Anche il Califfo aveva il suo social

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Altro che Facebook e Twitter, i jihadisti potevano contare su una piattaforma tutta loro per organizzare gli attacchi. Sparita nel giro di qualche giorno

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Saranno anche smanettoni e “social addicted” ma i fautori dello Stato Islamico non sanno farci abbastanza con internet. Avessero saputo usare il deep web, la storia di cui scriviamo oggi non sarebbe mai venuta a galla se non per opera dell’Intelligence occidentale. 5elafabook era stato lanciato il 3 marzo con lo scopo di riunire i seguaci di Isis su una piattaforma simil-Facebook. Da subito però il sito aveva riscontrato dei problemi, magari tecnici o forse causati dalle cyber forze nemiche, insomma l’altra faccia del social non è mai andata veramente online. L’esperimento è comunque un modo per evidenziare come i terroristi considerino strumenti del genere fondamentali per suscitare clamore e seguito e fomentare l’odio verso i paesi da colpire.

Il significato

Il nome stesso del social network non lascia dubbi di interpretazione visto che “5elafa” sta per “khilafah” cioè califfato e book, ovviamente, fa il verso al ben più noto e libertino Facebook. La voglia di riunirsi in un portale nuovo non è solo dettata dal rinnovato senso di unità degli jihadisti ma rappresenta anche una risposta alle continue prese di posizione di Twitter e soci nei confronti degli account che inneggiano alla jihad. Proprio di recente, il CEO del microblog Dick Costolo, minacciato di morte dai terroristi vestiti di nero, ha affermato come Twitter stia lavorando oramai fianco a fianco alle forze dell’ordine per analizzare tutti i messaggi connessi al califfato e capire le connessioni e la provenienza. Del resto il web è virtuale, ma fino ad un certo punto.

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