Furto d’identità: più di un quarto degli italiani non lo conosce

Uno studio Cermes e Affinion International conta le vittime dell’uso fraudolento dei dati altrui, ma evidenzia anche quanto poco ne sappiamo

 

Quando si parla di furto d’identità, ossia dell’uso fraudolento dei dati altrui, che siano il numero di carta di credito o quello del codice fiscale, gli italiani non paiono avere le idee chiare. Da un lato, il 27% non sa neanche di cosa si tratti e, tra chi ritiene di saperlo, oltre un terzo confessa di averne solo un’idea approssimativa. Dall’altro, emerge una grande variabilità nella percezione del rischio furto d’identità: gli italiani sembrano dividersi tra quanti tendono a sovrastimare la frequenza con cui tali furti avvengono e quanti, al contrario, escludono del tutto il problema. Ne è esempio il fatto che quasi il 50% della popolazione consideri addirittura impossibile che qualcuno usi i dati altrui per aprire una linea di debito oppure che intesti ad altri una scheda telefonica.

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Tutte evidenze che emergono da uno studio che ha scandagliato la frequenza dei furti di identità e le percezioni e i comportamenti degli italiani su questo tema, condotto dal Centro di ricerca Cermes Bocconi in collaborazione con Affinion International (Affinion Group), multinazionale che fornisce alle aziende servizi e programmi di monitoraggio, reporting e supporto per la protezione e la tutela dei dati personali.   Lo studio, condotto su un campione rappresentativo di 800 persone tra i 30 e i 60 anni, si è focalizzato su cinque categorie di furto d’identità: credito commerciale o finanziario con dati altrui, uso fraudolento del numero di carta di credito o bancomat, intestazione sim a nome di un’altra persona, profilo su social network con dati altrui, furto di dati personali dall’archivio informatico di un’azienda.

“È stata una ricerca esplorativa su un tema rispetto al quale ci sono ancora pochi numeri e scarsa informazione, come ci confermano i risultati”, spiega Alessandro Arbore, responsabile della ricerca e direttore dell’Executive master in marketing and sales della SDA Bocconi. “In media, ad esempio, le persone ipotizzano che i rischi maggiori si corrano online. Confrontando queste percezioni con dati più oggettivi, emerge invece l’esatto contrario”.  

L’apertura di una linea di debito con dati altrui, che il 50% degli intervistati non ritiene neppure possibile, è capitato in realtà al 3,6% del campione. Numeri relativamente piccoli, ma che mostrano che un problema esiste. Allo stesso tempo, tra chi pensa invece che possa capitare, la percezione del rischio è ampiamente sovrastimata: in media il campione pensa che sia già capitato a 18 persone su 100. C’è insomma uno scollamento tra realtà e percezioni, tanto per eccesso quanto per difetto. Uno scollamento, anche se minore, emerge anche dall’analisi dei dati sull’uso fraudolento di carte di credito o bancomat. In questo caso, solo il 16% è inconsapevole del rischio, mentre chi ne è consapevole pensa che capiti al 20% degli italiani. In realtà la casistica è di 103 truffati su 800, ossia quasi il 13%. Che diventa il 19% circa, se si considera la percentuale di famiglie che possiedono almeno un bancomat, dato piuttosto in linea, peraltro, con quelli dell’Abi sulle carte bloccate annualmente. Le vittime di questo tipo di frode sono soprattutto al Nord e al Centro. Su come abbiano ottenuto il numero della carta i truffatori, oltre i due terzi delle vittime non sa rispondere. Tuttavia, il 40% di chi lo sa punta il dito contro gli esercizi pubblici, mentre solo il 3% indica come causa l’aver fornito dati in rete. Evidenza, quest’ultima, che mostra tra l’altro come il furto d! ei dati di carte e bancomat, il più diffuso tra quelli presi in considerazione dalla ricerca, sembrerebbe avvenire più offline che online.  

“Oggi si crede che la protezione dell’identità e dei dati personali sia una tematica esclusivamente digitale e legata alle nuove tecnologie o ai social network”, ha evidenziato Giovanna Casale, Country Head, Affinion International in Italia. “I dati ci dicono che invece il rischio è ben più alto offline ma in Italia manca la cultura di tutelarsi da simili frodi, molto più sviluppata all’estero dove la sicurezza per i consumatori è un tema sempre più centrale”.  

L’intestazione di una carta telefonica (sim) con dati altrui è un altro dei casi in cui, a fronte di una casistica molto bassa benché presente (circa il 2%), la generale sovrastima del rischio, per cui secondo gli intervistati quasi il 10% degli italiani ha subito questo raggiro, nasconde comunque quasi un 50% di persone che escludono categoricamente che possa esistere una truffa del genere. Sul versante dell’apertura di un profilo su un social network sfruttando l’identità altrui, quarta tipologia considerata, la consapevolezza del rischio è alta: il 90% sa che potrebbe accadere. E ritiene che sia già capitato a quasi il 30% della popolazione. In realtà l’incidenza di questo problema è del 5% sugli utilizzatori di social network e, a livello territoriale, risulta più diffusa al Sud (oltre il 10%) che nel Centro o al Nord. Infine, 1,3% i casi di furto d’identità da banche dati delle aziende riportati dal campione, anche qui con molti intervistati che sottovalutano o che sopravvalutano il rischio.   Dall’incrocio dei dati, inoltre, emergono altri elementi: la percezione del rischio è sostanzialmente uguale tra uomo e donna e tende a calare con l’aumentare del livello di istruzione, mentre il profilo demografico delle vittime del campione mostra che la probabilità di subire truffe è più alta al Nord e che la fascia di età più colpita è quella meno giovane. Per alcuni furti d’identità poi, la probabilità aumenta all’aumentare del reddito.

Tratto da Utools, strumenti per universitari

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