Il signor Furbillo… spricht deutsch

La facile ironia ha subito fatto pensare che i tedeschi con i gas non trovino mai applicazioni adeguate, ma l’episodio dei “taroccamenti” è traumatico indizio che il profitto ha diritto di calpestare correttezza e sicurezza

Stanotte ho sognato un napoletano che piangeva disperato. Ripeteva: «Uànema, che figurella…». e scuoteva la testa. Il suo inconsolabile sconforto era più che comprensibile. Il suo ritornello, «che penserà adesso la gente…», palesava la legittima costernazione dell’impatto che la notizia poteva aver avuto sulla collettività.

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La costernazione del misterioso quisque de populo prendeva spunto dalla vicenda di una nota casa automobilistica tedesca, notizia balzata con prepotenza sulle prime pagine dei mezzi di informazione di tutto il mondo. «Che brutta storia, che brutta storia…» – diceva e poi si lasciava scappare la radice della sua incontenibile angoscia: «Il mito della scaltrezza partenopea sbriciolato senza pietà da una manciata di crucchi…».

O’ uaglione non si preoccupava delle sorti del colosso aziendale di vetture a motore, ma del violato stereotipo dell’inghippo “made in Naples” che lo stesso Totò aveva celebrato ripetutamente con i suoi mille personaggi cinematografici. «Un’offesa a una città, uno stupro delle tradizioni…». e la cantilena continuava quasi fosse una colonna sonora. Dopo i produttori cinesi che per depistare le possibili indagini etichettavano i loro falsi con “prodotto a Napoli”, ci mancavano soltanto impettiti ingegneri teutonici a guastare una nomea conquistata con secoli di simpatici trucchi e di abilità furfantesche…

Mentre a Forcella un’altra voce della mia esperienza onirica implorava il sindaco – anche lui affranto per l’affronto – di concedere almeno un giornata di lutto cittadino, mi sono svegliato. Subito sono corso alla tastiera del mio pc, impressionato dall’incubo notturno e dalla consapevolezza di essere in ritardo con la consegna della mia ormai storica rubrica sulle pagine di Data Manager. Ero felice perché il sogno era stato ispiratore. Perché l’avvenimento meritava di fare da perno al mio scritto.

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Si parla sempre di banditi informatici pronti a insidiare le imprese, incombenti sulla serenità di manager e lavoratori, aleggianti sui già delicati rapporti tra clienti e fornitori, e adesso si deve prendere atto che l’hacker non è più un nemico ma un prezioso collaboratore, indispensabile per il perseguimento di obiettivi altrimenti irraggiungibili. Ironia della sorte, qualche giorno prima della spaventosa rivelazione dell’imbroglio “a gasolio”, la stessa realtà produttiva aveva diramato un comunicato stampa con cui annunciava l’avvio per il gennaio prossimo di una iniziativa contro la pirateria tecnologica in partnership con il gruppo assicurativo Allianz, la farmaceutica Bayer e l’industria chimica Basf. Si dava a intendere che gli hacker non sarebbero più stati un problema. Chi ha buona memoria non fatica a ricordare che nei dintorni del non lontano ferragosto girava la voce (eufemismo per dire che la stampa specializzata aveva dedicato ampi spazi) che lo stesso leader dell’automotive aveva tenuto nascosta una pericolosa vulnerabilità dei sistemi elettronici antifurto installati sui propri veicoli. Per oltre due anni, una falla nella protezione di quei dispositivi aveva semplificato la vita di chi voleva sgraffignare la macchina o semplicemente portar via quel che era contenuto nell’abitacolo o nel bagagliaio. Solo la diffusione della pecca a opera di un “pentito” del crimine hi-tech ha indotto a una faticosa ammissione.

La nostra bizzarra chiacchierata porta a domandarci dove fossero i segugi della security, della compliance e dell’audit. Qualcuno vorrebbe addirittura sapere di chi fosse stata l’idea di alterare scientificamente gli esiti dei test di ecocompatibilità. I quesiti sbocciano con estrema spontaneità: tutti avrebbero piacere di conoscere chi ha approvato, chi ha plaudito, chi ha premiato e chi è stato premiato, chi ha fatto carriera, ma anche chi si è opposto e quale sia stata la sua sorte. Purtroppo, nelle ricette aziendali manca sempre più spesso l’ingrediente cardine. L’etica. E proprio il rispetto dei principi basilari è la base di qualunque sicurezza.

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