L’Internet delle Cose e la sfida delle città intelligenti

Convergenza tecnologica e nuovo dialogo tra persone e oggetti. L’impatto dell’Internet of Things sulla progettazione e l’erogazione di servizi che toccano i cittadini e le aziende pubbliche e private. Scopriamo qual è il punto di vista dei provider tecnologici e il futuro dell’ICT made in Italy

 

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Il tema delle smart city è una formidabile leva di adozione su larga scala di tecnologie finalizzate al miglioramento della produttività, della sicurezza e della qualità della vita. In questo scenario si intrecciano due mondi sempre più interconnessi tra loro: quello popolato dagli abitanti di un territorio e quello dei sistemi che legano le persone alle cose: edifici, veicoli, segnali stradali, sistemi per la distribuzione dell’energia.

Un intrecciarsi di infrastrutture, mezzi di trasporto, strade di collegamento tra gli agglomerati urbani e i suoi elementi abitativi e di servizio, spazi lavorativi e pubblici, sistemi di segnalazione e informazione, telecamere, sensori. Un tempo, queste infrastrutture erano specializzate e separate, ma il vento della convergenza investe tutto e crea inattese possibilità di instillare un contenuto informativo negli oggetti fisici e di interfacciarli con le infrastrutture dei dati, immergendo le smart cities e i suoi abitanti in un universo interconnesso. È il futuro della Internet of Things (IoT), tappa finale dell’informatica pervasiva, un concetto sempre più concreto e visibile. Oggi, è ancora impossibile valutare, soprattutto in termini economici, l’impatto che le infinite applicazioni basate su questa mega-infrastruttura divergente finirà per avere sulle nostre attività professionali e sulla vita di milioni di individui. Ma la sfida che abbiamo davanti ci obbliga a interrogarci sulle basi da gettare e sulle condizioni da creare per sfruttare al massimo questa opportunità.

Qual è il punto di vista del provider tecnologico rispetto alla problematica della Internet delle Cose? E si tratta di una definizione sensata, di un traguardo raggiungibile oppure di un sogno ancora troppo indistinto? E quali sono gli ingredienti tecnologici fondamentali e come possiamo favorire lo sviluppo e l’adozione su larga scala agendo anche sul piano normativo? Abbiamo girato le domande ai principali attori del settore che sul concetto di città intelligente e di “smart world” svolgono un ruolo di abilitatori tecnologici e culturali.

Focalizzandosi sugli ambiti applicativi più “consolidati”, basati su rete cellulare – secondo il rapporto 2012 dell’Osservatorio Internet of Things del Politecnico di Milano – sono saliti a 5 milioni gli oggetti connessi in Italia, con una crescita del 25% sull’anno precedente, per un valore di mercato di poco superiore agli 800 milioni di euro. Tra le applicazioni più diffuse: smart car, smart metering e smart asset management nelle utility.

E’ importante sostenere e non vanificare la spinta alla concretizzazione dell’Internet delle cose. Il riferimento è all’Agenda Digitale Italiana: in tema di mobilità, sanità, cultura e turismo, smart grid, efficienza energetica, l’Internet of Things può fare la differenza. In questa stessa direzione vanno anche i bandi di finanziamento dell’UE e del MIUR, che spingono con forza sul tema smart city, così come Expo 2015, che offre a Milano – ma all’Italia più in generale – una occasione senza eguali per sperimentare soluzioni innovative, da replicare poi sul resto del Paese.

 

Trasformazione digitale

Per Emilio Barlocco, presidente e AD di IFM Group (www.ifmgroup.it), una realtà italiana con una lunga esperienza nello sviluppo di soluzioni di computer telephony e call center, l’Internet delle cose è una delle tante facce del processo di trasformazione digitale che progressivamente pervade ogni aspetto della nostra realtà, “dematerializzandola” e reintermediandola. «Le “cose” – sottolinea Barlocco – cominciano a parlare tra loro e comunicare il loro stato, l’obiettivo finale deve essere il conseguimento di una maggior consapevolezza del mondo che ci circonda». Questo percorso tecnologico parte dalla disponibilità di oggetti capaci di connettersi in rete, identificandosi, comunicando le loro proprietà e le loro azioni, o “metodi”. Ma è richiesta anche la disponibilità diffusa di reti, possibilmente senza fili, a banda larga; e la presenza di orchestratori in grado di permettere la descrizione delle applicazioni, reperire gli oggetti necessari e disponibili, ovunque si trovino, e correlare le interazioni. «La prospettiva riguarda quindi non solo la capacità di interazione macchina con macchina, ma la capacità di gestire i processi inferenziali che conseguono dalla conoscenza dello stato delle cose».

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Alberto Degradi, infrastructure leader di Cisco Italia (www.cisco.com), fornisce alcuni dati che ci aiutano a comprendere gli aspetti quantitativi del fenomeno. Nel 2012, il 26% del traffico Internet è stato generato da dispositivi diversi dai pc, ma entro il 2017, questo traffico crescerà al 49%. Come generatore di traffico Internet, il personal computer almeno dal punto di vista dei tassi di crescita resterà dunque al palo, con crescite di poco superiori al 10% rispetto a dispositivi come televisori (+24%), tablet (+104%), smartphone (+79%) e moduli M2M (machine-to-machine) (+82%). Globalmente, le connessioni dirette tra macchine e oggetti cresceranno di tre volte, passando dai due miliardi nel 2012 a sei miliardi nel 2017.

Nel corso dello stesso periodo, il volume di traffico M2M crescerà di 20 volte arrivando a generare nel 2017 quasi 4 exabyte (il 3% del traffico IP globale). Un traffico fatto da sistemi di videosorveglianza, contatori intelligenti, attività di tracciamento, animali domestici/bestiame con chip Gps, schermi sanitari digitali e tanti altri servizi M2M di prossima generazione.

«L’Internet delle cose – spiega Degradi – genererà la necessità di avere reti ubique in grado da un lato di raccogliere le informazioni che arrivano dalla sensoristica e dall’altro di gestire con immediatezza questo tipo di informazioni, anche in termini di quantità. All’IoT si lega, infatti, il fenomeno dei big data, e dei parametri di velocità, variabilità, volume e valore delle informazioni che lo accompagnano, incarnando la necessità di computing distribuito, adeguato al modo di trattare le informazioni dell’IoT, dove le informazioni viaggiano distribuite e non risiedono più nella stessa soluzione». Una straordinaria opportunità di crescita sul mercato per le soluzioni della famiglia Cisco Unified Computing System – che integrano elaborazione, networking, gestione e virtualizzazione.

 

Dialogo tra persone e oggetti

Maurizio Venturi, Smarter Cities IT architect di IBM Italia (www.ibm.it) introduce il tema dei grandi centri urbani, che saranno sicuramente tra i primi ad approfittare delle trasformazioni e dei vantaggi di questo dialogo tra persone e oggetti. «Nelle smarter cities, le città più intelligenti, grazie all’utilizzo sempre più pervasivo di sensori che funzionano da soli, sempre attivi, disponibili e interconnessi in tempo reale, si sta creando un contesto globale per l’acquisizione di dati dettagliati relativi a molteplici fenomeni in osservazione».

I sensori raccolgono, e si scambiano tra loro, dati sul traffico e sulla mobilità, sul funzionamento delle auto e dei mezzi pubblici, sulle perdita d’acqua e sui consumi di energia elettrica, sui percorsi dei mezzi e la tipologia di raccolta differenziata, sugli accessi negli edifici pubblici oppure nei musei e sulla presenza di cittadini e turisti.

Il fenomeno della convergenza si sta affermando sempre più e l’Internet of Things inizia ad avere applicazioni tangibili non solo nella cornice domestica, ma anche in quella urbana. Paolo Valcher, direttore del mercato sanità di Microsoft Italia e responsabile di Microsoft CityNext (www.microsoft.com/it), osserva come in termini di smart city «la strada è ancora lunga» ed esistono «pochi casi in cui l’intrecciarsi di infrastrutture e dati abiliti una vera condivisione di contenuti, funzionale alla creazione di servizi intelligenti». E questo perché spesso il punto di partenza è sbagliato: «La tecnologia deve infatti rappresentare un presupposto e uno strumento abilitante, ma l’obiettivo deve essere il cittadino e il miglioramento della sua qualità della vita all’interno della città».

Microsoft intende proprio andare oltre l’aspetto tecnologico verso una visione olistica delle smart city che ruoti intorno alle persone. Il tema quindi non è tanto la tecnologia di per sé, ma i servizi che essa consente di offrire, “addomesticando” l’enorme quantità di informazioni generate da strumenti e sensori per venire incontro a esigenze reali dei cittadini. «Certo – aggiunge Valcher – è fondamentale che le infrastrutture siano interconnesse, perché se le sorgenti informative vivono in silos separati non è possibile generare valore con la condivisione dei dati. Ma se mancano ancora esperienze significative di smart city non è per la mancanza di reti e infrastrutture, piuttosto per l’assenza di una visione condivisa». Microsoft si impegna proprio per promuovere questa visione in cui la dimensione tecnologica e quella umana coesistano. «Perché è impossibile parlare di città intelligenti senza presupporre una cittadinanza intelligente».

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Applicazioni, Dati e connettività

Torniamo a dare la parola a rappresentanti del mondo della consulenza e dello sviluppo come Claudio Bronzini, direttore marketing di Elsynet (www.elsynet.it). «La nuova frontiera del mondo Internet è senza dubbio tutto quanto viene ascritto e contenuto nella sigla IoT». Dopo alcuni anni di sperimentazione e curiosità, ultimamente stanno diventando disponibili alcune soluzioni tangibili, altre ancora embrionali, che danno sostanza e consistenza a tale concetto. Si parte dalle soluzioni semplici di videosorveglianza alle sperimentazioni basate su tecnologia Rfid per quanto riguarda la supply chain e la logistica evoluta. «La diffusione su larga scala di questo fenomeno – avverte Bronzini – passa forzatamente da sviluppi tecnologici quali la miniaturizzazione delle apparecchiature elettroniche, la loro sostenibilità economica ed energetica, per quanto riguarda il settore circuitale elettronico. In modo del tutto analogo, anche il mondo delle applicazioni software dovrà integrarsi maggiormente, interagendo meglio sulla mole dei dati che ancor oggi sono spesso disponili ma non adeguatamente sfruttati».

Nell’Internet delle Cose, i servizi evoluti di rete sono un must imprescindibile ed Elsynet si colloca positivamente in questo contesto, sfruttando la propria competenza sulle tecnologie trasmissive, siano esse radio o terrestri applicate a situazioni come la connettività ultimo miglio su portanti Wi-Fi, fibra e cavo tradizionale, connessioni radio per clientela enterprise e virtualizzazione dei servizi di operatore. «In particolare – spiega Bronzini – ci stiamo specializzando nella “banda ultra-larga”, ovvero un sistema di connessione che permette velocità comprese tra i 30 e 1000 Gbps, su cui verranno resi fruibili i servizi più innovativi tipici dell’Internet delle Cose, con particolare riferimento alla veloce gestione del big data».

Raffaele Giaffreda, smart IoT research area head di Create-Net (www.create-net.org) mette in evidenza come certi traguardi prefissati dagli architetti della Internet delle Cose – come il monitoraggio a distanza e senza la necessità di un’attenzione costante – sono oramai a portata di mano proprio grazie all’evoluzione dei sistemi elettronici miniaturizzati e delle reti senza fili, veri e propri tasselli di un mosaico finora leggibile più in contesti di applicazioni individuali come la domotica, la teleassistenza sanitaria, la gestione traffico, la sicurezza, che su larga scala. «La ricerca che stiamo portando avanti nell’area Smart IoT di Create-Net – spiega Giaffreda – vuole rendere questa collezione di tasselli più omogenea e “usabile”, soprattutto nelle future smart cities. Per raggiungere tali obiettivi, proponiamo tecniche di virtualizzazione e arricchimento semantico che creano immagini di oggetti reali ben più facilmente gestibili e riutilizzabili in più domini applicativi. Alla virtualizzazione di oggetti aggiungiamo anche modelli basati su tecnologie di machine learning che aiutano a estrarre conoscenza utile ad assistere o rimpiazzare l’intervento umano ove e quando desiderabile». A questo scopo, Create-Net sta coordinando un progetto di collaborazione europea chiamato “iCore – empowering IoT through cognitive technologies” (www.iot-icore.eu), una iniziativa del valore di 13 milioni di euro che coinvolge oltre venti partner tra Unione Europe, Giappone, Cina e Corea.

 

Azioni e regole

Sul piano delle regole, della standardizzazione e delle azioni istituzionali, Barlocco di Ifm Group sottolinea come la comprensione del fenomeno, la sua applicabilità e le normative necessarie sono oggi trattate in ambito europeo da diverse organizzazioni tra cui IOT-I (Internet of Things Initiative) che coordina lo sviluppo dei modelli, delle architetture e delle normative che possano favorire un’adozione della tecnologia IoT. Ma anche Microsoft, propone varie iniziative e la collaborazione con le istituzioni, che secondo Valcher vanno guidate e stimolate per far leva, in questo contesto, su una sana partnership tra pubblico e privato. «Con Microsoft CityNext – ricorda Valcher – intendiamo proprio collaborare con il nostro ecosistema di partner per promuovere la diffusione delle smart city sul territorio italiano. Dopo solo un mese, sono già a bordo più di venti partner che hanno deciso di investire con noi in questa avventura per lo sviluppo del Paese. Attraverso le nuove tecnologie – cloud, mobile, social enterprise e big data – vogliamo supportare le amministrazioni locali per rispondere in modo efficace alle esigenze dei cittadini e alle sfide imposte dalle crescenti dinamiche di urbanizzazione e dall’attuale fase di austerity». L’Internet delle Cose è utile per avere corrette informazioni e dati dinamici, ma l’obiettivo – conclude Valcher – deve rimanere quello di sostenere «l’evoluzione del tessuto urbano», offrendo dispositivi e soluzioni che si traducano «in un concreto miglioramento della qualità della vita delle persone e delle loro relazioni con la pubblica amministrazione».

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Fattori critici

La strada che ci separa dalla Internet of Things è costellata di ostacoli di natura tecnica e culturale. I mondi dell’elettronica, della meccanica, dei materiali, della chimica non possono dialogare in modo efficiente senza interfacce standard e i programmatori dovranno definire nuove classi semantiche per indirizzare gli oggetti e le loro funzioni. Il volume di potenza computazionale dispiegato sarà imponente e i risvolti sul piano della sicurezza e dell’autenticazione profondi. Quali sono gli ostacoli più critici e come si possono affrontare in modo condiviso?

Alberto Degradi di Cisco Italia risponde che ci si deve preparare a uno scenario in cui il crescente numero di persone, cose e dispositivi connessi genereranno una mole sempre maggiore di dati che verranno necessariamente immessi nelle reti aziendali e in quelle dei service provider, facendo emergere nuove vulnerabilità e la necessità di approcci alla sicurezza più sofisticati. «Queste nuove connessioni – spiega Degradi – generano un flusso di dati in movimento che deve essere protetto in tempo reale in modo che possa essere fatta una valutazione approfondita delle azioni intraprese sulla rete e prima che si verifichino danni irreparabili. La sicurezza sarà un aspetto fondamentale per il quale ci aspettiamo forti investimenti proprio perché più la rete diventa pervasiva, e diventa parte dei processi delle aziende, più deve essere resa sicura. Proprio per la pervasività della rete e per la struttura distribuita dell’IoT, sarà importante non più semplicemente proteggere la rete nei suoi confini, ma realizzare una sicurezza il più possibile embedded, ovvero realizzata insieme alla rete, non limitata ai punti di accesso, ma intrinseca alla rete e in ogni suo punto. Per i professionisti della sicurezza di rete, il focus si sposta dall’endpoint e dalla periferia alla rete. Lo stesso trend del fenomeno IoT potrebbe essere rallentato o ostacolato se le funzionalità di sicurezza non venissero integrate all’uso di policy e processi mirati a proteggere i dati riservati dei clienti e delle aziende».

 

Dare senso alle informazioni

Da Ibm Italia con Maurizio Venturi, arriva un messaggio molto ottimistico. Dispositivi come i telefoni cellulari, ormai diventati smart, sono in grado di scattare fotografie, misurare, localizzare con coordinate Gps e inviare segnalazioni. E tutto questo sia in maniera autonoma sia collegandosi ad altri sensori con cui comunicano senza che l’utente se ne renda conto, previe le opportune configurazioni e autorizzazioni. L’obiettivo attuale è di integrare e trasformare in maniera efficiente i numeri e i dati in informazioni efficaci grazie all’utilizzo di complessi sistemi software analitici.

«L’esperienza IBM negli analytics è fondamentale per aiutare le città a dare un senso alle informazioni» – dice Venturi. «Gli usi di queste informazioni sono quasi illimitati. Essi possono essere utilizzati per modellare e prevedere come i cambiamenti di un sistema interesseranno altri sistemi, diminuendo i rischi del cambiamento e accelerando il ritorno sugli investimenti. Possono essere utilizzati per sviluppare nuovi modelli di business in partnership con aziende private e pubbliche, possono essere utili per indirizzare nuovi progetti a vantaggio della collettività».

 

ICT made in Italy?

Emilio Barlocco di Ifm Group – però – non può nascondere la sua preoccupazione nei confronti della passività finora dimostrata dal mondo high-tech italiano. «Sarebbe opportuno che venisse superata l’assenza imbarazzante di aziende e organizzazioni nazionali nei contesti in cui si discute e si decidono prospettive, tecniche e regole che governeranno il futuro di questa incombente tecnologia». IoT e M2M2P (Machine to Machine to People) sono due materie che richiedono sforzi di comprensione e investimento per individuare nicchie o aree di competenza in cui poter svolgere un ruolo. «Senza una chiara identificazione del contesto normativo e tecnologico – teme Barlocco – saremo costretti a subire il fenomeno e quindi ritagliarci un ruolo esclusivamente gregario». Ancora una volta il made in Italy è chiamato a dare il suo contributo di conoscenza e capacità industriale, proprio su un terreno, “leggero” ma rigoroso, dove la nostra creatività ha sempre saputo esprimersi al meglio.