Industry 4.0, sei regole per i CIO

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Dalle fabbriche a vapore ai sistemi di controllo industriale computerizzati, passando per la linea di assemblaggio della produzione di massa. Dopo le prime tre rivoluzioni industriali, viaggiamo dritti verso la quarta ondata, figlia dell’Industrial Internet of Things, che presenta rischi e opportunità. Ma le imprese italiane sono pronte per la rivoluzione che cambierà il mondo?

Il settore manifatturiero è definitivamente tornato alla ribalta grazie alle nuove tecnologie che promettono un completo rinnovamento dei processi produttivi. Come ci spiega Lorenzo Veronesi, research manager per IDC manufacturing Insights EMEA, grazie a questa trasformazione, le fabbriche, da «scatole nere» quali erano – commodities che potevano essere delocalizzate a seconda del variare del costo del lavoro nelle diverse regioni – diventano ora il fulcro dei processi innovativi aziendali. «In particolare, la ridefinizione del tradizionale rapporto lavoro/capitale, che rende il costo del lavoro una variabile sempre meno rilevante, ha fatto sì che questo trend venisse ampiamente favorito dai paesi occidentali, desiderosi di riappropriarsi di una componente essenziale della struttura economica: il processo produttivo». Anche l’osservatore più distratto – suggerisce Lorenzo Veronesi – avrà notato il proliferare di iniziative, dalla piattaforma Industrie 4.0 in Germania all’Industrial Internet Consortium negli USA, sul tema della “smart factory”, senza dimenticare il recente focus portato dal WEF alla conferenza di Davos.

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Ma quali sono i benefici attesi? «Per le aziende manifatturiere – ci spiega Veronesi – un aumento esponenziale della flessibilità operativa, della velocità dei cicli e della produttività, fino ad arrivare alla messa in opera di processi totalmente auto-organizzati. Per le aziende di macchinari industriali, addirittura, si parla di una completa ridefinizione del modello di business, che si avvale della possibilità di trasformare i loro prodotti in piattaforme per l’erogazione di una serie articolata di servizi smart.

Questi risultati rivoluzionari non dipendono necessariamente dall’adozione di tecnologie complesse, ma sono raggiungibili attraverso un’interconnessione graduale di tecnologie già ampiamente consolidate in altri ambiti, che trovano finalmente la loro ragion d’essere anche nel settore manifatturiero. «Quella che IDC definisce Terza Piattaforma (cloud, big data analytics, mobility e social collaboration) diventa la piattaforma d’elezione per distribuire e analizzare l’informazione generata dai processi produttivi. Investire in macchinari connessi (IoT o meglio, interconnection of devices) diventa quindi un’iniziativa finalmente sostenibile. Una volta catturato un dato, può venir messo a valore trasformandolo in informazione per una serie svariata di attori». E infatti, IDC prevede che entro il 2017 ben il 50% delle aziende sfrutteranno queste sinergie per facilitare nuovi e più integrati modi di lavorare nelle fabbriche. A questo si aggiunge tutta una serie di tecnologie abilitanti, che magari adesso vengono considerate ancora in modo opportunistico, ma che in futuro diventeranno sempre più centrali nel processo produttivo: 3D printing, robot “intelligenti” che operano a stretto contatto con l’uomo e che sono in grado di imparare, machine-to-machine analytics, ethernet industriale. I dati IDC mostrano come la maggior parte delle aziende in Europa si dichiari pronta a lanciarsi in queste iniziative, anche se molto poche sono quelle che lo stanno facendo con piena intenzione. «La principale barriera – continua Veronesi – deriva dall’enormità del cambiamento organizzativo che questa trasformazione comporta. A causa della convergenza nelle fabbriche tra IT, OT (operational technology) e tecnologia consumer (smartphone e tablet), le aziende dovranno risolvere il “trade-off” riguardo chi nell’organizzazione sia addetto a gestire questa trasformazione. È incoraggiante notare come, molte aziende stiano considerando nuove dimensioni organizzative, promuovendo per esempio il nuovo ruolo di chief digital officer, sulla scorta di quello che è avvenuto in altri settori, come quello delle utility. Quasi il 20% delle aziende sta già cominciando questa trasformazione che smantellerà i silos organizzativi, cambierà il portafoglio IT, e faciliterà l’introduzione di nuove competenze nelle operations di fabbrica».

SEI REGOLE PER IL CAMBIAMENTO

L’Industrial IoT si candida a diventare un ricco bacino di applicazioni (per connettere e raccogliere informazioni da macchinari e impianti, sistemi di controllo avanzamento produzione, dispositivi a presidio della sicurezza di maestranze e impianti) che, in simbiosi con le tecnologie di data analytics, innalzeranno la produttività e la flessibilità dei processi aziendali di prossima generazione.  Ma le imprese italiane sono pronte per la quarta rivoluzione industriale? Grazie all’esperienza sul campo di Luca Rota Caremoli (CIO – head of organization and IT, Industrie Saleri Italo) e di Enrico Pana (group logistic manager, DAB Pumps), abbiamo definito le sei regole chiave di questa trasformazione.

Regola numero uno

Prima di tutto, bisogna tracciare a tavolino (up-front) una strategia di industria 4.0. Per farlo, occorre valutare la propria maturità digitale. Questo consente di identificare obiettivi ben precisi per colmare il divario e dare la priorità alle misure che dovranno portare il massimo valore al business. Assicurarsi che tali misure siano ben allineate con la strategia complessiva ottenendo il commitment da parte del top management aziendale al completo.

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Regola numero due

Iniziare con progetti pilota per stabilire la fattibilità e dimostrare il valore business. Non tutti i progetti avranno successo, ma tutti saranno utili per capire qual è la strada giusta da seguire. Con i primi successi, potete anche ottenere il buy-in dall’organizzazione e garantire un finanziamento per un lancio più grande. Per i primi progetti è consigliabile definire un ambito di applicazione iniziale relativamente stretto, ma può essere utile incorporarvi già il concetto end-to-end di industria 4.0.

Regola numero tre

Definire le funzionalità per raggiungere e sviluppare un progetto e per la costruzione o l’acquisizione delle capabilities necessarie. Includere abilitatori tecnologici che possano spingere in avanti i processi di business.

Regola numero quattro

Diventare degli esperti di data analytics. Il successo dipende anche dalla comprovata abilità nello sbloccare le opportunità ricavabili dai dati, utilizzando le correlazioni nascoste in modi creativi ed efficaci. Per questo occorre stabilire funzionalità analitiche interfunzionali, strettamente legate alle priorità strategiche dell’intera impresa, con un mix di competenze interno e competenze in outsourcing. Imparare a ottenere “value out of data” attraverso la progettazione di sistemi intelligenti, utilizzando real-time analytics per adattare sartorialmente i prodotti ai clienti e migliorare continuamente i processi.

Regola numero cinque

Trasformarsi in un’impresa digitale per promuovere la cultura digitale a infondere il bisogno di pensare e agire come addetti tecnologicamente nativi, disposti a sperimentare, imparando nuovi modi di operare e adattando di conseguenza i processi quotidiani. È importante ricordare che il cambiamento non si ferma una volta implementate le nuove forme di produzione automatizzata e interconnessa. L’azienda – proprio dopo la partenza di industria 4.0 – avrà bisogno di reinventare continuamente le sue capacità a tassi più veloci che in passato per rimanere a regime.

Regola numero sei

Adottare una prospettiva di ecosistema. Può risultare difficile condividere la conoscenza con altre aziende, e si può preferire l’acquisizione alla collaborazione. Ma è necessario colmare i limiti e i confini tradizionali della propria società per beneficiare dalla partecipazione a piattaforme che non si possono controllare completamente. Le migliori performace si ottengono quando si riesce attivamente a capire il comportamento del consumatore e si può orchestrare un ruolo distintivo per la propria azienda all’interno di un complesso ecosistema di partner, fornitori e clienti.

PERCEZIONE, EVOLUZIONE E OSTACOLI

Per comprendere più da vicino quale sia la portata della quarta rivoluzione industriale, che secondo i dati del World Economic Forum porterà anche alla perdita di 5 milioni di posti di lavoro nel mondo, siamo entrati in contatto con due realtà di primo piano del manufacturing. La prima è Industrie Saleri Italo (SIL) società storica, specializzata nella progettazione, sviluppo e produzione di pompe acqua e sistemi di raffreddamento per l’industria automotive. Fondata nel 1942, con un fatturato di gruppo che supera i 160 milioni di euro, riconoscimenti a livello internazionale e la collaborazione con le più prestigiose case automobilistiche, Salieri impiega più di 400 dipendenti (di cui il 15% impiegato in R&D), ha due sedi estere in Cina e Germania e una produzione annua che supera i 5 milioni di unità. La seconda realtà che abbiamo contattato è DAB Pumps che da oltre 40 anni è protagonista nel settore delle tecnologie per la movimentazione e la gestione dell’acqua. DAB infatti propone soluzioni tecnologiche per ottimizzare i consumi energetici in applicazioni domestiche e residenziali, civili, commerciali e nei sistemi di irrigazione per l’agricoltura. In entrambe le realtà, l’approccio all’innovazione è molto tecno-pratico, orientato alla risoluzione dei problemi e senza concessioni particolari all’astrazione teorica. Nel confronto diretto con i CIO, abbiamo cercato di capire qual è l’impatto dell’Industry 4.0 in termini di progetti e applicazioni, e soprattutto quali i principali ostacoli che impediscono alla “fabbrica” l’adozione di soluzioni Industry 4.0.

PARTIAMO DAI DATI

«Nella nostra azienda – ci racconta Luca Rota Caremoli, CIO a capo dell’organizzazione e dell’IT nelle Industrie Saleri – forti di ben oltre 100 robot, non c’era la sensibilità nel valorizzare i dati che questi robot potevano darci per migliorare. Ora invece, grazie anche alla diffusione di massa della parola IoT e alle pressioni dei clienti, quei dati che erano sottovalutati stanno iniziando a diventare “prioritari” più dei pezzi che produciamo. Perché dico migliorare? Perché quei dati, che fino a poco tempo fa servivano solo come meri conta pezzi, quindi a monitorare e basta, oggi insieme agli altri dati che un robot in classe IoT può darci, ci permettono di capire non solo quello che facciamo, ma anche di essere più efficienti e di migliorare le performance. Si tratta di prefissarsi degli obiettivi di miglioramento e tramite quei dati si fa il “fine tuning” continuo della produzione e dell’uso delle macchine per raggiungere quell’obiettivo. L’IoT è come la proteina che supporta la traduzione dell’informazione genetica contenuta nel DNA e permette a un organismo di crescere e di evolversi».

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Anche per Enrico Pana, group logistic manager di DAB Pumps, l’IoT è una questione di evoluzione. Dopo circa due anni di studio e di test, sono riusciti a rilasciare per alcuni prodotti un sistema che hanno chiamato Dconnect e che ha permesso alla “fabbrica” di migliorare l’orientamento della catena di fornitura e dei clienti per aumentare la connettività, secondo una logica di catena integrata e in maniera indipendente dalla tipologia di sistema ERP. Il sistema prevede anche l’utilizzo di postazioni mobili per selezionare e comparare i prodotti e la funzione real-time di monitoraggio sulla parte distributiva per conoscere in ogni momento lo stato di avanzamento di una consegna. La tecnologia Dconnect abilita anche l’area connettività per controllare gli impianti da remoto. Studiata per rendere più efficace e pratico il lavoro di installatori e manutentori, Dconnect permette di verificare lo stato di funzionamento dei sistemi senza necessariamente recarsi dai clienti attraverso notifiche immediate su smartphone in caso di malfunzionamenti, aggiornamento software dei prodotti, assistenza preventiva e informazioni per ottimizzare l’impianto. Il passaggio a Dconnect, come ci racconta Enrico Piana, ha permesso l’implementazione massiva di connettività EDI da e verso i clienti e l’integrazione di tutta la catena logistica di distribuzione, con una visione nuova della supply chain e favorendo anche un approccio più agile nella gestione dei progetti non solo di natura IT.

EVOLUZIONE POTENZIALE

Quali sono le potenzialità? «Al momento – risponde Rota Caremoli – è ancora prematuro parlare di “progresso percepito o constatato”. Aumenta la domanda interna di analisi dei dati e questo significa che c’è più consapevolezza. L’IoT ha avvicinato la macchina all’utilizzatore o al gestore. Per me, l’IoT è qualche cosa che abbiamo nel nostro DNA. Da sempre, raccogliamo LOG, dati dei nostri sistemi e li analizziamo per migliorare, controllare e far evolvere il sistema. Anche sulle macchine, lo si è sempre fatto, ma in modalità analogica e in ritardo rispetto alle esigenze di business. L’IoT sta portando a galla queste informazioni, mettendole alla portata di tutti. Un grafico vale più di mille analisi e lo sa leggere chiunque. Già questo è valutabile, secondo me, come progresso».

INFRASTRUTTURA, CULTURA E ROI

Tra le resistenze e gli ostacoli all’adozione di un modello evoluto di fabbrica automatizzata e interconnessa, Enrico Pana di DAB Pumps mette in evidenza soprattutto la complessità interna e talvolta qualche “incomprensione” tra le varie divisioni, oltre ai modelli tradizionali di vendita con troppi “fuori standard”, la maturità di alcune aree di mercato e l’analisi dei dati ancora di tipo tradizionale e non predittiva.

Se parliamo di fabbriche tradizionali con impianti di vecchia concezione, l’infrastruttura tecnologica sia come sistema degli impianti sia come struttura stessa delle macchine è per definizione “non IoT”. «La si può portare in modalità IoT – spiega Rota Caremoli di Industrie Saleri – ma mai come una infrastruttura che nasce già con quei concetti nel DNA stesso dei robot. Andare a misurare, per esempio, la velocità di rotazione di un braccio robotico, l’energia consumata nel fare un’operazione, non sempre è possibile se il robot o la macchina non ha questi sensori integrati nel sistema. Quindi è dura chiedere a un imprenditore di cambiare una macchina per portargli sopra l’IoT, perché solitamente queste macchine hanno una vita media di decenni se non di più. Contestualmente, però, non si deve fare l’errore di inserire nuovi macchinari “non IoT Enabled”. Anche qui si apre un mondo».
Non solo. Che dati vado a leggere? Torniamo all’inizio del ragionamento di Rota Caremoli. Se so cosa voglio ottenere, so cosa devo monitorare. «In questa prospettiva, i produttori di robot o macchinari stanno inserendo una quantità di sensori tali da poter avere un sistema “nervoso” aziendale evoluto».

Dal punto di vista culturale, il monitoraggio fa parte del lavoro di CIO. Ma lo è anche per i direttori di produzione e di stabilimento? Per i CEO? Per Rota Caremoli, bisogna andare oltre al rapporto pezzi fatti, pezzi fattibili, scarti, cioè oltre alla mera produttività dell’Industry 1.0. «E bisogna sommare tutte le componenti che governano una macchina e metterle insieme per valorizzare il pezzo o il prodotto fatto in tutte le sue componenti. Per determinare questo parametro, non credo che esista una formula univoca come quella della misura dell’efficienza totale di un impianto (OEE). Ogni azienda fa da sé. Ma qui c’è da fare un salto in avanti» – continua Rota Caremoli. «L’IoT che è il fulcro dell’Industry 4.0, è da vedersi come lo smartphone per i cellulari. La telefonata è una componente dello smartphone, ma con quell’apparecchio simile ai modelli precedenti solo nella forma, oggi svolgo gran parte del mio lavoro. La mia esperienza mi ha portato a toccare con mano le grandi trasformazioni che l’azienda ha vissuto nel corso dei decenni. Nove volte su dieci, si trattava di spinte esterne esercitate da clienti, fornitori o da esigenze normative. Le grandi aziende, l’innovazione la comperano, mentre le PMI la implementano e la fanno, cioè gli costa un po’ di più, ma la portano avanti più velocemente». In termini di ritorno dell’investimento, la valutazione di Rota Caremoli è negativa nel breve periodo, ma molto positiva in una prospettiva di medio e lungo termine. «Gli imprenditori delle PMI – che con un occhio guardano al valore da tramandare ai posteri, e con l’altro al valore della fattura pagata ieri dal cliente – forse non saranno disponibili ad accettare questi investimenti. Ma come in natura, solo quelli che sono in grado di evolversi per tempo e adattarsi al cambiamento riusciranno a sopravvivere».

LA RIVOLUZIONE DEL SISTEMA

Dai contributi ricevuti abbiamo ricavato conferme della portata rivoluzionaria dell’Industria 4.0 e di quanto possa essere la nuova via per ridurre i costi nel processo di produzione. Una doppia rivoluzione se si pensa anche al suo impatto economico: l’industria 4.0 rappresenta un acceleratore di globalizzazione. La quarta rivoluzione industriale federa aziende e paesi, attraverso supply chain internazionali e reti planetarie di sensori, permettendo una rinascita delle aziende e dei distretti anche a livello locale. Ci sono ancora molte questioni irrisolte. Per esempio, i governi adegueranno le strutture fiscali per tenere conto di un mondo fatto non solo di beni fisici ma anche di beni intangibili? Un impianto di fabbricazione digitale sarà considerato un luogo di produzione su larga scala? Questo tipo di produzione creerà posti di lavoro? O faremo la fine dei cavalli come nel secolo scorso? Man mano che aumenta il valore della proprietà intellettuale del software e dei servizi, quali saranno le nuove sfide di cybersecurity che dovremo affrontare? Il tracciamento dei prodotti faciliterà l’imposizione di regole globali grazie alla registrazione delle violazioni? La Commissione europea sotto la guida del commissario per l’economia digitale, Guenther Oettinger, ha lanciato il 19 aprile una strategia sulla digitalizzazione dell’industria europea, proprio sulla quarta rivoluzione industriale. Anche l’azione del governo italiano spinge lo sviluppo del settore industriale verso l’economia 4.0. Il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, ha ripreso le fila del piano “Industry 4.0”, come via maestra per rilanciare la competitività del manifatturiero, per dare impulso agli investimenti industriali, con particolare attenzione a quelli in ricerca e sviluppo, e per favorire la crescita dimensionale delle imprese.

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UN NUOVO MODELLO PER CRESCERE

La rivoluzione dell’interconnessione e dei sistemi intelligenti trasforma la fabbrica tradizionale in un sistema di comunicazione a rete in cui uomini e macchine lavorano fianco a fianco, creando un unico processo produttivo. In questo modo, si ottimizzano i processi produttivi, dal fuori standard si passa alla personalizzazione del prodotto, producendo in modo flessibile e seguendo la domanda, senza più la complessità che non porta valore ma rappresenta solo un costo di gestione. In un momento di grande frammentazione politica, può diventare più difficile spostare persone e prodotti attraverso i confini nazionali. Ma l’industria 4.0 potrebbe superare queste barriere consentendo alle imprese di trasferire solo la loro proprietà intellettuale, compreso il loro software, lasciando invece che ogni singola nazione mantenga le proprie reti di produzione. I prossimi progressi nella stampa 3D, per esempio, consentiranno virtualmente a qualsiasi azienda di avviare un punto di vendita ovunque e di fabbricare componenti, ricambi e attrezzature industriali (potenzialmente) senza dover spedire i pezzi finiti. La gestione delle operations diventerà più globale e distribuita localmente allo stesso tempo. Un modello completamente nuovo rispetto al passato e che permetterà di avere un nuovo tipo di economia. In questa fase di transizione dal vecchio al nuovo, viaggiamo ancora sull’onda lunga delle innovazioni dei secoli precedenti. Cambiando radicalmente sistema si può ricominciare a crescere oltre lo zero virgola.