Ponte San Pietro, dai telai al data center di Aruba. L’AD Cecconi: «Questa è la nostra nuova casa»

Con il Global Cloud Data Center, Aruba lancia la sfida del polo tecnologico più grande d’Italia per lo sviluppo delle imprese innovative

Ponte San Pietro sugli scudi. Ovvero, Milano PSP. Perché la dimensione locale si estende oltre i confini naturali di un territorio alla ricerca di nuovi paradigmi di sviluppo e la dimensione globale cerca radici. Dai telai del cotonificio Legler ai data center di Aruba Spa. Storia di una riconversione – che non è più una ferita aperta – e storia del recupero di una vocazione industriale che trasforma il capoluogo dell’Isola bergamasca in nuova capitale digitale. Una storia che – come ci ha raccontato Stefano Cecconi, amministratore delegato di Aruba – nasce dalla passione per il luogo, il lavoro e le persone.

TI PIACE QUESTO ARTICOLO?

Iscriviti alla nostra newsletter per essere sempre aggiornato.

«È stato amore a prima vista». Lo stesso «amore» che quasi 150 anni prima aveva convinto la seconda generazione di industriali della famiglia Legler a spostarsi dal piccolo cantone glaronese verso sud. Lo stesso «amore» che fu ricompensato dalla ricca dote di risorse idriche, forza motrice e alta densità di manodopera, che si sarebbero presto trasformati in vantaggio competitivo per la nascente industria tessile. Oggi, al silenzio dei telai che fecero la fortuna della Legler, la seconda generazione della famiglia Cecconi, azionista di riferimento di Aruba, ha spiegato le ragioni della scelta di rilevare l’area: «Abbiamo valutato la posizione geografica, le risorse naturali, la cultura del lavoro, il capitale umano che rendono davvero strategico questo sito». Con il terzo data center in Italia, l’azienda vuole ampliare l’offerta e supportare la crescita del business lato cloud: «In questo modo, vogliamo rispondere sia alle esigenze dei nostri clienti enterprise, che ci chiedevano una struttura nel nord Italia in grado di dare spazio al loro sviluppo futuro, sia alla nostra esigenza di crescita in ambito cloud che ha assunto dimensioni molto importanti» – ha detto Stefano Cecconi. «Abbiamo concepito il Global Cloud Data Center con l’obiettivo di non avere limiti di spazio e di risorse. E nel farlo, abbiamo puntato sull’ecosostenibilità del progetto, pensando all’ambiente ma anche ai consumi, elevando gli standard di affidabilità e sicurezza in modo da eccedere i massimi livelli di certificazione in ambito data center».

Global Cloud Data Center, la nuova casa di Aruba

Con lo spostamento della sede legale da Arezzo a Ponte San Pietro (Bg), trenta chilometri da Milano, la nuova casa di Aruba è sulla riva sinistra del fiume Brembo. L’impianto si aggiunge ai due che già si trovano ad Arezzo e all’altro in Repubblica Ceca. Aruba inoltre conta altri quattro punti di erogazione di servizi in Francia, Germania, Inghilterra, Polonia e Ungheria. La parte riqualificata del Campus di Ponte San Pietro corrisponde a 40mila metri quadrati sui complessivi 200mila (di cui 84mila di capannoni). L’obiettivo è di completare la riqualificazione dell’area in un arco di tempo che va dai cinque ai dieci anni. Un obiettivo legato a “filo doppio” alle richieste dei clienti che richiedono sempre più l’outsourcing completo dell’infrastruttura IT per rendere più agile la gestione del business – ci spiega l’AD di Aruba, che non nasconde la soddisfazione anche per i primi risultati ottenuti. Infatti, con la pre-apertura del data center avvenuta a giugno, ad oggi circa il 60 per cento della struttura è stato occupato o prenotato. Intel e VMware sono i partner tecnologici del Global Cloud Data Center. Connettività, capacità di elaborazione, virtualizzazione dei server e infrastruttura cloud. Aruba gestisce oltre 2 milioni di domini, quasi sette milioni e mezzo di caselle email, cinque milioni di PEC attive, oltre 31mila server, un milione e 250mila siti attivi in hosting per un totale di oltre 4,7 milioni di clienti. Nell’offering di Aruba ci sono anche i servizi di cloud pubblico e privato, housing e colocation, servizi dedicati, firma digitale e fatturazione elettronica. «La sede di Ponte San Pietro è quella che meglio di altre rispondeva ai bisogni di espansione dei nostri clienti, peraltro localizzando il data center in un punto strategico del Nord Italia» – ha confermato Stefano Sordi, CMO di Aruba.

Collaborazione, innovazione e sviluppo: la scommessa di Aruba

Alla cerimonia inaugurale con il taglio del nastro hanno partecipato Susanna Santini, presidente di Aruba insieme a Stefano Cecconi, AD di Aruba, Luca Del Gobbo, assessore della Regione Lombardia all’Università, Ricerca ed Open Innovation, Claudia Terzi, assessore regionale all’ambiente, Matteo Rossi, presidente della Provincia di Bergamo, Giorgio Gori, Sindaco di Bergamo e Matteo Macoli, vicesindaco di Ponte San Pietro.
Regione Lombardia con la legge 29/2016 ha messo in campo azioni concrete per costruire una rete di collaborazione tra istituzioni pubbliche, università e imprese, con partico​lare attenzione all’uso concreto e condiviso degli open data. Su accessibilità, open data e big data nella PA – infatti – si gioca una partita importante per restituire in forma di valore a cittadini e imprese un patrimonio di informazioni – come ci ha spiegato Luca Del Gobbo. Regione Lombardia attualmente dispone di un miliardo di dati. La legge valorizza, in modo sussidiario, un patrimonio che genera più di sette miliardi all’anno di investimenti pubblici e privati in Ricerca e Innovazione. Nella sola Lombardia, sono nate 1.369 startup, pari a un quinto del to​tale nazionale, e sono stati registrati, nell’ultimo decen​nio, 191.000 brevetti. «Un patrimonio unico di umanità e conoscenza».

Per Giorgio Gori, siamo davanti all’inizio di qualcosa di nuovo, «una nuova epoca dove i dati sono il petrolio della nuova economica della conoscenza, ma dove per vincere però bisogna puntare sull’innovazione e le competenze». Una sfida formativa e occupazionale, che – si augura il primo cittadino di Bergamo – vedrà protagonisti i giovani talenti degli istituti tecnici e delle università del territorio. Quando arrivarono i Legler a Ponte San Pietro e cominciarono i lavori per la costruzione della diga nel 1876, impresa necessaria per avere forza motrice, il collegamento ferroviario con Milano era già attivo da 14 anni, a dimostrazione che gli investimenti sono guidati dalle infrastrutture e non il contrario. Oggi – invece – mentre Aruba investe nella stessa area, il progetto del raddoppio ferroviario della linea è ancora solo sulla carta. Dal canto suo, il presidente della Provincia di Bergamo, Matteo Rossi ha – però – colto l’occasione per assicurare che «il raddoppio è tra i piani strategici della Provincia per rendere più agile la logistica con lo scalo a Calusco e un progressivo spostamento delle merci dalla gomma al ferro. Dopo anni di crisi, l’investimento di Aruba rappresenta un segnale di discontinuità positiva nella prospettiva della “smart land” per innestare un ecosistema di imprese innovative e startup» – ha concluso Matteo Rossi. «Abbiamo la responsabilità di essere all’altezza della scommessa di Aruba».

Leggi anche:  Come i CIO aiutano le organizzazioni a giocare sia in attacco che in difesa

L’evoluzione digitale cambia il modo di vivere e di fare impresa

«Non ho ancora capito qual è il modello di business nell’era digitale» – ha dichiarato Urbano Cairo, presidente di RCS Media Group, raccontando il suo mestiere di editore durante la tavola rotonda dedicata ai temi della trasformazione digitale. «Ci siamo impegnati ad azzerare le perdite, mantenendo l’occupazione e migliorando l’offerta di contenuti. All’inizio dell’era del web, il peccato originale dell’industria editoriale è stato quello di dare le notizie gratis. La carta ha ancora il suo peso». Non esistono cose facili o difficili, esistono solo cose che si sanno fare o che non si sanno fare. Le emozioni e il tempo sono le cose più preziose della nostra vita. «E su queste dobbiamo costruire la relazione con il cliente» – ha detto Claudio Domenicali, AD di Ducati Motor Holding. «La moto è una esperienza che rimarrà analogica, ma intorno possiamo costruire una nuvola di servizi innovativi. Guida autonoma e intelligenza artificiale sono i temi più caldi della prossima trasformazione industriale».

Cambio di passo e salto culturale

La Commissione Ue con l’indice DESI (Digital Economy and Society Index) misura la velocità della trasformazione digitale nel Vecchio Continente (Regno Unito compreso). L’Italia è 25esima su 28. Meglio di noi, solo di Grecia, Bulgaria e Romania. «In Italia, non riusciamo a comunicare il buono che riusciamo a fare» – ha detto Paolo Ghezzi, direttore Generale InfoCamere. «Abbiamo lanciato il cassetto dell’imprenditore per conto delle Camere di commercio, con cui ogni imprenditore potrà accedere senza oneri alle informazioni e ai documenti ufficiali della propria impresa. Con una base di 6 milioni di imprese in Italia, 4 su 10  però dichiarano che il digitale non serve e non servirà nel futuro. Il bilancio è deludente. Per accelerare lo sviluppo delle PMI occorre un cambio di passo che si continua a scontrare con il fattore dimensionale e culturale». Per Paolo Barberis, co-founder di Nana Bianca e consigliere per l’innovazione del governo Renzi, l’Italia sconta sette anni di purgatorio sugli investimenti. «Il futuro digitale ti viene addosso. La trasformazione digitale in Italia procede, ma non bisogna dimenticare che dietro i processi ci sono le persone. La mancanza di percezione dell’urgenza della trasformazione è a tutti i livelli». E per Stefano Cecconi, le imprese sono un patrimonio da valorizzare. La sfida è gestire in modo “cross” la trasformazione digitale. «Il nostro compito è fornire gli strumenti per lanciare ponti per lo sviluppo e il cambiamento. Il digitale è un processo strutturale come metter giù tubi e costruire mura: richiede tempo. Il punto sostanziale sono gli investimenti e l’aumento di una propensione al rischio e all’innovazione. È vero che abbiamo scontato un problema di connettività a livello di investimenti, ma il Paese finalmente ha cambiato passo».

Leggi anche:  Il Principato di Monaco ha adottato il Sovereign Cloud di VMware

Global Cloud Data Center, la “cassaforte” che custodisce i dati delle imprese

Un data center è come una memoria estesa che offre capacità di archiviazione, protezione da intrusioni e operatività costante. Entrare nel sito del Global Cloud Data Center è come accedere al Fort Knox di via Nazionale. Solo che al posto dell’oro fisico, qui è custodito un altro patrimonio meno tangibile, ma altrettanto prezioso: i dati delle imprese. Man trap, all’ingresso, sei livelli di controlli interni, sistema informativo e continuità operativa a doppio power center multi-modulare con UPS a ridondanza 2N+1 per una sicurezza di livello superiore, e generatori di emergenza con autonomia a pieno carico di 48 ore senza rifornimento.

Seicento chilometri di cavi dove prima si srotolavano chilometri di filati

Il Global Cloud Data Center è una struttura completamente ecologica e dotata delle più moderne tecnologie, come ci ha spiegato Giorgio Girelli, site manager di Aruba. Seicento chilometri di cavi dove prima si srotolavano chilometri di filati. Il data center è stato realizzato per offrire i massimi standard di sicurezza e prestazioni e garantire il massimo livello possibile di efficienza energetica, non solo per ridurre il più possibile l’impatto sull’ambiente, ma anche per assicurare qualità e convenienza dei servizi. Il Global Cloud Data Center utilizza un impianto di raffreddamento geotermico ad alta efficienza ed è alimentato da energia proveniente da fonti rinnovabili – di origine certificata – al quale si aggiungono la centrale elettrica (la stessa che garantiva energia ai telai Legler) e impianti fotovoltaici entrambi di proprietà e situati all’interno del Campus stesso.

Global Cloud Data Center, massima efficienza ecocompatibile

Tutti i sistemi sono stati progettati e costruiti per soddisfare ed eccedere i massimi livelli di resilienza previsti dal livello Rating 4 (former Tier4) di ANSI/TIA 942-A. I tre edifici pronti disposti a ferro di cavallo occupano un quinto della superficie totale. Il primo ospita le sale dati (10 in tutto), con una capacità complessiva di 3.600 rack (con una potenza massima raggiungibile di 4 MG, dei 90 MW previsti per l’intero campus. Due metri di aria sotto il pavimento e tre metri sopra garantiscano il ricambio completo di aria ogni ora. Il secondo edifico ospita gli impianti del sistema di raffreddamento e i magazzini a disposizione dei clienti. Nel terzo, si trova il power center che è il motore di tutto e che sorge dove si trovava il vecchio magazzino automatizzato della Legler. Il sistema geotermico si basa sui sei pozzi del vecchio impianto Legler, da cui arriva l’acqua per il raffreddamento una temperatura di 8-10 gradi e che dopo l’utilizzo viene rimessa in falda.

Affidabilità e performance

Il Global Cloud Data Center è stato progettato e realizzato con lo scopo preciso di superare gli standard di mercato in termini di affidabilità e performance ed essere in grado di coprire ogni esigenza anche in termini d’espansione futura, data la vastità dell’area: dal singolo server dedicato a soluzioni infrastrutturali complesse sia fisiche sia cloud, passando per la progettazione di cage, sale dati ed interi data center dedicati, soluzioni  di disaster recovery e business continuity, fino ad arrivare al completo outsourcing dell’infrastruttura, oltre a tutte le facility disponibili a completamento dell’offerta, come ad esempio connettività multicarrier, routing, fornitura hardware o ancora, spazi polifunzionali destinati a soddisfare le più svariate necessità logistiche, potendo disporre ad esempio, di uffici temporanei, magazzini, sale e postazioni ad uso dei clienti. L’offerta di servizi è rivolta alle grandi aziende italiane e straniere, Pubblica Amministrazione, operatori IT e PMI, Enti locali, system integrator e Telco. Il Global Cloud Data Center è collegato con i principali carrier nazionali e internazionali e dispone di un’infrastruttura dark fiber proprietaria che prevede un doppio percorso verso il Caldera Business Park di Milano, con capacità di trasporto pressoché illimitata.

In mezzo scorre il fiume

Aruba che nel 2015 si è aggiudicata l’estensione del dominio “.cloud”, riuscendo a spuntarla contro colossi come Amazon e Google, oggi è una realtà da 140 milioni di euro di fatturato. L’investimento nell’area ex-Legler è «molto rilevante» per usare le stesse parole dell’amministratore delegato, che però ha preferito non sbilanciarsi sulle cifre per non avvantaggiare la concorrenza molto agguerrita, dichiarando che «si tratta di un investimento privato fatto con risorse reperite direttamente in azienda». Fondata nel 1994 a Firenze come Technorail, l’azienda ha inaugurato la sua prima webfarm ad Arezzo nel 2003, iniziando la sua fase di crescita e di espansione, prima con la trasformazione in società per azioni e poi attraverso una serie di accurate acquisizioni. C’è qualcosa che accomuna la storia della famiglia Cecconi, azionista di riferimento di Aruba, a quella della famiglia Legler. C’è qualcosa che rende simili il cantone di Glarona, il Casentino e la Val Brembana. E non è solo il paesaggio o la presenza del fiume (rispettivamente la Linth, l’Arno e il Brembo) che da sempre è motore di sviluppo, ma che da sempre unisce e divide. L’impronta di famiglia è nei valori, nel coraggio di credere in un’idea di sviluppo futuro (che non erano rotaie e impianti per i treni, come pensava il papà Giorgio, ma i servizi Internet, come credeva Stefano) e di scommetterci sopra. Mentre la cultura d’impresa è da pubblic company, ispirata a una visione autenticamente industriale dello sviluppo.

Leggi anche:  Nove aziende europee su dieci ritengono fondamentali le competenze FinOps nella corsa all'innovazione cloud

Una storia di tenacia e di trasformazione

All’inizio di entrambe le storie c’è anche un incendio: quello del 29 aprile 2011 che causò l’interruzione del servizio web per milioni di siti e quello del 1890 che mandò in cenere (per cause mai chiarite) l’intero reparto di filatura. In entrambi i casi, la lezione che la tenacia vince sullo sconforto, che la buona volontà vince sulle incognite. La storia del Cotonificio Legler – simbolo della seconda rivoluzione industriale con i suoi telai tecnologici, la trasformazione della forza idrica in forza elettrica, delle trasmissioni innovative per portare la forza motrice dalla riva destra alla riva sinistra – si innesta in un continuum di spazio e di tempo con il nuovo insediamento di Aruba, simbolo della quarta rivoluzione industriale con il suo data center che macina dati e trasferisce agilità alle infrastrutture IT delle imprese di ogni settore. Perché non dobbiamo dimenticare che per quanto intangibili siano i dati, un data center è doppiamente energivoro: consuma energia per far funzionare gli impianti e consuma energia per dissipare il calore che genera. Fa riflettere come nel mondo connesso, dove tutto è votato alla digitalizzazione, le fondamenta dell’economia dei dati restino estremamente concrete e tangibili: dall’alimentazione energetica delle centrali idroelettriche al raffreddamento naturale.

Global Cloud Data Center per mettere in moto nuove competenze

Come la famiglia Legler ha influito sulla storia di questo piccolo paese, con una popolazione di quasi 12mila abitanti, plasmandone la memoria e  l’identità, trasformando una radura (la spianata della “Galbusera” sulla sponda sinistra del Brembo) in uno dei complessi industriali più innovativi del Novecento, così l’arrivo di Aruba a Ponte San Pietro con l’insediamento del Global Cloud Data Center rappresenta una sfida tecnologica e di business per la rinascita di un intero territorio, per rimettere in moto lo sviluppo, puntando sull’innovazione, la ricerca e la formazione di nuove competenze. L’impronta della Legler è in ogni cosa a Ponte San Pietro. Nel vecchio spaccio aziendale che oggi è il centro commerciale. Nelle famiglie, dove almeno un componente lavorava nel cotonificio. Nell’asilo per i dipendenti interno alla fabbrica. Nella vita del paese che regolava i suoi ritmi e le sue attività sul fischio della sirena del cambio turno (“coren” in dialetto bergamasco). Nel quartiere “Giurati” che si sviluppa davanti al nuovo Global Cloud Data Center e che nel nome reca ancora il ricordo del giuramento di fedeltà che i dipendenti prestavano alla Legler. E persino nella Chiesa, non solo per l’estetica rigorosa d’oltralpe, ma anche perché per la sua costruzione gli operai decisero di devolvere un quarto d’ora della loro paga giornaliera. Oggi, che Ponte San Pietro torna sugli scudi, diventando un’estensione di Milano con il nuovo toponimo “Milano PSP”, la sfida per la famiglia Cecconi è quella di farsi carico insieme ai vecchi impianti anche di un’eredità simbolica fatta di eccellenza, di uomini e donne di buona volontà, forgiati dalla cultura del lavoro, per costruire insieme una nuova pagina di storia.