Andrea Bisicchia La sfida del teatro 2.0

Comprensione e complessità. Chi sono i nuovi giganti?

TI PIACE QUESTO ARTICOLO?

Iscriviti alla nostra newsletter per essere sempre aggiornato.

Chi sono – oggi – i giganti della montagna “tutta razionalità e interessi materiali”? Per Giorgio Strehler, nella sua regia del 1966 dell’opera di Pirandello, i “giganti” sono i signori della tecnica. Per Andrea Bisicchia, critico dello spettacolo ed esperto di organizzazione del teatro, che insegna all’Università Cattolica di Milano, i nuovi “giganti” potrebbero essere i signori della finanza, che tengono in scacco le sorti del mondo, utilizzando lo strumento della speculazione e della tecnica. Il mondo dei “giganti” è alle nostre spalle? «I giganti sono sempre davanti a noi». I giganti sono destinati a vincere o perdere? «I giganti siamo noi quando tradiamo la nostra umanità».

Incontro Andrea Bisicchia, al teatro Franco Parenti, durante le prove di uno spettacolo. Andrea Bisicchia è un ricercatore di senso e la conversazione con lui si trasforma in un viaggio nella conoscenza, in cui tutte le discipline concorrono a costruire la visione del mondo e la sua messa in scena, oltre il sipario. Andrea Bisicchia nel suo lavoro si contraddistingue per l’utilizzo di categorie particolari, che mettono in relazione la rappresentazione dei fenomeni con la dimensione della scienza, dell’economia, della religione, della sociologia. Dopo aver indagato il legame tra teatro e scienza, Andrea Bisicchia si è messo sulle tracce di un altro “gigante” con il suo ultimo libro dal titolo “Teatro e Mafia” (Editrice San Raffaele, 2011, pagg. 209). Sul retro di copertina, c’è una frase di Giovanni Falcone: «La mafia non è invincibile: è un fatto umano e come tutti i fatti umani, ha un inizio e avrà una fine». Stando alle cifre del XIII Rapporto Sos Impresa di Confesercenti – però – “Cosa Nostra Spa” è la prima impresa del Paese, con un fatturato, che vale più del 7% del Pil nazionale. Sarebbe bello se la tecnologia ci rendesse meno self-interest. Forse, l’umanità avrebbe bisogno di un upgrade e l’innovazione non dovrebbe essere solo una parola. Ma qual è l’impatto delle nuove tecnologie sul teatro? Forse fra un po’ parleremo di teatro 2.0? La drammaturgia sarà open source?

Leggi anche:  Il mercato globale E&M, trainato dalle componenti advertising e digital, raggiungerà i $2.800 miliardi nel 2027

Da Eschilo a Ronconi, dai dialoghi di Galilei su Massimi Sistemi ai paradossi dell’infinito di Barrow, da Prometeo a Oppenheimer, passando per Kipphardt e Frayn: la scienza e la tecnologia diventano oggetto di analisi drammaturgica, perché «il teatro è il luogo di comprensione della realtà e la sua qualità è di essere sempre contemporaneo. Il teatro vive la sua vera crisi quando nella società mancano i sapienti».

 

Data Manager: Qual è la forza del rapporto tra teatro e scienza?

Andrea Bisicchia: Quando Ronconi porta in scena i paradossi dell’infinito di Barrow, riesce a dire di più sulla scienza di quanto potrebbe spiegare un matematico – allo stesso modo – il teatro che mette in scena le estorsioni o le confessioni di un boss, può dire di più sul fenomeno di qualunque saggio di sociologia.

Qual è il suo rapporto con la tecnologia?

Di reciproca diffidenza. Quando la tecnologia è al servizio dell’arte, spesso, rimane un guscio vuoto. Nel rapporto specifico con il teatro – però – non c’è solo una relazione di funzionalità, ma la tecnica contribuisce a mutare il linguaggio stesso della scena, che è un linguaggio autonomo rispetto a quello del testo scritto.

Nel mito di Prometeo, il monte Caucaso ha nelle sue viscere il fuoco e il ferro, oggi, dalle viscere delle miniere in Nigeria, si estrae il Coltan. Tecnica e umanità sono in contraddizione?

Non bisogna demonizzare la tecnica se non rende l’uomo schiavo. La tecnica nasce prima della scienza. Analizziamo il Prometeo di Eschilo. Prometeo ha rubato il fuoco per portarlo agli uomini e per questo è stato punito sul Monte Caucaso, nelle cui viscere si trovano le miniere di ferro. Il rapporto fuoco-ferro è alla base della tecnologia. E per Eraclito il fuoco sta all’origine di tutte le cose.

Ma come cambiano il linguaggio e le parole nell’era dei social network?

Nella società della tecnica, ciò che conta è il linguaggio. L’informazione ne risente per prima, perché, come la tecnica, anch’essa mira alla credibilità. Filosoficamente parlando, la tecnologia e l’informazione alimentano il potere dell’uomo o per dirla con Nietzsche, accrescono la volontà di potenza. Nell’era dei social network, il potere dell’informazione sostituisce, quello degli intellettuali.

Leggi anche:  Olidata vince gara da 2 mln di euro per il potenziamento del Sistema CIE per la Zecca dello Stato

È un bene o un male?

La libertà di espressione è un valore. I fatti da soli non bastano alla comprensione. Occorre la capacità di approfondimento e di interpretazione. Inoltre, l’accesso alla conoscenza non dovrebbe escludere nessuno. Non vorrei essere frainteso. Nel 1481, il tipografo Hieronimo Squarciafico riteneva che, con l’invenzione della stampa a caratteri mobili, l’abbondanza dei libri avrebbe reso tutti ignoranti. La storia gli ha dato torto. Anche se gli italiani leggono meno della media europea. Oggi, qualcuno applica lo stesso ragionamento a Internet. Non bisogna sottovalutare – però – che lo strumento influenza sempre il pensiero.

La tecnologia ha reso la comunicazione attiva e istantanea. Siamo tutti attori? Tutto è palcoscenico?

Se accettiamo che non apparire equivale a non esistere, allora, parafrasando Goldoni, potremmo dire che tutto il mondo è spettacolo. La spettacolarizzazione è effimera, come la popolarità. Il teatro deve fare i conti con la rivoluzione digitale, i cittadini-spettatori ne sono consapevoli, la sua potenza sta nell’immediatezza, invece, la dimensione umana ha bisogno di tempo e di una riflessione continua.

Quando l’arte diventa performance prevale la forma o la sostanza?

L’arte performativa deve molto all’uso del corpo e della tecnologia. Non utilizza la parola perché aspira al potere dell’immagine. Il tessuto verbale è messo da parte, per dare all’azione la prevalenza del corpo, concepito come motore dell’azione. A mio parere, mancano le idee e molti progetti restano pura forma.

La ribellione è una forma di rinnovamento sociale? I “masnadieri” sono diventati hacker?

Il ribelle è una figura mitica. È diverso dal brigante, dal rivoluzionario, dal mafioso. Prometeo è un ribelle. Ribelle è colui che sta sempre all’opposizione, in attesa di costruire un mondo migliore. Non è un ideologo, i suoi gesti sono primitivi. Per entrare nella storia il ribelle deve trasformare la sua rivolta individuale in un’azione universale, deve battersi contro l’indifferenza, il parassitismo, le autorità ostili, proprio come i “masnadieri” di Shiller. Il ribelle può essere sconfitto perché resta fuori dagli schemi politici. La mafia convive con il potere. Il potere combatte il ribelle, non la mafia. Gli hacker che finiscono per lavorare per le stesse imprese, dopo averne violato la sicurezza – forse – non sono veri ribelli.

Leggi anche:  Officine Maccaferri punta sull'IoT e acquisisce Nesa

Come faremo a vivere in un mondo complesso di milioni di connessioni al secondo?

Facendo un passo indietro. La complessità richiede consapevolezza. L’uomo del primo Novecento viveva la crisi d’identità, come scissione dell’io e come conseguenza del relativismo. Oggi, la complessità delle interconnessioni sta alla base di una nuova crisi d’identità che si alimenta dell’assenza di valori etici. Il nichilismo dominante ha abbattuto tutte le forme dell’etica, da quella filosofica a quella comportamentale. La semplicità, che è l’antidoto alla complessità, non è un atto estetico, ma ermeneutico. Dove trionfa la tecnica, le gerarchie sono solo in apparenza orizzontali. Il mondo che ci aspetta sarà sempre più complesso, ma senza spiritualità l’oltre sarà un luogo in cui trionferà l’egoismo che è sempre fonte di violenza e autoritarismo.

Una recente ricerca della Fondazione Bracco, ha evidenziato che l’arte fa bene alla salute e all’economia. Allora perché è così difficile pensare l’arte, come asset per lo sviluppo?

Perché è più facile vendere la Coca-Cola. Il teatro non è un prodotto qualsiasi. Chi decide – quasi sempre – non comprende la differenza. Il teatro è una fonte di ricchezza, ma per il teatro non possono valere le stesse regole del mercato. Forse, bisognerebbe creare una borsa o una banca del pensiero, dove quotare le idee. La crisi dovrebbe far riflettere. Non ci si ammazza solo per mancanza di soldi o di lavoro. Ci si ammazza perché l’esistenza perde di significato: se la fede è un dono, nella società, manca una spiritualità laica fondata sulla cultura.