomma – il caro vecchio GIS di una volta.

Rivoluzione mobile 

In quanto utente “mobile” per definizione, tendo a spostarmi nello spazio e sono quindi soggetto a un continuo processo di georeferenziazione a opera del mio telefonino. In altre parole, sono costantemente localizzato, non solo in termini di coordinate GPS, ma anche in termini topologici o – per usare un termine meno tecnico – in termini di prossimità ad altre entità (mobili o fisse) presenti in quella stessa porzione della superficie terrestre. Tanto più è dettagliata e aggiornata la mappa su cui vengo localizzato, tanto maggiori sono le informazioni utili che possono esserne estratte sia da me che la uso (relativamente al contesto che mi sta attorno), sia da altri (ad esempio da chi mi fornisce il servizio). Inoltre, nel mio continuo vagolare nello spazio posso – più o meno consapevolmente – contribuire a rendere sempre più dettagliata e aggiornata la base cartografica su cui vengo localizzato. Si chiama “crowdsourcing” ed è un meccanismo maledettamente efficace se applicato all’aggiornamento cartografico.

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Ora aggiungete a tutto quanto sopra la notizia che nel 2012 oltre il 10% degli accessi al web in tutto il mondo è avvenuto attraverso smartphone, considerate che la app più scaricata dell’anno è stata la versione mobile di Facebook e avrete un quadro un po’ più preciso della situazione. Stiamo parlando di una massa di centinaia e centinaia di milioni di individui (di consumatori) – per lo più concentrati nelle grandi metropoli di tutto il mondo e compresi in una fascia di età media che va dai 20 ai 55 anni – che ogni giorno, mentre si muove per le strade delle nostre città, accede al web, scarica mail, fa del social networking…

Non stiamo parlando “solo” di Google Maps, ma anche di molto altro. Secondo quanto ha dichiarato lo stesso Zuckerberg, gli iscritti che accedono abitualmente a Facebook da smartphone sono quasi 700 milioni e di questi, circa 175 milioni accedono in via esclusiva da dispositivi mobili senza mai essere passati per un pc.

Location based service 

Badate che ormai tutti i social network esistenti offrono funzionalità LBS (location based service) che consentono in qualche modo ai loro utenti di tracciare i propri spostamenti e di avere informazioni sulla posizione degli altri utenti.

Il nuovo meccanismo valoriale dei motori di ricerca web si basa anche e soprattutto sul riferimento geografico. “Where you’re searching from has become almost as important as what you’re searching for.” Sapere da “dove” cerchiamo una informazione è diventato importante almeno quanto sapere “cosa” stiamo cercando – come sostengono a Mountain View – e Zuckerberg, insieme ad altri, sembra aver fatto suo questo motto.

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Come a dire che i miei contatti su Facebook – avendo appreso dal mio telefonino che sono in giro per la città a bighellonare e sapendo dal mio profilo che sono un patito di cucina macrobiotica – si potrebbero prendere la briga di segnalarmi – per esempio – che dietro l’angolo rispetto a dove mi trovo c’è un negozio che proprio oggi sconta il tofu e fa il “tre-per-due” sulle confezioni di segale “bio”. Ora, detta così (a parte che non ho un profilo Facebook e che odio la cucina macrobiotica) la cosa suona vagamente lesiva della privacy, ma resta il fatto che Facebook – come del resto gli altri social network – è diventato ormai un formidabile strumento di marketing e che la stessa Google – tanto per non far nomi – fattura in media 2,5 miliardi di dollari all’anno nel solo settore delle ads per cellulari. C’è di che riflettere per chi – come me – lavora nel settore della geospatial IT. Tanto più che, anche se in maniera molto meno evidente, il trend di cui sopra si riflette naturalmente anche nel mondo del B2B e non solo nel panorama dell’IT di consumo.

Geospatial B2B

Se un utente “consumer” può trarre qualche beneficio dall’utilizzo di apps di geo-riferimento, questo è tanto più vero per un utente “corporate” che con informazioni georiferite può svolgere in maniera più efficiente il proprio lavoro. 

Basti pensare all’ottimizzazione delle squadre di pronto intervento, o alle flotte di mezzi aziendali, o alle reti di agenti che operano sul territorio in tentata vendita, o ancora alle squadre di tecnici addetti alla manutenzione per le utilities

E’ su questo terreno che – archiviati i vecchi linguaggi proprietari di un tempo – le aziende specializzate di settore si dovranno misurare nel prossimo futuro. C’è ancora una enormità di lavoro da fare per gli specialisti del geospatial. Siamo solo all’inizio, altro che “settore di nicchia”. Naturalmente tutto quanto sopra appare banale e scontato fintanto che non ci si sofferma a pensare cosa c’è “dietro” una base cartografica digitale e relativa applicazione geospatial. Perché le cose funzionino e tutto abbia un senso, non basta “solo” disporre di una base cartografica precisa, dettagliata e aggiornata sulla quale poter “appoggiare” gli strati informativi tematici di interesse dell’utente (il che, comunque, è molto meno banale e scontato di quanto possa apparire). Trafficare con cartografie e basi di dati, immagini da satellite, overlay, algoritmi di smoothing, ricodifica di coordinate, cambi di scala, pan e zoom è affare complesso che va al di là della semplice programmazione e richiede skill ed expertises molto elevate e non così semplici da trovare. Senza contare che poi, affinché tutto funzioni bene, sarà necessario sviluppare gli opportuni algoritmi di “dominio” specialistico per consentire all’utente un’esperienza di utilizzo immediata e intuitiva. Se pensate che tutto questo sia facile, provate a chiedere a quelli di Apple cosa ne pensano. Il debutto del nuovo iPhone fu funestato – alcuni mesi fa – proprio dal flop delle mappe targate Apple. La “colpa” – come si è poi dimostrato – non fu solo delle di mappe di TomTom al posto di quelle di Google, ma di aver voluto “ripartire da zero” sviluppando una nuova versione dell’App Mappe, senza però pensare che le circa 300 persone impegnate a Cupertino nel progetto non avrebbero mai potuto valere quanto gli oltre 7.000 tecnici di Mountain View che da anni ormai lavorano stabilmente ogni giorno su Google Maps.

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Il giudizio più benevolo che i mercati diedero in quell’occasione fu che Apple – come tutti i grandi generalisti dell’IT – aveva quantomeno “sottovalutato” le complessità tipiche di un ambito così specialistico.  cassera@gesp.it

 

Giovanni Maria Casserà, amministratore delegato di GESP – Sistemi Informativi Geografici