Passaggio ponte per la Silicon Valley


Si è tenuta a Milano la terza edizione di Mind the Bridge, un concorso per startup ideato da una fondazione di emigrati italiani nell’high-tech statunitense. Che vuole anche essere una scuola di relazione con il mercato

Le piazze fisiche o virtuali aperte alla discussione sulla importabilità del modello americano delle startup non sono certo una novità. Quella inventata da “Mind the Bridge” – la gara per giovani aziende innovative italiane la cui terza edizione si è svolta a Milano all’inizio di novembre – appare se non altro in una veste abbastanza originale perché cerca in parte di rovesciare il discorso. Qui, i concorrenti che si presentano davanti a una giuria di venture capitalist ed esperti (oltre che a una votazione popolare via Web) sono startup italiane che vengono importate negli Stati Uniti. Non è un’importazione vera e propria, quanto piuttosto una full immersion con cui i vincitori della competizione tra idee di business in settori come l’Itc, il life science/green tech e il media-entertainment (che poi oggi vogliono comunque dire informatica, informatica e informatica) vengono premiati con un viaggio nella Silicon Valley. Non si tratta dunque solo di giri di finanziamento, ma soprattutto di opportunità di contatto. Chi torna da esperienze come queste – come mi ha raccontato nel corso dell’evento Marcello Orizi di Prossima Isola, “alunno” vincitore di una passata edizione di Mind the Bridge e protagonista in passato della rubrica Vision – afferma di aver vissuto in quei pochi giorni una esperienza più educativa di un’intera carriera imprenditoriale in patria. L’innovatore italiano ha infatti l’opportunità di sperimentare da vicino gli autentici segreti dell’innovazione americana, che non si esauriscono con la quantità di capitale di rischio in circolazione (che pure è in volumi ragguardevoli) o con la propensione a investirlo, ma riguarda soprattutto tutti i vantaggi intangibili di una situazione in cui lo sviluppatore di una nuova idea ha la possibilità di metterla subito alla prova su un terreno ricettivo, competente, privo dei tradizionali ostacoli e delle gerarchie con i quali la piccola azienda high-tech è costretta a scendere a patti. Patti che sono più penalizzanti della mancanza di fondi.

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Un ecosistema imprenditoriale

L’idea di creare la fondazione “Mind the Bridge” per innescare questo meccanismo di trasferimento di “paesaggio mentale” è venuta a Marco Marinucci, un manager di Google che ebbe l’ispirazione mentre seguiva un progetto di tutoraggio e business plan competition in Africa. Colpito dall’impatto prorompente giocato da quella iniziativa, decise di replicare il modello con la speranza di riscontrare una simile reazione anche in Italia. Lo scopo finale della Fondazione è quello di promuovere un ecosistema imprenditoriale italiano sostenibile e spronare idee sempre più innovative, facendo in modo che gli imprenditori italiani si espongano in modo diretto ai potenziali investitori.

Quest’anno l’inedita gara, giunta alla terza edizione, ha visto scendere in lizza 15 startup nelle tre categorie già citate. Come sempre non conta tanto il fatto di vincere il concorso: come non mai in questo caso l’importante è partecipare. Un po’ perché Mind the Bridge vuole essere più scuola che vetrina, un po’ perché quasi invariabilmente quelle presentate identificano una visione o sono un coraggioso tentativo di rilanciare concetti già affermati con funzionalità e risvolti nuovi, o di integrazione in una unica piattaforma di soluzioni finora coperte solo in parte o in una misura giudicata carente dai concorrenti-imprenditori. È anche il senso più profondo dell’innovazione, che non consiste solo nel produrre cose nuove, ma nell’individuare momenti e spazi di opportunità che prima non esistevano. Un altro “valore” che l’evento cerca di inculcare in chi si arrischia nel complicato terreno della creatività nel business è la capacità di accettare le critiche e farne tesoro.

Internet & Co

Durante la sessione intitolata Internet & Co sono state presentate sei startup tutte molto stimolanti. Per i fondatori che si sono avvicendati sul palco la sfida è duplice perché il regolamento di Mind the Bridge prevede il massimo della americanizzazione: tutto, presentazione e Q&A, deve svolgersi in lingua inglese e nel rigoroso rispetto di limiti temporali draconiani (altra differenza rispetto alla locale tendenza allo sconfinamento nel romanzo lungo). Risparmiosuper è un sito Web che offre al consumatore la possibilità di individuare e comparare i prezzi della spesa nei supermercati della loro città e nei confronti dell’utente professionale si trasforma in un potente tool analitico dell’andamento dei prezzi orientato alla “competitive intelligence”. MopApp è invece un software per il monitoraggio delle vendite delle applicazioni mobili nei principali “app store”, un servizio venduto agli sviluppatori per monitorare l’effettivo rendimento dei loro prodotti software. Intervieweb una piattaforma Web based venduta alle aziende medio-grandi per la gestione delle interviste nella delicata fase del reclutamento del personale.

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Ma che dire del progetto Ralos di eRalos3, che utilizza speciali polimeri per realizzare tessuti che si trasformano in vere e proprie batterie indossabili? O della milanese (ma gli uffici sono anche virtuali) Isn Virtual Worlds, che propone la metafora del mondo virtuale 3d sviluppato “su misura” come ambiente di interazione per attività di socializzazione, videconferenza e collaborazione? Le idee non mancano mai, ma al di là della partecipazione a competizioni come queste, qual è in ultima analisi la ricetta del possibile successo sul mercato?

La startup di nuova generazione

Mind the Bridge regala anche un possibile ritratto genetico/decalogo della startup di nuova generazione, riassumibile nei seguenti punti:

1. L’istruzione conta…

Le startup 2.0 sono fondate da persone con alta formazione, i laureati sono il 95%. Il 67% di loro ha un background scientifico, il 33% una formazione economica/umanistica.

2. …ma studiare non basta

L’istruzione conta ma anche il lavoro e l’esperienza non sono da meno. La startup giusta non è mai la prima che si mette in piedi. Il 28% ha precedenti esperienze imprenditoriali

3. Aprire i propri orizzonti è fondamentale

Lavorare e studiare all’estero significa generare una rete di rapporti, di opportunità, di idee, di esperienze che alimenteranno la attività di impresa.

4. Le one-man band non fanno molta strada

Il successo di una startup dipende dall’impegno di squadra. Solo 7 startup su 100 hanno un solo fondatore.

5. Un ponte “rosa”

Sono ancora poche le donne che si lanciano in iniziative imprenditoriali, abbattendo le barriere culturali ancora oggi presenti. Nell’edizione 2010 di Mind the Bridge, su 15 sono 3 le donne a capo di una startup semifinalista.

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6. Think business

Forte il ruolo degli spin off universitari per potenziare le carenze di mentalità affaristica tra i giovani scienziati e ricercatori italiani.

7. Innovare non può essere una questione di geografia

Basta con i “poli” dell’innovazione, bisogna puntare alla molteplicità dei distretti, rilanciando le aree tradizionalmente poco innovatrici.

8. Le esperienze pregresse contano

Va bene essere giovani e creativi, ma il successo può arrivare anche dopo i 30 anni, grazie all’esperienza (vedere anche al punto 10).

9. I soldi non danno la felicità ma…

Il successo richiede investimenti e di necessità la raccolta di capitali di rischio.

10.Chi fallisce ha una marcia in più

Il fallimento non è un’onta, ma un bagaglio fondamentale di esperienza.