Te la do io l’Indonesia

Umberto Rapetto - securitySe ci si guarda attorno, non è difficile capacitarsi del nostro grado di lentezza e di impreparazione al futuro. E non c’è nemmeno bisogno di puntare gli occhi verso i “soliti noti”

 

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Sono facilmente impressionabile. Ognuno ha i suoi difetti, piccoli o grandi che siano.

Ad esempio rimango colpito da frasi ed espressioni che caratterizzano un film o magari uno spettacolo teatrale o televisivo. Non approfitto di queste pagine per cercare l’altrui compassione (non rientra certo nel mio spocchioso carattere), ma per introdurre il tema di questo nostro appuntamento mensile.

Gabriele La Porta, storico dirigente e personaggio di mamma RAI, ha per anni diretto e farcito il palinsesto notturno delle reti della TV pubblica. Nei suoi programmi non mancava mai l’occasione per esercizi di cultura classica e in particolare era abbastanza abituale qualche sforzo (o qualche forzatura) di carattere etimologico. Il buon Gabriele, una sorta di arcangelo alle prese con l’ignoranza collettiva, si cimentava in ardite spiegazioni che dovevano ricondurre la terminologia corrente ad auliche radici di lingue remote. Particolare passione era riservata al greco antico e (con grande gioia di Corrado Guzzanti) molte parole “vivisezionate” da La Porta derivavano da termini che in quella lingua – vai a capire perché – significavano “saggezza” (anche se questo non trovava riscontro a seguito di una elementare consultazione del dizionario Rocci o del più veterano Gemol).

Il vocabolo “saggezza”, tanto caro al buon Gabriele La Porta, ha ceduto il posto al sostantivo che identifica non la pregiata peculiarità, ma il suo depositario.

Ancor prima della composizione dell’attuale Governo, il Presidente Napolitano ha fatto ricorso a una Commissione di dieci “saggi”. In tempi più recenti, il Presidente del Consiglio ha ritenuto di calarne sul tavolo un’altra di ben trentacinque. Inutile dire che, come al poker (e in questo Paese di gioco d’azzardo ne sappiamo qualcosa), il Premier ha vinto senza che nessuno abbia minimamente pensato di rilanciare. L’opposizione grillina, in realtà, ha pensato di avviare un referendum online, ma l’iniziativa è stata dichiarata inammissibile perché tra le “fisse” (come nelle schedine del vecchio Totocalcio) c’erano il saggio ginnico e il saggio di danza…

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E così, mentre dalle nostre parti, l’unica cosa rimasta è la voglia di scherzare nonostante la macabra situazione nazionale, si osserva che in giro per il mondo non c’è bisogno di pareri assembleari e consultazioni di Committee particolari per suffragare decisioni e assumere iniziative.

Non prendiamo in considerazione i soliti americani (di cui – a detta di Bisignani e del suo recente libro – sono amico), ma una realtà straniera caratterizzata da un crescente incremento demografico che la colloca al quarto posto della graduatoria degli Stati più popolosi (circostanza che potrebbe far immaginare un esagerato numero di “saggi”, proporzionale a quello degli abitanti).

Parliamo dell’Indonesia. Si sono resi conto del rischio di un attacco cibernetico e, invece di perdere tempo a partorire un decreto legislativo poco efficace come forse è successo in Italia, hanno varato una nuova forza armata capace di contrastare qualsivoglia potenziale aggressione informatica.

La proposta di legge in discussione evidenzia che – pur senza l’ausilio delle decine di migliaia di saggi a disposizione dei politici di Giacarta – è possibile affrontare un problema e risolverlo con rapidità anche in ragione della gravità della minaccia in questione.

Le insidie digitali fuori dai nostri confini stanno meritando un’invidiabile attenzione e la dimostrazione arriva dall’estremo Oriente.

Invece di far tante chiacchiere e dare priorità al rispetto di quegli equilibri su cui la politica vive, il provvedimento indonesiano ormai al traguardo prevede puntuali competenze e scadenze. Il Ministero delle Comunicazioni e dell’Informazione “ci mette” l’addestramento e gli strumenti tecnologici, mentre a Esercito, Marina ed Aviazione tocca fornire i militari migliori. Detto e quasi fatto. Senza perdere tempo a consultare interlocutori che spesso ne sanno meno di chi formula le domande.

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