Red Hat, l’open source che vince

gianni anguilletti red hat

Il country manager Italia del cappello rosso, sempre in prima linea nel mondo open, spiega le ragioni dell’ottimo andamento dell’azienda

“Il futuro non è mai stato così aperto”, sintetizza Gianni Anguilletti, Country Manager Italy di Red Hat, incontrando la stampa a Milano a fine marzo per commentare i risultati dell’anno fiscale 2017, che per la società si è appena concluso in quanto segue un anno finanziario che va da marzo a febbraio. Si è trattato di “un anno straordinario, con fatturato in crescita del 18 per cento, per un totale di 2,4 miliardi di dollari, e siamo davvero molto soddisfatti di crescere a doppia cifra in un contesto di mercato come quello attuale”, sottolinea Anguilletti, precisando che la crescita della filiale italiana è stata “superiore al dato complessivo a livello globale”, pur non potendo per policy comunicare cifre in dettaglio. Ma vi sono anche altri motivi di soddisfazione, come per esempio l’aver messo a segno il sessantesimo trimestre consecutivo di segno positivo, in termini sia di fatturato sia di margini, oppure il fatto che nell’anno fiscale 2017 “abbiamo superato per la prima volta i 2 miliardi di dollari di ricavi dovuti esclusivamente a sottoscrizioni e non a servizi di consulenza o training, oltre a varcare la soglia dei 3 miliardi di dollari di ordinativi”, prosegue Anguilletti. Da notare che più del 70 per cento del fatturato complessivo di Red Hat deriva dalla rete dei partner, e questa percentuale è più elevata nel caso dell’Italia.

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Evoluzione tecnologica e organizzativa

Fin qui i “numeri”, mentre da un punto di vista più generale, il 2017 di Red Hat ha significato anche un ulteriore passo avanti nella strategia che punta a essere sempre più “multiprodotto”, con un’offerta che va oltre il classico sistema operativo Red Hat Enterprise, con il middleware, le tecnologie di integrazione delle applicazioni e le soluzioni PaaS e IaaS, senza dimenticare anche il software defined storage. Ed è in questo spirito che il 2018 si sta dipanando, puntando a “evoluzioni tecnologiche che siano sempre sostenute da un’analoga evoluzione dell’organizzazione”, precisa Anguilletti, specificando che la direzione è quella della massima copertura e completezza funzionale dello stack, comprendendo anche la parte dei container e dei microservice, oltre alla gestione delle API, tramite l’acquisizione di 3Scale, e il cloud. Il tutto sempre nella massima apertura verso tutti, perché “a noi piace predicare bene ma anche razzolare bene”, fa notare Anguilletti. Questo significa che “non è affatto obbligatorio utilizzare tutte le nostre componenti, in quanto poniamo sempre libera scelta se usare lo stack nella sua interezza oppure in combinazione con altre tecnologie, che magari arrivano da investimenti pregressi oppure derivano dal fatto che un’azienda intende arrivare ad avere tutto il nostro stack per fasi”, ribadisce Anguilletti. Che non dimentica l’ulteriore elemento della flessibilità, declinata nel cloud ibrido: “per questo, ‘any application, anytime, anywhere’ è il nostro motto per la flessibilità, perché un’applicazione nata in ambiente ‘bare metal’, cioè su una singola piattaforma, può essere migrata sul cloud pubblico senza alcuna modifica importante. E questo va incontro a un mondo che sta diventando sempre più ibrido a livello di data center, in quanto molti acquisiscono capacità di computing dal cloud pubblico per avere la massima flessibilità e scalabilità”, spiega Anguilletti.

Un catalizzatore nell’open source

Ma c’è un’ulteriore evoluzione, ed è quella dei container. Ecco quindi che il motto di prima si modifica in “any application, any container, anytime, anywhere” in ossequio al nuovo corso tecnologico in atto: “abbiamo investito molto nella metodologia basata su container, anche perché è una tecnologia che afferisce a Linux, ma abbiamo anche fatto evolvere la piattaforma OpenShift, per dare modo ai clienti di trovare le funzionalità per la gestione completa dei container, con OpenShift Container Platform 3.4, OCP, nella quale si integrano Docker per la gestione dei formati dei container e Kubernetes per la loro orchestrazione”, sottolinea Anguilletti. Ma non solo: la nuova versione di OCP prevede un vasto portafoglio middleware, per cui si può anche decidere di utilizzare JBoss come application server stand alone, oppure containerizzato nella piattaforma OpenShift. Infine, con il recente annuncio della release 10 di OpenStack ha permesso a Red Hat di porsi sempre più come punto di riferimento di numerosi clienti, tra cui aziende del calibro di Fastweb, Magneti Marelli e Tim. E anche questo va nella direzione volta a “posizionare Red Hat non tanto come technology vendor, ma come azienda che oltre a fornire indicazioni su come meglio utilizzare una tecnologia è anche in grado di trasferire elementi metodologici in ambito DevOps, operando anche come catalizzatore per far comprendere ai clienti come possono interiorizzare le tecnologie di sviluppo open source”, conclude Gianni Anguilletti.