UNO SCIOGLILINGUA PER UN OBIETTIVO CHIARO


A fronte di un allarme cyberwar, in India – invece di organizzare inutili congressi autocelebrativi della propria presunta efficienza – ci si rimbocca le maniche per alzare la prima trincea lavorando su un sistema operativo proprietario

 

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Rakā Anusandhān eva Vikās Sangahan è senza dubbio l’incipit meno comprensibile che mi sia mai toccato di utilizzare.

Chi dice di capirne di informatica, però, dovrebbe sapere di cosa stiamo parlando. Ma tenuto conto che l’espressione hindy può mettere in difficoltà anche i più ferrati, come si conviene in quiz e giochi a premio, ecco l’aiutino.

La traduzione inglese di quella bizzarra apertura della rubrica è Defence Research and Development Organisation, la cui sigla “Drdo” è nota quasi fosse un punto cardinale sulla Rosa dei venti di chi si occupa di sicurezza informatica. Stiamo parlando dell’agenzia indiana che ha la responsabilità dello sviluppo tecnologico per finalità di carattere militare, il cui quartier generale è a Nuova Delhi. È una struttura che ha visto la luce 52 anni fa dalla fusione di due organismi già all’epoca all’avanguardia, il Direttorato dello sviluppo e della produzione tecnica e l’Organizzazione Scientifica della Difesa. Quasi fosse 52 il numero magico, sono altrettanti i laboratori in cui – nei diversi settori – i migliori cervelli elaborano e sperimentano le soluzioni più avveniristiche. 5mila scienziati e 25mila tecnologi sono senza dubbio uno degli schieramenti più massicci sul fronte del futuro. Un simile coacervo riesce a misurarsi ad altissimo livello in materia di aeronautica, armamenti, informatica ed elettronica, biologia, ottimizzazione delle risorse umane e così a seguire in un rosario di eccellenze.

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Al Drdo in questi ultimi mesi è stata affidata una missione di caratura strategica, ovvero la creazione di un sistema operativo proprietario per sfuggire ai sempre crescenti rischi di attacco informatico.

Il governo indiano, infatti, ha ritenuto di prendere seriamente in considerazione l’inquietante scenario delle cyberwar che – senza insanguinare il pianeta – stanno affliggendo i Paesi più evoluti, e ha ritenuto indifferibile il dover concentrare la propria attenzione sullo strato più basso dei processi di automazione di qualunque entità pubblica e privata. Riconoscendo la vulnerabilità dell’insieme delle istruzioni basilari su cui si fonda il funzionamento di qualunque computer, chi ha le redini della situazione politica non ha esitato a dare il via a un impegnativo percorso di protezione delle proprie infrastrutture critiche e – più in generale – dell’intero tessuto connettivo elettronico dell’India.

Le diverse aggressioni telematiche – che in giro per il mondo hanno evidenziato la vulnerabilità dei sistemi tecnologici più avanzati – non hanno risparmiato i punti nevralgici della penisola indiana e nel febbraio scorso è stata costituita una task force attingendo ai più qualificati esperti a disposizione del Primo Ministro e dei dicasteri della Difesa, dell’Interno e delle Telecomunicazioni, per definire obiettivi, tempi e metodi di lavoro.

A indirizzare il progetto – poi affidato al Drdo – è stata la consapevolezza che un sistema operativo di basso livello, ma di impermeabilità garantita, sia da preferire a soluzioni più sofisticate che per il loro aggiornamento impongono l’accesso a Internet.

L’Agenzia statale che adesso è al lavoro non ha esitato a selezionare 50 professionisti pronti a lavorare da Bangalore a New Delhi e predisposti per coordinare i contributi provenienti dalle industrie e dalle università indiane.

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Il dottor Saraswat, direttore generale del Drdo, non ha avuto paura di parlare dei numerosi gap nelle procedure informatiche adoperate nel proprio Paese e ha tracciato un itinerario rigoroso destinato a coinvolgere tutte le realtà produttive e amministrative dell’India e a determinare cambiamenti di abitudini senza dubbio significativi.

Strana gente questi indiani. Per risolvere certi problemi dalle nostre parti basta organizzare due convegni, cinque workshop e una conferenza…