Suse, l’open source per le infrastrutture software defined

Nell’era del cloud ibrido, la trasformazione digitale non può prescindere dalle soluzioni di estrazione open source

Nelle strategie IT delle aziende, alle prese con la trasformazione digitale, è sempre più l’era del cloud, soprattutto quello ibrido. Ma oggi anche le infrastrutture definite dal software, ovvero software defined infrastructure, SDI, conquistano sempre più terreno. Non solo: anche tecnologie come i container o modalità di sviluppo come DevOps stanno prendendo sempre più piede nelle aziende. A fotografare il mercato ci ha pensato Suse, la società attiva da più di un quarto di secolo nel mondo delle soluzioni di tipo open source per l’ambito enterprise, che ha commissionato uno studio, realizzato da Insight Avenue intervistando oltre 1.400 responsabili IT appartenenti a diversi settori in 20 Paesi del mondo, tra i quali l’Italia. Gianni Sambiasi, Country Manager Italy di Suse, ha commentato con Data Manager gli elementi più significativi dell’indagine. «Su tutto, spicca l’affermazione crescente del paradigma “software defined”, che rende le infrastrutture più agili e in grado di far adottare le nuove tecnologie e o le nuove metodologie con maggiore rapidità», sottolinea Sambiasi, spiegando che «con le infrastrutture tradizionali adottare container o DevOps non è così immediato, mentre con una SDI si può agire con scioltezza».

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Cloud in primo piano

Non stupisce quindi notare che il 95 per cento degli intervistati, quasi un plebiscito, ritenga che l’infrastruttura software defined rappresenti il futuro del data center, proprio in ragione dei vantaggi tecnologici e di business tipici delle SDI, come la velocizzazione del delivery delle risorse IT per il 65 per cento degli interpellati, la semplificazione della gestione del data center per il 63 per cento, e la possibilità di adottare approcci IT moderni come DevOps e cloud ibridi per il 51 per cento. E, a proposito di cloud, si nota come numerose aziende stiano adottando una strategia cloud-first se non addirittura cloud-only: l’indagine prevede che la crescita prosegua per tutte le tipologie di cloud, in particolare per i cloud ibridi, per il 66 per cento degli intervistati, e per i cloud privati, citati dal 55 per cento, mentre l’espansione dei cloud pubblici è indicata dal 36 per cento del campione. Oltre il 60 per cento degli interpellati ha citato la riduzione dei costi quale ragione dell’adozione del cloud, mentre tra gli altri motivi segnalati vi sono il consolidamento dei data center al 58 per cento e il miglioramento dell’innovazione e dell’agilità di business complessive al 57 per cento. È anche interessante vedere che i modelli privati e ibridi vengono preferiti per i workload business-critical, con l’89 per cento degli intervistati che spiega di voler passare dallo sviluppo condotto in cloud pubblici alla produzione in cloud privati.

Italia in linea

Per quanto riguarda il nostro Paese, l’indagine compiuta per Suse ha rivelato tendenze in linea con i risultati globali. In particolare, il 74 per cento delle aziende italiane prevede di accrescere l’utilizzo dei cloud ibridi entro i prossimi due anni, mentre il 46 per cento si aspetta di incrementare l’uso dei cloud privati. Nello stesso periodo l’uso di cloud pubblici è previsto in aumento da parte del 32 per cento degli intervistati. Nel caso di workload mission critical, le aziende italiane preferiscono il cloud ibrido, al 46 per cento, seguito dal cloud privato al 37 per cento, mentre il 16 per cento opterebbe invece per il cloud pubblico. Non solo: l’86 per cento dichiara che vorrebbe idealmente passare dallo sviluppo nel cloud pubblico alla produzione nel cloud privato. E se il 40 per cento ha migrato workload da cloud pubblici a cloud privati negli ultimi dodici mesi, un altro 52 per cento intende farlo entro i prossimi due anni. Le principali motivazioni di questa migrazione in Italia sono o sarebbero legate a problemi di sicurezza, per il 56 per cento, e sovranità dei dati per il 51 per cento.

A tutto open source

Infine, anche in Italia la percentuale di chi ritiene che le infrastrutture software defined rappresentino il futuro del data center è la stessa vista a livello globale: un plebiscitario 95 per cento. Il motivo è lo stesso visto poco fa: una infrastruttura definita dal software, composta come noto da risorse di computing virtualizzate e da software e networking di tipo software defined, presenta tutti i vantaggi di agilità e rapidità che sono essenziali per la trasformazione digitale. Ma le SDI «non potrebbero esistere senza open source, le cui tipiche caratteristiche di innovazione, flessibilità e adattabilità sono essenziali per la realizzazione degli ambienti di tipo software defined», conclude Gianni Sambiasi.