Al convegno IDC sul Future of Work un confronto sulle tecnologie e l’AI, che stanno dando forma a una diversa cultura del lavoro di squadra e a un diverso modo di misurare la produttività

Dal “cosa” al “come”. Roberta Bigliani, Vp Head of Energy, Government and Health Insights di IDC Europe, ha aperto a Milano i lavori dell’edizione 2019 della Future of Work Conference di IDC, iniziativa che vede la capo-analista ricoprire anche il ruolo di Executive Lead. «Nell’organizzare l’agenda di questo evento abbiamo cercato, a cominciare dal titolo, di fornire esempi che possano avere valore già oggi, non solo in uno scenario futuro» ha esordito la Bigliani. «La tecnologia ha sempre cambiato il mondo del lavoro, ciò che distingue questo periodo storico sono fattori come la velocità, la mobilità e la pervasività di dispositivi e applicazioni che operano la trasformazione in atto».

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Mobilità e personalizzazione sono legate a loro volta all’oggetto che secondo IDC oggi riassume e concentra un arco evolutivo che, a partire dall’invenzione della micro-informatica, abbraccia ormai 40 anni di storia di “office automation”. «Secondo le ultime stime, al mondo ci sono un miliardo e mezzo di smartphone a fronte di 150 milioni di tablet, 160 milioni di notebook e solo 100 milioni di computer desktop» ha detto la Bigliani, affermando la necessità di affrontare con un diverso framework di valutazione l’intera problematica dello smartwork. «La tecnologia si muove lungo tre assi: cultura, spazio e forza lavoro, per ridefinire le regole del passaggio di conoscenza e della collaborazione».

La dimensione della cultura abbraccia i temi del cambiamento organizzativo, delle forme di gestione, delle metriche di valutazione e soprattutto della cosiddetta esperienza del lavoratore digitale. Ma la trasformazione riguarda anche quelli che sono gli spazi adibiti al lavoro, con un salto radicale dal vecchio concetto di “workplace” ben definito – l’ufficio, la scrivania – a un “workspace” dove aspetti fisici e virtuali si combinano dando vita a un continuum costellato di una miriade di opportunità di creazione e collaborazione intorno ai contenuti del lavoro.

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«Infine un terzo elemento, quello della forza lavoro, anch’esso in piena evoluzione grazie alle tecnologie dell’intelligenza artificiale e del machine learning. Non parlo soltanto degli strumenti hardware e software che servono per “aumentare” l’azione dell’essere umano, ma la contemporanea, sempre più diffusa presenza di macchine che dobbiamo veramente considerare come nostri colleghi digitali» ha osservato la Bigliani prima di passare a una breVe sintesi dei risultati dei survey IDC sul livello di maturità delle iniziative messe in atto per il lavoro digitale e le specifiche aree di attività in cui sono maggiormente impegnate aziende e organizzazioni.

Come al solito, un confronto sullo stato di avanzamento rispetto al resto dell’Europa occidentale vede le imprese italiane ancora in una fase di studio e sperimentazione. Il rapporto tra chi non considera o comincia solo oggi ad applicare una strategia orientata al “futuro del lavoro” e cosiddetti “determinati digitali” che possono invece vantare di applicare i principi dello smartworking in modo integrato o addiritttura pienamente integrato (percentuali del 28% e 11% rispettivamente) è di 60 a 40. Una percentuale del 35% di aziende consultate risponde di avere appena avviato una strategia compiuta.

Al primo posto, nella tipologia di progetti avviati, ci sono (51% dei rispondenti) attività di reskilling e di smart working, oltre a iniziative di messa in sicurezza (44%). Ancora piuttosto basse le voci talent management ed employee experience che secondo la Bigliani rappresentano il futuro. Le previsioni di IDC in quest’ambito citano per esempio la graduale adozione di metriche di Key behavioral indicators, il successo dei marketplace come canale di offerta e ricerca di competenze, specialmente digitali e il moltiplicarsi di formule di co-creation, co-working e crowdsourcing per aziende caratterizzate da “workspace” sembre più aperti e ibridi.

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